Giacomo Matteotti, figlio del Polesine
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- Notizia pubblicata il 15 marzo 2024
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- Scritto da Liana Isipato | Letture
Gli anniversari rischiano di essere, spesso, ‘di maniera’. Avverto però, nel caso di Matteotti, a cent’anni dal suo assassinio politico, una partecipazione corale molto sentita: su di lui sono stati scritti numerosi libri, ma anche allestite mostre, filmati, rimessa a lucido la villa di famiglia a Fratta Polesine.
In questo panorama, l’opera di Diego Crivellari e Francesco Jori si smarca dalla folta produzione legata al centenario e lo fa anche sorprendendoci nell’incipit, tutto centrato sul Polesine di oggi. L’arrivo di Amazon nel 2020, con l’assunzione di 1500 posti a tempo indeterminato, ha creato aspettative presto rivelatesi illusorie e, al contrario, ha assunto il volto di quella precarietà strutturale comune agli altri siti di investimento della multinazionale.
Siamo a pochi chilometri dai piccoli comuni di campagna dove un Matteotti ancora in pantaloni corti muove i primi passi nella casa socialista. Gli autori cercano di delineare una parabola tra il Polesine delle lotte bracciantili, tra Otto e Novecento, e il Polesine di oggi, figlio delle speranze e delle lotte di Matteotti. “Dopo cento anni, la lezione matteottiana rappresenta (anche) un riferimento ideale, un invito a non arrendersi, un modello di etica e civiltà per il futuro. E per quella Costituzione ancora da attuare.” Occorre però riflettere sulle cause che rendono ancora incompiuta l’eredità di Matteotti, se si vuole evitare che un secolo sia passato invano.
Ci immergiamo allora nella narrazione di un Polesine rosso nel Veneto bianco, della miseria, della malaria e della pellagra, dove Adria, sporca e malsana, viene paragonata a una “Napoli in miniatura”. A distanza dalle trame carbonare del Risorgimento assistiamo al risveglio di un popolo contadino che col movimento “La boje!” entra con forza nella storia. Giacomo Matteotti nasce nel 1885, proprio nel pieno della ribellione contadina, che scatena la violenta reazione degli agrari.
In questo humus, già a sedici anni, Giacomo scrive il primo articolo sul giornale “La lotta” e poi brucia le tappe: dopo la maturità si iscrive a Giurisprudenza, trovando un Maestro nel professor Alessandro Stoppato, illustre cavarzerano (un busto a lui dedicato si può vedere nella loggia sotto il palazzo municipale di Cavarzere). Laureato con lode, viaggia per ragioni di studio in diversi paesi europei, imparando le lingue, ma già inizia la carriera politica diventando, nel 1908, consigliere comunale nel suo paese, Fratta. Presto, l’impegno politico lo catturerà, mettendo in secondo piano gli studi giuridici. Due sono i filoni principali che lo guidano: il primato del fattore economico, dal quale si sviluppa il fenomeno politico, e il diritto all’istruzione, che vede la cultura come molla per l’emancipazione e la dignità della persona. Solo attraverso gli strumenti della conoscenza si può costruire una coscienza di classe e una preparazione necessaria a chi si vuole proporre come nuova classe dirigente. Ancora moderne le sue parole: “Vogliamo noi veramente che la scuola sia una preparazione per l’officina, pel lavoro? No, assolutamente: la scuola deve essere qualche cosa per cui, almeno per quattro o cinque anni, la gente del popolo non pensi alla preparazione del lavoro manuale, impari qualche cosa che sia fuori del lavoro immediato, impari anche dalle astrazioni. Non dobbiamo essere di quelli che vogliono la preparazione del ragazzo all’abilità. Vogliamo che questo insegnamento sia libero, poetico, astratto, perché ne godano per una piccola parte di tempo, e ne portino con sé il ricordo per qualche anno”.
In Parlamento Matteotti arriva nel novembre 1919, eletto nel collegio Rovigo-Ferrara, dove il Partito Socialista ottiene il 70% dei voti. Un’avanzata che continua l’anno dopo, con la conquista di ben 63 comuni del Polesine, oltre all’amministrazione provinciale. Una marea rossa che presto dovrà fare i conti col terribile squadrismo. “Sarà, come vedremo, una guerra civile a senso unico, una reazione agraria che troverà il movimento proletario scioccato, traumatizzato, largamente impreparato di fronte alla determinazione, all’efferatezza, ma anche a una “tecnica” di una violenza pianificata, che sceglie i suoi obiettivi, umilia, bastona, intimidisce, e non esita ad uccidere se necessario, per piegare qualsiasi residua resistenza”. Matteotti è subito preso di mira, dopo aver denunciato alla Camera, già il 31 gennaio, e poi il 12 marzo 1921 la sistematica violenza dello squadrismo agrario. Viene rapito a Castelguglielmo, un paesino del Polesine, picchiato, caricato a forza in un camion e scaricato in campagna. Tornato a Rovigo a piedi, dopo ore, con serena ironia dice semplicemente: “I m’ha robà”.
Qui, i nostri autori si soffermano, con un capitolo specifico, a indicarci un necessario approfondimento: partire dall’opera significativa di Matteotti Un anno di dominazione fascista, un’opera di denuncia, ma anche di stimolo a unire le forze migliori del Paese di fronte all’eversione antidemocratica. Un’opera, scrivono Crivellari e Jori, “antiretorica per eccellenza, nella quale l’idea vince sull’ideologia e, soprattutto, i dati e i numeri si impongono con la logica inesorabile di un discorso che parte dalla realtà e alla realtà àncora la sua politica: solidamente pragmatica, pragmaticamente riformista”. Proprio nel 1924, dopo la difficile pubblicazione e diffusione del libro, Matteotti cerca di curare una ristampa che sarà tradotta in vari paesi europei. Perché “il figlio del Polesine” continua a tenere i contatti con i socialisti francesi, tedeschi, coi laburisti inglesi. Questa dimensione europea fa sicuramente parte della sua grandezza e modernità.
Arriviamo al climax, col celebre discorso del 30 maggio 1924, riportato integralmente in appendice. Dopo aver parlato più di un’ora, con pochi appunti in mano, interrotto in continuazione dalle urla ostili dell’aula, Matteotti siede, esausto, dicendo “Adesso preparate l’orazione funebre per me”. Si dedica poco più di una facciata, nel libro, al suo rapimento, il 10 giugno, fino al rinvenimento del corpo, il 16 agosto. L’intenzione degli autori, infatti, non è quella di soffermarsi sul martire Matteotti, ma sull’uomo. Un politico di cui si sente la mancanza, per il carisma, per l’onestà di militante che vuole servire l’interesse pubblico e lottare per diminuire le disuguaglianze: “Matteotti non è stato solo la vittima illustre del fascismo, ma è stato l’iniziatore coerente e ispirato, dell’antifascismo italiano ed europeo. Artefice di una politica e di un’etica”. Un’etica legata anche al percorso di studi, cui si dà conto nel capitolo intitolato “Matteotti e il diritto”. Un percorso sempre sotteso al suo attivismo, connotato da un rigore scientifico, dallo sguardo oggettivo del tecnico e dal piglio dell’esperto; in sostanza, da un metodo critico di indagare la realtà. Lo stesso Sciascia scrisse che Matteotti era considerato il nemico più difficile e complicato perché “parlava in nome del diritto” prima di essere il portavoce di un partito e di un’ideologia”.
Ancora, gli autori si chiedono se il percorso originale e autonomo di Matteotti, che può essere configurato come una visione moderna della socialdemocrazia, abbia un’eredità. La loro analisi non trova una risposta positiva. Nello stesso tempo la conclusione del loro pregevole lavoro rafforza lo straordinario esempio e l’attualità del messaggio di Matteotti, a un secolo di distanza: agire in politica non per l’apparire, ma per fare. Un fare mirato a promuovere la condizione economica delle fasce deboli della società, a renderle protagoniste a pieno titolo della vita pubblica, in sostanza ad applicare pienamente l’ancora inevaso l’articolo 3, uno degli articoli fondamentali della nostra Costituzione.
E’ un libro denso, arricchito dalla prefazione di Francesco Verducci e dalla postfazione di Marco Almagisti. Vorrei sottolineare, a questo punto, la pulizia dello stile di Crivellari e Jori, che usano un linguaggio asciutto e, insieme, carico di pathos. Riescono a trasmettere in maniera viva l’ambiente, la vita breve e intensa di questo “grande italiano del Novecento”, rendendo la lettura appassionante e stimolandoci ad approfondire i temi proposti. Aggiungo che nel capitolo specifico sulla casa-museo di Fratta, tirata a lucido per l’occasione, come dicevo all’inizio, c’è il prezioso consiglio di consultare e scaricare gratuitamente dal sito web del museo l’intera opera di Matteotti.
Giacomo Matteotti, figlio del Polesine è un libro consigliatissimo!