Molta dell’infelicità che vediamo negli altri o che sperimentiamo direttamente è collegata al bisogno di approvazione, un aspetto della nostra personalità che è fisiologico nell’età evolutiva ma che dovrebbe gradualmente perdere di importanza fino a quasi scomparire con la maturità. Vogliamo piacere alla mamma, al babbo, al maestro e adottiamo comportamenti e atteggiamenti che si adeguino alle loro richieste e alle loro aspettative. L’adolescenza in genere porta con sé l’esigenza di creare una propria dimensione etica che da un lato provoca le crisi e le conflittualità nel rapporto con i genitori e con gli educatori e d’altro canto costruisce un’identità adulta cui riferirsi. Ma il processo è difficile, spesso non si realizza completamente ed è fortemente ostacolato dalla cultura dominante. La società capitalista ci vuole liberi e indipendenti solo a parole, ci spinge a pensare che la trasgressione sia indossare una marca di pantaloni piuttosto che un’altra o tingere i capelli nella nuance più rivoluzionaria, perché questo significa che saremo sempre erroneamente convinti di decidere del nostro futuro in modo autonomo e tuttavia pronti a buttare alle ortiche un paio di scarpe, ancora buone, semplicemente perché non sono alla moda. In realtà il peso del parere degli altri, la spinta a conformarsi ai modelli proposti dal consumismo, il corrispondere ai canoni estetici proposti dai media, sono elementi talmente potenti da condizionare il nostro comportamento e da generare un senso di insoddisfazione e di inadeguatezza che spesso sfocia nell’infelicità. Le multinazionali ci vogliono eterni bambini, consumatori immaturi in costante astinenza da shopping e con una inarrestabile bulimia consumistica. Ricordo che quando Swatch iniziò deliberatamente a distribuire “a scacchiera” i suoi modelli Scuba e Crono, riuscì a creare un desiderio di acquisto talmente forte nelle aree in cui i prodotti non erano disponibili, da indurre “migrazioni” di clienti disposti a fare un viaggio pur di assicurarsi l’oggetto del desiderio. A mente fredda, obiettivamente, sciropparsi 200 km per acquistare un orologio di plastica che comunque svolgeva le funzioni assolte da qualsiasi altro orologio da polso è un comportamento idiota, incompatibile con la maturità culturale ed emotiva. Se questo spiega le legioni di “tronisti” con le sopracciglia depilate e la Mini parcheggiata poco distante che incrociamo al bar, figure tutto sommato tra il divertente ed il patetico, è comunque la ragione per cui migliaia di adolescenti soffrono le pene dell’inferno perché non assomigliano rispettivamente a Belen Rodriguez o a Brad Pitt. La desinenza di queste pene va dall’abuso di Kinder paradiso ai disturbi della personalità, con le dovute proporzioni. Ma l’immaturità ha anche un risvolto tragico, quando sfocia nel bullismo, nel suicidio, nell’anoressia o ancora nella confusione tra amore e possesso, nella violenza personale, nell’omicidio del partner (che mi rifiuto categoricamente di definiure con l’orrendo termine femminicidio – espressione di un pressapochismo lessicale che detesto e che sottintende l’accettazione del termine “femmina” di per sé pericoloso). L’immaturità è alla base di molti problemi, essa è l’ostacolo alla costruzione di rapporti equilibrati, paritetici, è il presupposto di una visione infantile che vede la soddisfazione dei propri desideri come una sorta di gravitazione universale delle relazioni umane, che impedisce di concepire i diritti e la felicità altrui come limite alla propria libertà. E’ l’orrore di vivere i rapporti affettivi gestendoli come contabilità sentimentale. Liberiamoci da questa schiavitù.

L’ESTUARIO DEL PO. Cronache non necessariamente conformiste. Mario Bellettato è nato ad Adria nel 1956. Dopo gli studi classici e la laurea in giurisprudenza ha intrapreso una carriera manageriale che lo ha portato a lunghe permanenze all’estero. Ha lavorato come copywriter per alcune agenzie di pubblicità e si è occupato di formazione per l’Unione Europea. Ha pubblicato i romanzi “Il sognatore” (2015) e “Due perle” (2020).