Non sono pochi i suoni e i rumori che ci raggiungono da un “fuori” che ci è precluso. Rumori naturali come il vento, urlante e secco come la tosse degli ammalati di Covid 19. O come quel “vento del nord, rosso di fulmini“ che secondo un lirico greco tradotto da Salvatore Quasimodo, a primavera porta l’eros nei nostri cuori, qualunque età noi abbiamo. Ma più che eros, oggi il nostro è quel sentimento inteso come affetto, ricordo, rimpianto, dolore per coloro che non ci sono più o stanno per lasciarci. Da soli. Senza che possiamo stringergli la mano, guardarli nei loro ultimi momenti, quando, nudi, senza i vestiti buoni con cui in un tempo ancora vicinissimo li avremmo vestiti, partono nelle loro anonime bare alla volta di un crematorio. Senza che li abbiamo accarezzati, o, come è un rito gentile in alcuni paesi orientali, di cui ci ha informato un commovente film, truccati un poco per cancellargli dal volto la maschera grigia della morte.
Altri sono rumori artificiali: sirene come quelle che, in tempo di guerra, avvisano i civili che è il momento di correre nei rifugi. E ora, al tempo di questa strana guerra, ci avvisano che qualche ambulanza sta portando in ospedale un nuovo malato, forse un morituro. O suoni striduli come quelli delle auto dei poliziotti che girano le città deserte in cerca di disubbidienti da multare – ed è giusto multare chi si muove senza motivo, che “non fa la sua parte”, come ci ripetono ogni momento di fare, per sconfiggere il nemico che non si vede e non si sente, ma che può ucciderci. Già, il nemico. Se ci fate caso, il lessico di guerra lo usiamo ormai sempre più di frequente: il fronte, la trincea, la prima linea, le armi, il bollettino delle battaglie, il rifugio (la casa?), la sconfitta, la vittoria… Tutto in un mese che pare un secolo, che ci porta via una parte della nostra vita.
Altri suoni sono i canti, peraltro sempre meno frequenti, che s’intrecciano tra le finestre dei condomìni alle cinque della sera, “le terribili cinque della sera” come nella poesia di Garcìa Lorca. O come il “Silenzio” al crematorio dove sono approdate le bare che non possiamo accompagnare perché non sono più permessi i funerali nei luoghi di emergenza. Anche il Silenzio è un suono militare. Per onorare i “caduti”.
C’è chi ha proposto, in una di queste domeniche di falsa primavera, di accordarci tutti per qualche minuto di silenzio, non militare stavolta, in cui ciascuno dedichi il pensiero a una persona cara che non c’è più, o è lontana e non sappiamo dove, o se ne sta relegata in uno di quei lazzaretti che son diventate certe case di riposo in Lombardia, in Veneto, in Emilia, dove in pochi giorni i morti si son contati a decine, falciati dalla grande falciatrice nella loro fragilità.
La nostalgia è per le campane, un suono che si adattava a ogni occasione della vita. Il rito delle messe cattoliche, il suono di quelle “liberate” che suonano a festa il sabato santo, i matrimoni. Qui a Padova, dove vivo e scrivo queste righe, il campanone del Bo, che nel cortile vecchio suona a morto in onore dei professori che se ne vanno, accompagnando il rito dell’alzabara.
Quando torneranno a suonare per dirci che il pericolo grande è passato, che possiamo riprendere una vita libera? Di uscire, di correre, di darci la mano, di abbracciarci se siamo innamorati o semplicemente amici? E quando potremo celebrare di nuovo i riti, di cui abbiamo bisogno, quelli allegri e quelli tristi, quelli religiosi e quelli laici, in cui ritrovarci insieme ad altri, sentirci una comunità che, pur nelle differenze individuali, conosce gli stessi sentimenti. E che, dopo quest’ultima tragica prova riesca a mettere da parte quelli di rancore, di invidia, di vendetta, per far crescere quelli di amore? Se sarà così, anche il coronavirus ci avrà aiutato a diventare persone migliori.
L’idea è quella di un diario semi-quotidiano. Lei è Gabriella Imperatori, veneziana, da molti anni residente a Padova. Ha collaborato con quotidiani e riviste regionali e nazionali e con la Rai. Ha scritto per il Corriere del Veneto ed è direttrice responsabile del trimestrale Leggere donna. Tra i suoi romanzi Bionda era e bella (Rusconi, 1990), Questa è la terra, non ancora il cielo, con Gloria Spessotto (Tufani, 1998), Portami via con te (Marsilio, 2000), Trilogia dei baci (Marsilio, 2004), L’onda anomala (Marsilio, 2013). Con Apogeo ha pubblicato un racconto nell’antologia Io sono il Nordest (2016) e i racconti di Ballata per eroi senza nome (2017).

Pensieri sparsi di vite sospese.
Amici, autori, collaboratori di Apogeo Editore ci hanno consegnato, ognuno con il proprio stile, pensieri, racconti, riflessioni su questi “strani giorni”, che noi affidiamo ai nostri lettori.