Continuano le serate di “Tra Ville e Giardini“ con proposte diversificate musicali o prettamente canore, nelle più belle ville e corti del Polesine.

Se le Muse li avessero sfidati al canto avrebbero perso. Dolcezza, poesia, raffinatezza, racconto, mito, impegno, ricerca, sogno: tutto questo sono le voci e la musica degli Andhira, che si sono esibiti il 27 luglio, nel giardino di palazzo Riminaldi a Castelmassa.

tra ville a giardini 2017 Andhira (1)

Andhira è parola antica, che significa vita errante e in molti canti della tradizione orale sarda è il nome della città perduta, un mito ancestrale che ritorna in molte culture. Infatti gli Andhira, quartetto sardo, insieme dal 2001, si muove tra polifonia, tradizione sarda (e mediterranea) del racconto musicato, ricerca etnomusicologa, letteratura e temi sociali, come la conservazione dell’acqua ed il rispetto per la natura.

Un linguaggio musicale senza definizione di genere, che viene poeticamente indicato come “musica randagia” o errante con testi che parlano di sentimenti universali. “Ci piace rileggere la tradizione, che è cosa diversa dal folclore – spiega Luca Nulchis, compositore, voce, armonium indiano e pianoforte del gruppo – e innovare nella composizione. Il nostro non è un genere musicale, ma il risultato dei nostri percorsi personali artistici: scriviamo musica e lavoriamo per il teatro e la danza.

Con Luca Nulchis, compongono il quartetto tre vere muse del canto: Elena Nulchis, anche armonium indiano, Egidiana Carta ed Elisa Zedda. Gli Andhira hanno presentato Nakitirando, una raccolta del loro repertorio di brani originali, riletture della tradizione e autori loro affini (come Fabrizio De André de “La guerra di Piero”, o “Piogga di cajù” della poetessa brasiliana Marcia Theophilo, nota per aver difeso la causa antropologico-sociale dell’Amazzonia).

Natikirando, gerundio del verbo inesistente natikirare, che significa “è opportuno tirare avanti nonostante tutto” è il brano che ha aperto il concerto ed il viaggio del pubblico insieme agli Andhira. “Rundines” (rondini) è il canto della tradizione si richiama alla città perduta di Andhira. Poi una storia antica dell’alta Ogliastra, dove una faida spopolò un paese, cantata dalla ballata “Mannorri”. Ci sono canti di campagna che si usavano per la spigolatura del grano e riti di riconciliazione. Un kyrie albanese risalente al 600 ed uno sardo di Sanluri, nel sud della Sardegna, affinità di suoni e vicinanza di temi.

“Pregiadoria”, è un’intensa preghiera ispirata ai canti orali del nord dell’isola; con “Granito e cemento” si torna alla modernità e alla globalizzazione: ”Vendendo granito mangiando cemento giocando col fuoco, affogando nel mar,  i nuraghi son templi o fortezze militari?”. Magnifico il brano “Jala”, di derivazione sanscrita, che significa “acqua”, il grande tema mondiale della conservazione e del consumo razionale. Infine “Thule”, la città dei saggi, la storia degli esuli che sopravvissero nelle grotte sotto il mare di Sardegna con il canto di una fata. E questo è simbolicamente il concerto degli Andhira, una musica che inebria e appaga.

tra ville a giardini 2017 Diane Schuur (3)

Tutto esaurito a Lendinara per la regina del Jazz internazionale Diane Schuur, che si è esibita  la sera del 2 agosto  nel parco di Villa Dolfin Marchiori a Lendinara.

Entrata in scena con semplicità, abbassandosi per toccare il pavimento del palcoscenico con le mani, come ad ogni concerto, nei suoi movimenti malfermi di un corpo appesantito, la cantante e pianista cieca dalla nascita, ha subito conquistato la platea. Una volta seduta al pianoforte, l’equilibrio-disequilibrio corporeo è sparito e le sue mani hanno spaziato fra i tasti bianchi e neri con grande sicurezza e la sua voce, già perfettamente accordata con gli strumenti grazie al dono dell’orecchio assoluto, ha avviato un viaggio emozionale, dialogando col pubblico ad ogni brano.

Voce cristallina e potente, corposa, dai mille colori e sfumature, con un timbro sonoro melodico ma anche robusto, che si alzava e si abbassava dolcemente, vibrava e si trasformava in uno strumento musicale di tanti suoni o fatto di vocalizi senza parole al suo piano. In scena, facevano da contorno un trio di musicisti eccezionali: Francesco Puglisi al contrabbasso e basso elettrico, che abbiamo già incontrato al Ridotto del Teatro Sociale per i concerti del Jazz Club, Adam Pache alla batteria e Julian Siegel al sax, con i quali Diane dialogava musicalmente senza sosta. Tra le punte più alte del concerto, la versione sola voce, con le luci abbassate, di “Over the rainbow”. Il concerto è scivolato via fra brani omaggio a Sinatra, come “Nice and easy”, “I’ve got you under my skin” o “Unforgettable”; molti brani del repertorio jazz di Diane Schuur come la splendida “Louisiana Sunday afternoon”, “Sing a song” di Carpenter; e per finire “Let it be”, cantata in coro col pubblico entusiasta per la magnifica serata.

 tra ville a giardini 2017 cluster (1)

Neppure una sedia libera, gente seduta sul prato, spettatori da ogni parte del Veneto per la straordinaria performance dei Cluster – The italian project, la sera del 7 agosto nel giardino dell’Abbazia della Vangadizza a Badia Polesine.

Per chi ne aveva un pallido ricordo dal programma X Factor 2008 è stata una scoperta esaltante. Liwen Magnatta (contralto, chitarra), Letizia Poltini (soprano, chitarra elettrica), Marco Meriggio (basso, beatboxing), Erik Bosio (baritono, batteria, beatboxing), Nicola Nastos (tenore, beatboxing). Sono i Cluster, che in musica è un gruppo di note adiacenti, suonate simultaneamente, non in rapporto armonico, quanto piuttosto i limiti inferiore e superiore delle frequenze che vengono adoperate, in una dodecafonia portata all’estremo.

Un nome che li rappresenta, i cinque giovani provenienti dal conservatorio genovese, perfezionatisi ciascuno in uno strumento musicale ed in armonizzazione che nel 2004 si uniscono nel canto a cappella, raggiungendo progressivamente vette altissime di tecnica vocale. E’ una sbalorditiva estensione di voce melodiosa e di strumentistica, le batterie vocali arrivano all’eccellenza riproducendo sonorità orchestrali dal jazz all’heavy metal; le armonie sono costruite su basi ritmiche di bassi e chitarre elettriche strepitosi; suonano sassofoni e trombe, debordano suoni pop rock, avvolgono ballate emozionanti, s’infarciscono di arie da opera e si rivestono di evocativa polifonia dalle atmosfere medievali. E’ uno stordimento dei sensi, davanti alle capacità vocali dei Cluster, che si possono senz’altro definire una delle migliori formazioni contemporary a cappella in circolazione in Italia, con una escursione sonora dalla polifonia rinascimentale all’hard rock.

Esordiscono sul palco con “Ti sento” dei Matia Bazar, brano che gli è valso il Cara awards 2016 nel genere pop/rock; proseguono con “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco, “Tropicana”, “Nel blu dipinto di blu” e poi lo spiazzano con l’aria “L’ho perduta”, dall’opera “Le nozze di Figaro” di Mozart, prima settecentesca e poi spezzata da spaventosi volumi di assolo delle batterie heavy metal. Passano con nonchalance a “Il pescatore” di De André in versione pop rock e calano una perla: “224” brano originale scritto dai Cluster, contenuto nell’album Steps (2009), una polifonia d’atmosfera.

Sale l’energia con un medley tutto jazz, incursione nei Queen con “Love of my life”; improvvisazione e gioco con un improvvisato dj che fa pitch control e mixa i tempi di una straordinaria e divertente “I say a little prayer” di Aretha Franklin, Steve Wonder e poi non ce n’è più per nessuno, quando partono i ritmi rock con“My Sharona” de The Knack, Led Zeppelin, “We will rock you” dei Queen, Deep purple e Depepeche Mode. Chiusura  con una dolcissima Hallelujah di Leonard Cohen, ma solo un attimo prima di essere richiamati a ripetizione per più bis, a conclusione di una serata di grande e ottima musica.

 

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