Ci sono voluti venticinque anni per realizzare questo film. Raccontarlo è difficile. Bisogna vederlo. Per tante ragioni. Perché è bello, visionario, avventuroso, incantato, pieno di sostanza e sogni. E perché il regista è Terry Gilliam.

L’uomo che uccise Don Chisciotte dopo tanti anni di gestazione è al cinema. Le sue peregrinazioni prima di vedere la luce sono lunghe e complicate, piene di tentativi falliti, conflitti, ripensamenti, polemiche. Ora che è uscito non ha fatto il botto, in sala ci va forse solo chi conosce Gilliam, si ricorda la sua genialità e i Monty Python, il gruppo comico incontenibile nonsensico e appassionato di cui Gilliam era l’unico componente americano, gli altri tutti britannici. Tutto quello che si porta addosso come regista attore disegnatore scrittore, Gilliam lo riversa in questo film: il suo sguardo incantato su Don Chisciotte, forse il più grande eroe della letteratura, lo sguardo di un funambolo.

Non è un film tratto dal romanzo di Miguel de Cervantes, scritto nel 1605 e completato con la seconda parte nel 1615. Gilliam disegna un racconto senza tempo e restituisce ai nostri occhi e al nostro animo l’essenza di Don Chisciotte e di Sancho Panza, uno alter ego dell’altro, entrambi eroi puri.

La storia si svolge nelle terre assolate di Spagna, oggi. Toby è un regista di spot pubblicitari vanesio, egocentrico, geniale e in crisi creativa. Dieci anni prima ha girato da quelle parti un vero film, una sorta di compito di fine corso dal titolo L’uomo che uccise Don Chisciotte e ora, durante una pausa delle riprese, si trova per caso fra le mani una copia del suo lavoro giovanile. Senza neanche pensare scavalca il paesaggio arso della Mancha e va alla ricerca del suo Don Chisciotte, il vecchio calzolaio Javier, cavaliere perfetto, e di Angelica, figlia di un taverniere, tenera e sensuale Dulcinea. Quando Toby a distanza di tanti anni rivede Javier, rimane travolto da un vecchio pazzo chiuso nella sua armatura e convinto di essere Don Chisciotte. In un attimo Toby diventa il suo Sancho Panza e noi ci ritroviamo catapultati in avventure, visioni, paradossi, sogni che attraversano e incantano i nostri occhi.

Terry Gilliam ci accompagna in un mondo fantasmagorico folle e fatato per dirci quanto in ognuno di noi abiti Don Chisciotte. La vita ci dà mille occasioni per esserlo. A noi decidere se vestire l’armatura, salire sul fedele cavallo Ronzinante e partire, spada al fianco, alla ricerca di regni da espugnare, fanciulle da salvare, il cuore di Dulcinea da conquistare.

L’incantevole Javier lo fa, vestito di tutto punto. Toby viaggia al suo fianco, diventa il fedele Sancho Panza e tenta continuamente di ritornare alla realtà. Ma più cerca di riportare al presente Javier, più si accorge di quanto il cavaliere errante e il suo scudiero siano inseparabili.

È davvero un elemento importante, forse il cuore di questa storia. Perché non c’è nessun Don Chisciotte senza Sancho Panza. Non c’è sogno senza realtà, avventura senza quotidiano vivere, non ci sono incantesimi e giganti senza banalità e piccole cose. E dunque Don Chisciotte può combattere i mulini a vento, sfidare i felloni, conquistare regni e cuori perché Sancho Panza guarda un mulino e sa che non è un gigante. Ma siccome Don Chisciotte vive da quattrocento anni e non può morire, Toby ritrova la sua Angelica, Javier si ricorda di essere un calzolaio e Sancho Panza diventa il cavaliere alla conquista di mulini, regni e di Dulcinea. E tutti possiamo essere cavalieri erranti alla conquista di un cuore e di un reame.

Annotazioni: L’uomo che uccise Don Chisciotte si porta dentro i lunghi anni di gestazione, ma questo a parer mio è un pregio. Bravissimo Jonathan Pryce nei panni di Javier/Don Chisciotte e bravo anche Adam Driver (per tanti il Kylo Ren di Star Wars) che in questi giorni è nelle sale anche con il film di Spike Lee BLACKkKLANSMAN. Al cinema i Monty Python sono celebri per Monty Python – Il senso della vita (1983); come regista, tra gli altri, Terry Gilliam ha firmato La leggenda del re pescatore (1991) e L’esercito delle 12 scimmie (1995). Miguel de Cervantes ha iniziato a scrivere Don Chisciotte a Messina, mentre era convalescente di ritorno dalla battaglia di Lepanto. Il suo immaginario era denso di epopee, cavalieri, nobili fanciulle e ha dato vita al più grande cavaliere errante di tutti i tempi.

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