di Liana Isipato

All’interno del progetto europeo VALUE, Interreg Italia-Croazia, è stato organizzato il 25 maggio un Tour, rivolto ai giornalisti, lungo i siti italiani coinvolti nel progetto stesso.
Su invito di Danilo Trombin, ho avuto il piacere di parteciparvi come inviata di REM, attraverso le realtà di Adria, San Basilio, Pomposa e Comacchio, con la paziente guida di Stefano Casellato di AQUA.
Il fil rouge che collega i luoghi citati, e che identifica il progetto, è l’intenzione di dar vita a un turismo non più esclusivamente balneare, ma perfettamente integrato con il retroterra culturale -nello specifico, di tipo archeologico- delle località sopra indicate.

Due, le prime considerazioni che mi son rimbalzate alla mente: il valore di operazioni unificanti, che si elevano dal contesto sociale del momento, sempre più pervaso da contrapposizioni e blocchi mentali e materiali; quasi un recupero dell’antico mondo etrusco, greco (e non solo) interconnesso attraverso scambi commerciali e culturali.
E poi, il superamento del proprio ‘orticello’ cercando invece di creare, sulla base dei ritrovamenti archeologici da Adria a Comacchio, un vero e proprio ‘sistema’ con ottiche e obiettivi omogenei.

Ad Adria, durante la visita al Museo, sia nella parte etrusca che romana, la Direttrice Alberta Facchi ha reso evidente come il ‘corridoio adriatico’ sia stato un punto strategico per il commercio non solo tra Greci ed Etruschi, ma anche coi popoli al di là delle Alpi, grazie ai fiumi. Sia ad Adria, che negli altri luoghi visitati, abbiamo ammirato le installazioni artistiche di Enrica Borghi, ispirate a un dialogo ideale con le esposizioni sia interne che esterne. Abbiamo apprezzato la novità di trasformare il parco circostante l’edificio del Museo, che misura ben 9.000 metri quadrati, in ‘archeoparco’ con l’installazione di oggetti di legno ispirati all’epoca greco-etrusca (una barca, dei cavalli e altro) in modo da promuovere nell’area ludica la frequentazione di ragazzi e famiglie.

A San Basilio, crogiolo di civiltà che commerciavano e convivevano in maniera pacifica, gli scavi iniziati nel 2005 e attualmente ancora in corso hanno riportato alla luce un sito paleocristiano, col Battistero del IV secolo d.c. e, a fianco, un muro che delimitava magazzini per il deposito di granaglie. La chiesa del IX-X secolo d.c. ha conosciuto diverse fasi costruttive, fino ad arrivare al 1700. Solo di recente, nel 1994 sono state scoperte dieci tombe, forse di monaci, messe in parte a vista con inserti vitrei nel pavimento.

A Pomposa, arrivati con notevole ritardo sulla tabella di marcia, abbiamo apprezzato l’abilità di Valentina, la guida assegnataci, che in un tempo ridotto è riuscita a raccontarci mille cose: dal diverso colore dei mattoni che compongono l’architettura (dovuta alla presenza maggiore o minore di ferro e ai differenti tempi di cottura), allo sviluppo del monastero benedettino attorno all’anno 1000 grazie all’abate Guido degli Strambiati (sua la tibia nel reliquiario) che lì radunò circa 100 monaci fino all’abbandono del sito, attorno al 1600, sia per motivi idrogeologici che politici. Solo alla fine, tenendoci sulla corda come per l’epilogo di un ‘giallo’, ha ricondotto il colore rosso, bianco e verde dei bacini maiolici incastonati nel nartece e lungo tutto il campanile ai colori che attorniano il Cristo Pantocrator, signore della Terra (rosso), del Cielo (bianco) e dell’Acqua (verde).
Una chicca: la tavoletta su cui San Guido (conosciuto anche come Guido d’Arezzo) indicò la notazione musicale. Partendo dalle prime sillabe dell’Inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono, cioè “Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si”, Guido d’Arezzo diede i nomi alle note musicali. L’“Ut” sarà poi sostituito qualche secolo dopo con il Do da Giovanni Battista Doni.

Prima di entrare a Comacchio abbiamo incontrato l’archeologo Marco Bruni che, alla Stazione Foce, ci ha mostrato la meravigliosa ricostruzione di due ‘casoni’ a imitazione delle abitazioni dell’antica Spina, dei cui ritrovamenti ricorre il centenario, un vero museo all’aria aperta. Spina era un importante snodo di commercio e contatti culturali tra etruschi e ateniesi. Dai tesori allestiti nel cittadino Museo Delta Antico, si può ammirare la presenza e l’operosità dei greci e degli etruschi di 2500 anni fa.
La meraviglia consiste nella enorme quantità di reperti in mostra, ricavati da UNA SOLA nave, riportata alla luce negli anni ’80.

La conferenza stampa conclusiva, tenuta da Lorenzo Marchesini, Roberto Cantagalli e Marco Bruni ha sottolineato l’importanza di divulgare il progetto e attirare l’attenzione sui contenuti dei musei. Per la prima volta l’Archeologia di Comacchio, capofila del progetto, non è più ‘evasa’ verso Ferrara ma ha superato la barriera tra Delta dell’Emilia-Romagna e del Veneto, puntando invece sugli elementi comuni.
Ancora, si è insistito sul coinvolgimento delle scuole, dei giovani. Investire sul capitale umano è fondamentale, in vista dell’integrazione con la filiera turistica.
È importante lavorare sempre più sul profilo culturale in direzione di una rete integrata per il Delta del Po. Per questo inizieremo a immergerci nelle diverse iniziative. Ce n’è per tutti: visite guidate, laboratori, mostre, teatro e musica, corsi di formazione.

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