Ricorrevano ieri gli ottant’anni dalla morte di Gabriele D’Annunzio, un anniversario passato quasi del tutto inosservato. Il Vate si spegneva il primo marzo 1938 nel monumento a se stesso che si era negli anni costruito sulle rive del Garda, una sorta di gabbia dorata dove le vicissitudini italiane di allora lo avevano di fatto confinato. Indubbiamente, su ciò che D’Annunzio ha rappresentato, non solo dal punto di vista prettamente letterario, per l’Italia tra fine Ottocento e primo Novecento si potrebbero scrivere pagine su pagine: fu poeta ma anche giornalista, romanziere e drammaturgo, personaggio capace di far parlare di sé per gesti plateali, che oggi sembrano lontani anni luce dal nostro modo di essere, ma anche per il lirismo incontaminato dei suoi scritti più illuminati. Fu un creativo all’ennesima potenza con intuizioni che nemmeno i più brillanti pubblicitari d’oggigiorno saprebbero eguagliare, un poliedrico personaggio in grado di concentrare su di sé, nel bene e nel male, le attenzioni dell’ambiente mondano europeo. Tra i tanti ambiti ai quali D’Annunzio si accostò, vi è stato quello musicale, il suo primo impiego retribuito fu come critico per «Il Mattino» di Napoli, un incarico che svolse con originalità e coraggio, senza risparmiare qualche recensione tutt’altro che positiva per opere di autori suoi contemporanei. Come una calamita che attrae verso di sé l’arte, intesa nel senso più ampio, e non se la lascia più sfuggire, D’Annunzio mai slegò il nodo che lo aveva unito alla musica, in particolare a quella operistica. Notevole è stato anche il suo contributo alla musica da salotto, impossibile non ricordare i testi delle canzoni da lui scritte tra il 1880 e il 1906 per essere musicate da Francesco Paolo Tosti, autore di un genere melodico raffinato che tanto successo ebbe nell’Europa fin de siècle.
Negli anni successivi alcuni drammi dannunziani divennero opere liriche, tra essi Francesca da Rimini, musicata da Riccardo Zandonai e andata in scena al Regio di Torino nel 1914. Impossibile tralasciare le collaborazioni di D’Annunzio con Ildebrando Pizzetti, per il quale egli stesso coniò lo pseudonimo di “Ildebrando da Parma” con cui il musicista firmò i suoi primi lavori, comprese le musiche per il dramma dannunziano Fedra. Fece di più D’Annunzio per Pizzetti, tentò di aiutarlo a emergere nel mondo musicale cercando appoggi tra gli addetti ai lavori, prova ne è una lettera che il Vate indirizzò a Tullio Serafin nel periodo in cui era direttore principale alla Scala, pochi anni prima che la Grande Guerra sconvolgesse il mondo.

Il nome di D’Annunzio è legato anche a La nave, tragedia che egli scrisse nel 1907 e per la quale lo stesso Pizzetti creò la musica di scena. Qualche anno più tardi Tito Ricordi ridusse a libretto d’opera La nave e commissionò a Italo Montemezzi di musicarla. La première andò in scena alla Scala nel novembre del 1918, a dirigerla c’era Serafin e tra i protagonisti il soprano Elena Rakowska, moglie del direttore veneto. La serata rimase nella memoria collettiva soprattutto perché, prima del secondo atto, Ricordi in persona annunciò agli spettatori l’entrata delle truppe italiane a Trento e Trieste, la guerra era finita e l’Italia risultava vincitrice. L’opera ebbe un discreto successo, venne rappresentata a Chicago, diretta dallo stesso Montemezzi, e poi anche a Verona. Nel ’38 Serafin l’aveva scelta per inaugurare la stagione del Teatro dell’Opera di Roma ma egli stesso decise di sostituirla con Tannhäuser di Wagner. Si dice che la ragione sia stata l’indisposizione della protagonista Gina Cigna, l’opera andò comunque in scena a Roma qualche giorno dopo, il 12 dicembre.
Gli spunti dannunziani al mondo operistico andarono ben oltre, molti compositori italiani furono influenzati dal suo culto dell’esotico, dal gusto arcaico e sensuale che egli infondeva nei suoi testi, senza tralasciare il patriottismo così in voga in quegli anni. D’Annunzio ebbe un ruolo importante anche nell’incoraggiare la rinascita della musica strumentale italiana e soprattutto nella riscoperta della musica antica, promuovendo una serie di pubblicazioni ad essa dedicate. Iniziò così a tracciare la strada della riscoperta del passato musicale italiano, cominciando a percorrere i primissimi passi su di un sentiero che nel corso del Novecento in molti altri proseguirono.

Musical… Mente
Un luogo nel quale la musica trova spazio nel senso più ampio del suo significato, invita a guardare la realtà con occhi diversi, con occhi e mente illuminati dalla musica.
Nicla Sguotti risiede da sempre a Rottanova di Cavarzere, paese natale di Tullio Serafin. Si è laureata con il massimo dei voti in Lettere all’Università di Padova, indirizzo Storia della musica moderna e contemporanea, con una tesi sul celebre direttore d’orchestra, dalla quale ha preso vita il saggio “Tullio Serafin, il custode del bel canto”. Collabora con associazioni ed enti culturali in qualità di musicologa ed ha al suo attivo diverse importanti collaborazioni con musicisti e artisti di fama internazionale. È giornalista pubblicista e scrive per diverse testate venete. Per la sua instancabile opera di divulgatrice di cultura, e in particolare per il notevole lavoro di ricerca su Tullio Serafin, il 2 giugno 2017 è stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, conferitale dal Capo dello Stato.