Sulle fiancate del tram sfilano le immagini di M9. A volte è il logo, grande squadrato, caratteri neri sovrastati da un rettangolo giallo, altre sono immagini spaziose e iconografiche di simboli del ventesimo secolo. Lo sguardo luminoso e dirompente di Pier Paolo Pasolini dietro la macchina da presa, quello riflessivo e flemmatico di Pirandello o, ancora, i visi di perfetti sconosciuti vissuti nel 1910, nel 1952 o nel 1999.

M9, giusto per precisarlo, è il voluminoso museo dedicato al Novecento italiano aperto a Mestre, già da un po’, con una battente inaugurazione il primo dicembre 2018.

Vivo in questa città e mi sono decisa solo ora a visitarlo. Dopo averne sentito parlare tanto, letto abbastanza, visto sfilare molti vagoni del tram.

E, giusto in questo periodo, giornali e magazine fanno il punto della situazione scrivendo che, dopo una partenza a bombarda, M9 non ci sta con il budget per via dei visitatori, troppo pochi per reggerne a lungo la sostenibilità.

Le aspettative erano alte e i numeri sono bassi. Tutto evidente, non mi dilungo. Disamine e ricette pullulano in un coro di notizie. Parlare non solo della scatola ma di quello che contiene mi pare appropriato.

Mi sono presa un pomeriggio per entrarci dentro, avvisata del fatto che il museo è molto articolato e ci vogliono un paio d’ore. Qualcuno dice tre, come se questo fosse un difetto. Che siano due o tre, non capisco perché dovrebbe essere una pesantezza, è un museo.

Quando qualche anno fa sono andata a Torino a visitare il Museo Egizio, da poco ampliato e inaugurato, ci ho messo circa due ore e trenta e su molte cose ho sorvolato. Beh, quelli sono i faraoni, li spendi i soldi e il tempo per andarli a vedere. Ma io non lo so se li spendi. Perché ti devono piacere i faraoni, sennò non ci vai. Idem per il Louvre a Parigi. E anche per l’M9 a Mestre.

Eh, ma l’M9 è un museo tutto virtuale, non ha polpa, non è la stessa cosa. Sì, non lo è. E forse ci ho messo tutto questo tempo ad andare a visitarlo perché io sono analogica, non digitale. Nonostante questo, le due ore che mi hanno tenuto dentro il grande parallelepipedo, più un’altra mezz’ora per visitare la mostra fotografica temporanea – bellissima – al terzo piano, sono state un tempo corposo, denso di sostanza.

Ed è di questo che vorrei parlare. Di un possibile viaggio dentro l’M9.

Quello di un visitatore che entrando si sente dire da una guardasala: il percorso comincia da qui – indicando una grande freccia bianca sul pavimento – può seguirlo e procedere secondo la mappa, ma può anche cominciare da dove vuole e decidere il tragitto.

Questa precisazione ha fatto subito breccia e, benché io abbia calpestato come da catalogo la prima freccia, ho continuato dentro il primo e anche il secondo piano con un mio estro, una curiosità mossa, via via, da una luce, un suono, un’immagine.

E il punto è proprio questo. M9 è un museo che racconta il Novecento dell’Italia e degli italiani, attraverso immagini per lo più in movimento: documenti d’archivio, televisivi, cinematografici, ricostruzioni virtuali, esperienze in tre dimensioni.

Questa movimentata sollecitazione dello sguardo ha trasformato il viaggio in un grande film. Spostandomi all’interno di ogni sezione, decidendo di volta in volta le finestre da aprire, le stanze e il pezzo di storia da attraversare, mi sono sentita dentro un set.

Ci sono tantissimi segni da scegliere e ordinare, come a comporre una sceneggiatura e un montaggio, un decoupage personale che, in ogni caso, resta aderente alla realtà.

Perché il museo non offre un’interpretazione di fatti, ma la visualizzazione di com’erano il paese e i suoi abitanti, e di come sono diventati dal 1900 al 2000.

C’è, a monte, un lavoro immenso di digitalizzazione di fotografie, materiali d’archivio, filmini, tantissimi spezzoni cinematografici e televisivi, c’è la realtà virtuale con i visori, per chi desidera immergersi dentro le cose. Tutto costellato di opportunità interattive su tavoli, pannelli, pareti.

Nel passaggio da una sezione all’altra – in tutto otto – grandi schermi curvi mi hanno tuffato nei cambiamenti sociali e demografici del secolo, attraverso volti, ambienti, città, pezzi di territorio.

Sono entrata in una fabbrica tessile, sono diventata un caporeparto addetto al controllo di otto telai meccanici contemporaneamente e ne sono uscita pesta, tanto per intuire appena cosa doveva essere; per non parlare dello stabilimento automobilistico, dove mi avrebbero licenziata in tronco per il tracollo dei macchinari.

Ho osservato la vita quotidiana, le case, le abitudini, la moda. Mi sono immersa in una cucina del 1900 con un visore 3D, ma potevo scegliere di entrare in una degli anni Cinquanta e altro ancora.

Mi sono infilata in un rifugio antiaereo in tempo di guerra. Intorno avevo il rumore assordante e la vibrazione tellurica delle bombe, vedevo scorrere persone in fuga, polvere e areoplani sopra la testa; e ascoltavo le voci rauche di chi allora era bambino.

Sono entrata nei grandi movimenti sociali e politici degli anni Sessanta e Settanta. Dentro una camera circolare immagini a 360 gradi restituiscono le manifestazioni di piazza, i leader politici, i discorsi in parlamento.

Sei proprio in un film quando ti accorgi che l’intricato mosaico di eventi, piccoli e grandi, trova un riverbero potente nel cinema del Novecento. Ovunque, frammenti di film accendono lampadine sulla vita e sulla società italiana e hanno poi uno spazio dedicato al secondo piano. Registi. Visconti, Fellini, Scola, Antonioni, Soldati, Rosi, Soldini, Pasolini… Attori. Marcello Mastroianni, Sofia Loren, Anna Magnani, Totò, Monica Vitti, Giulietta Masina, Vittorio Gassman, Licia Maglietta, Gian Maria Volonté…

Con la televisione – altra scatola magica del secolo – il cinema è uno degli archivi più traboccanti di storia, umori, movimenti sociali e politici, carattere e cultura del paese.

È proprio un museo senza materia l’M9. Cosa conserva, dunque?

La memoria visiva sempre più lontana di un intero secolo. Una memoria dispersa nel peso fisico di reperti preziosissimi, stanati dagli archivi e consegnati attraverso i pixel allo sguardo di tutti. E accovacciata anche nei ricordi delle persone, scritta su lettere, cartoline, diari, raccontata dalla voce di chi c’era e si ricorda.

Un museo inconsistente, eppure, un viaggio aperto e avvincente.

Penso a quello che il mondo produce ora, nel 2019. È già tutto così privo di prossimità, di sostanza, e non so cosa resterà nel 3000. Ammesso che nel frattempo non sbarchino gli alieni a ribaltare il mondo. O il Sole non si stufi di tenere la giusta distanza e, in un attimo, ci incenerisca o ci riduca a un freezer che, ad uso domestico, è stato una delle conquiste del Novecento.

Annotazioni: Qualche numero. Il museo M9 dispone di 6.000 fotografie, 820 video, 500 record di materiali iconografici, 60 installazioni multimediali, 8 sezioni.

Aperture: dal 1° maggio al 30 settembre da lunedì a venerdì dalle 10.00 alle 19.00, sabato, domenica e festivi dalle 11.00 alle 22.00; dal 1° ottobre al 30 aprile da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 18.00, sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 19.00.

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