Quando racconto agli amici che in Polesine si raccolgono tartufi, subito quasi nessuno ci crede; o meglio, non se lo aspetta. Eppure non è l’unica sorpresa della provincia.

Il fatto è che parte del Polesine è stata boscata per secoli, e dove ci sono alberi c’è una stretta collaborazione tra la pianta e alcuni funghi. Ogni albero sotto può averne decine di specie diverse, avvolte alle radici come un guanto, in una simbiosi che prevede un patto solenne: l’albero fornisce alcune sostanze al fungo, e quest’ultimo si comporta come un pezzo aggiuntivo della radice, aiutandola ad assorbire meglio i nutrienti. Questa collaborazione si chiama micorriza.

Se albero e fungo hanno passato una bella stagione, il fungo è così in forma da volersi riprodurre, e per l’occasione forma un organo sessuale; alcuni funghi lo fanno spuntare in superficie, altri fanno un corpo sotterraneo, come i tartufi. Della stragrande maggioranza dei funghi del mondo non sappiamo alcunché (gli scienziati ne stanno scoprendo al ritmo di oltre mille specie nuove l’anno), alcuni invece li abbiamo già classificati in commestibili e non: tra quelli buoni ci sono appunto alcuni tartufi, dei particolari funghi sotterranei.

Già, ma il Polesine? Come fa a offrire tartufi, dove sono? Possono trovarsi in alcune zone boscate, come le golene, ma anche sotto a certi alberi isolati della campagna (se non è arrivato qualche fungicida). Alcuni li hanno individuati anche in un giardino di Rovigo, dove qualche spora era probabilmente capitata sotto a un albero con cui fare una micorriza. In altre zone invece il tartufo è stato fatto tornare con piantine appositamente inoculate con il fungo, perché molti terreni del Polesine sono comunque ancora adatti a ospitarne le specie originali. Insomma, se consideriamo che in provincia vivono almeno sei o sette specie diverse di tartufi e che ognuna ha un suo periodo di fruttificazione, c’è la possibilità di trovarli in molti momenti dell’anno.

Proprio questi funghi sono diventati anche un veicolo di promozione del territorio per l’Accademia del tartufo del Delta del Po, che il mese scorso ha compiuto dieci anni. L’Accademia, con sede a Papozze, ha infatti come obiettivo anche quello di tramandare quella che definisce una vera e propria cultura del tartufo. Non solo: attraverso l’Accademia si è iniziata a formare anche una rete di ristoratori, grazie anche ai quali il tartufo locale viene diffuso nel territorio. Certo non dovete immaginare una galassia di strutture come quella che ruota intorno alla Strada del Fungo di Borgotaro, ma forse per il Polesine questo primo nucleo può già avere un certo significato.

Dieci anni di Accademia del tartufo, però, fanno riflettere anche su un’altra cosa, oltre che sul compleanno o sulla dimensione culturale che caratterizza tutti questi aspetti. Mi fa capire che forse non finiremo mai di trovare motivi di apprezzare questo fazzoletto di pianura alluvionale. Che qui ci sono tante risorse, in ogni senso del termine. Che alcune sono palesi e altre nascoste, a volte proprio a chi ci vive accanto. Che alcune cose, pur appartenenti al passato, vengono ancora tramandate, mentre altre si sono perdute e altre ancora vengono ritrovate e riproposte, a volte con successo. Che, se questo territorio non ha ancora finito di stupire chi vive qui, figuriamoci quanto può sorprendere chi viene da lontano. Che, nonostante tutto, il Polesine e le sue bellezze sono qui, pronte per essere condivise con il mondo. Noi siamo pronti?

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