È stato presentato domenica, nella sezione Sconfini,  Effetto domino di Alessandro Rossetto. Anche se fotografa con impegno la deriva di un nord-est italiano consunto e intorpidito, e ha un cast di attori notevole, non scuote gli animi e non riesce a bucare lo sguardo e quel torpore.

Il film si muove lungo una linea che dalla profonda provincia veneta sconfina nel mondo e prova a dipanare i destini umani, molto umani, di quel microcosmo immenso di piccola e media impresa, strangolata e calpestata da un concetto di economia globale inarrestabile.

In una sonnacchiosa e brumosa cittadina termale, Franco Rampazzo e Gianni Colombo sono un imprenditore edile e un geometra in stallo, improvvisamente rinvigoriti da un progetto ambizioso e, sulla carta, di grande successo. Rilevare venti alberghi dismessi e trasformarli in residenze di lusso per anziani. Non case di riposo, ma appartamenti esclusivi per pensionati facoltosi di tutto il mondo. Facendo appello ai loro legami con il territorio e alla loro esperienza, raccolgono un gruppo di imprenditori locali disposti ad investire e a garantire così il sostegno delle banche.

Quella di Rampazzo è una ditta a conduzione familiare precisa e laboriosa. Colombo è il tecnico con i giusti agganci pubblici per sbrigare la parte burocratica. E i finanziatori accettano la sfida, vedendo nell’impresa la possibilità di un business, ad alto rischio iniziale sì, ma molto remunerativo nel tempo.

La possibilità, poi, di aprire le porte ad acquirenti stranieri è vista come la possibilità di rivalutare il territorio, di farne una meta ambita per chi vuole vivere nella pace e nel lusso.

Ma l’idea di speculare sulla morte lenta e dolce, anzi, di vendere il sogno della vita eterna, passa sotto lo sguardo di Vöckler, un faccendiere di respiro internazionale che in silenzio si insinua nell’affare e spezza il sogno di un’economia radicata nel territorio. Il gioco è perverso e quando la banca capofila esce dall’impresa, la piramide crolla sulle teste dei piccoli imprenditori.

Il film procede per scatti impressi sui singoli drammi. Dalla famiglia di Rampazzo, via via lungo tutta la teoria di imprese piccole e piccolissime coinvolte nel progetto. Le conseguenze sono terribili e producono quell’effetto domino, evocato dal titolo. Un rimbalzo che butta giù come birilli inermi le vite delle persone.

Io però avrei voluto sentirmi arrabbiata più che sconsolata. Avrei voluto che su vicende come questa – che  non sono più smascheramenti ma realtà impregnate come l’inchiostro della stilografica nella carta assorbente – si stendesse uno sguardo fulmineo, una regia movimentata capace di scavare in modo asciutto negli intricati labirinti di quell’economia  gigantesca, inafferrabile eppure ingombrante e definitiva che sradica i sogni, cambia in peggio le vite, annienta il territorio e il suo brulicare.

Non che necessariamente risultasse più bello che a vendere sogni di immortalità ai pensionati fosse un’impresa locale piuttosto che il finanziatore fantasma acquattato dall’altra parte del mondo. Ma avrei voluto provare l’irritazione profonda per il lavoro usurpato, i sogni disarcionati di chi fa e poi non se ne va ma è parte della comunità, nel bene e nel male.

Ma quella irritazione non l’ho provata. Invece, la sensazione di una panoramica sopra le cose, sì.

Annotazioni: Effetto domino si ispira all’omonimo romanzo di Romolo Bugaro (ed. Marsilio) e raccoglie un cast di attori molto bravi: Diego Ribon, Mirko Artuso, Maria Roveran, Marco Paolini, Lucia Mascino, Roberta Da Soller, Nicoletta Maragno.  Alessandro Rossetto è il regista di Piccola patria (2013), uno scatto pungente e molto efficace sul territorio, il lavoro, la discriminazione, la convivenza; era in concorso nella sezione orizzonti a Venezia 70.

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