Ci sono momenti della vita in cui ci si rende conto di essere stati assolutamente fortunati ad aver conosciuto uomini che hanno davvero vissuto per l’arte e con l’arte nel cuore, insegnandoci a guardare il mondo che ci circonda davvero nella sua interezza, con la sua musica, le sue immagini, i suoi silenzi, le sue emozioni.

Uno di questi uomini è, senza dubbio, Gianni di Capua. Parlo di questo artista al presente perché sono certa che, anche se è mancato a questo mondo poche settimana fa, le sue opere, ma soprattutto i suoi insegnamenti continueranno ad essere ricordati e messi in pratica dai suoi allievi. E anche da chi allievo non lo è stato direttamente, ma ha avuto la fortuna di conoscere lui e le sue opere.

Gianni di Capua (Zurigo, 20 luglio 1959 – Abano Terme, 23 settembre 2018) ha vissuto in un periodo storico davvero in fermento per quel che riguarda i cambiamenti del mondo audiovisivo e, così come il mondo intorno era in fermento, anche la sua mente e la sua creatività andavano di pari passo. Artista eclettico, Gianni è stato regista teatrale, televisivo, sceneggiatore e produttore.

Chiunque abbia avuto la fortuna di entrare nello studio di Gianni, nella sua casa di Abano, ha potuto fin da subito capire che questo uomo aveva davvero interessi poliedrici: classici italiani e stranieri, in lingua originale, intervallati da saggi storici e politici, biografie di grandi personaggi che abbiano concorso alla storia del cinema e della televisione. E poi, cataloghi di mostre, di musei, delle varie edizioni della Biennale del cinema e dell’architettura, raccolte epistolari di compositori e scrittori, prime edizioni e ed edizioni uniche.

Ci si perdeva in quello studio e si rimaneva a bocca aperta nel pensare che si trattava non di libri “lasciati a prendere polvere sugli scaffali”, come spesso capita, bensì di libri densi della fatica e del piacere dello studio che Gianni di Capua aveva loro dedicato. E poi dischi, VHS, DVD, CD… quadri, sculture… ARTE, insomma.

Fin dalla giovinezza Gianni ha intuito l’importanza dell’arte in tutte le sue sfaccettature.

L’amore per la musica si è manifestato durante gli anni del liceo con lo studio del pianoforte, che Di Capua non aveva mai abbandonato e così era possibile, talvolta, alla fine di una cena o della presentazione di un libro, vederlo sedersi al piano e suonare qualche brano per intrattenere gli amici più intimi.

La musica è stata il primo amore che lo portò ad iscriversi alla scuola di musica elettronica del Conservatorio di Padova, dove fu allievo di Teresa Rampazzi (alla quale Di Capua dedicherà tre puntate su Radio 3 nella rubrica radiofonica “Scatola sonora”, durante gli anni ’90), che ne riconobbe la capacità tale da conseguire nel 1981 una menzione d’onore al Concorso Internazionale Luigi Russolo per giovani compositori di musica elettroacustica.

La frequentazione degli ambienti artistici di Venezia e della Biennale è stata per Di Capua importante per la conoscenza del nuovo linguaggio della videoarte che si stava facendo strada negli anni ‘70 italiani. E proprio in quegli anni che Gianni, grazie alla sua preparazione e sensibilità musicale, divenne l’assistente musicale di Francette Leviuex, fotografa dell’Opera Nazionale di Parigi e documentarista del lavoro di coreografi dello spessore di Roland Petit o danzatori come Rudol’f Nureev, che Gianni ha visto così danzare a pochi metri. Vedeste l’emozione nei suoi occhi nel raccontarmi di quegli anni.

Di certo questa esperienza parigina ebbe un’influenza fondamentale, poichè negli anni ’80, tornato in Italia, l’amore per la danza e per il teatro nel contempo, hanno dato origine a collaborazioni con importanti teatri italiani e con coreografi e musicisti internazionali.

Ma poiché l’arte è stata spesso ignorata dalle istituzioni, ieri come oggi, Gianni di Capua non si è mai fermato davanti alle difficoltà e nel 1985 ha messo in scena, a proprie spese, la versione per pianoforte e canto de “La voce umana”, una tragedia in un atto unico di Francis Poulenc tratta dall’omonimo monologo drammatico di Jean Cocteau del 1928.

Non solo la regia teatrale ha dimostrato il suo talento, ma anche la regia lirica, con la messa in scena de “L’Italiana in Algeri” di Rossini, nel 1990.

Nel frattempo, Gianni si è dedicato in modo importante alla documentaristica radiofonica per Rai Radio 3 e televisiva collaborando a più riprese con RaiSat 1, presentando documentari di musica e danza registrati in vari teatri italiani e, soprattutto, nei teatri veneziani della Biennale.

Fondamentale è ricordare la documentaristica creata a proposito di Luigi Nono e della musica elettronica che, seppur difficile, è stata amata da Gianni fin dai primi studi e regalata anche ai non cultori della stessa così che possano, se non amarla, comprenderla.

Si tratta del film “Respiri, silenzi…altri ascolti. La prassi musicale dell’ultimo Nono”, realizzato nel contesto del Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia del 1993; esso indaga la poetica musicale dell’ultimo Nono dove il compositore aveva maturato un’idea del suono e dello spazio modificando il testo e l’esecuzione musicale tradizionale. Il film è arricchito con testimonianze di Mimma Guastoni, Alvise Vidolin, Ciro Scarponi, André Richard e Roberto Fabbriciani. Il film è stato presentato fuori concorso alla 51ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 1994.

Gianni di Capua, dell’arte e della vita in generale, ha sempre cercato “il bello”. Nei documentari per RaiSat, che tutt’oggi sono in programmazione sui canali dedicati alla cultura come Rai5, ha saputo combinare la bellezza dei corpi nella danza alla perfezione dei movimenti della macchina da presa. La collaborazione con la coreografa Carolyn Carlson nel 2001 portò ad un documentario prodotto dalla Biennale di Venezia e dalla Fondazione Teatro Massimo di Palermo, registrata al Teatro alle Tese a Venezia, lo ha trovato pronto ad una regia impeccabile: ancora una volta la dimostrazione di quanto lo studio di tutte le arti sia stata fondamentale per un artista della sua taratura.

Gli anni della maturità, quelli che si respirano nello studio del mio caro amico Gianni, si possono ritrovare nelle ultime opere che l’hanno visto impegnato dal punto di vista lavorativo in questi ultimi 10 anni. La prima di queste opere, in termini temporali, è il documentario “Richard Wagner. Diario veneziano della sinfonia ritrovata”, del 2013, in cui è possibile ritrovare uno splendido piano sequenza che ci fa godere della musica in tutta la sua magnificenza. Ambientato nella città lagunare nell’inverno del 1882 il film ricostruisce, a partire da un’accurata ricerca storica e musicologica, l’esecuzione presso il Ridotto del Teatro la Fenice dellaSinfonia in Do. Per l’alto valore culturale e la qualità il film è stato presentato nel 2015, in occasione del bicentenario della nascita del grande compositore tedesco, nell’ambito del Festival di Bayreuthe alla Library of Congress di Washington il 7 novembre 2014 in prima statunitense.

La musica è vita, vi direbbe, Gianni, se foste seduti nel suo studio, sorseggiando un caffè come siamo stati soliti fare, in questi anni. E così, vi mostrerebbe spezzoni dei due film concerto ripresi nel 2015: “Zoroastro. Io, Giacomo Casanova”, basato sulla tragédie lyrique di Louis de Cahusac e Jean-Philippe Rameau nella traduzione italiana e testi di Giacomo Casanova con Galatea Ranzi e la Theresia Youth Baroque Orchestra, diretta da Claudio Astronio e realizzato in collaborazione con la Sagra Musicale Malatestiana e “Piani Paralleli”, da una suite per quartetto Jazz e orchestra d’archi composto dal pianista e compositore siciliano Giovanni Mazzarino, in associazione con l’etichetta discografica milanese, Jazzy Records.

Gianni di Capua sapeva raccontare la musica, sapeva con un’unica telecamera narrarla, ascoltarne i silenzi e i respiri. (Un archivio delle sue produzioni si può trovare anche al link theresia.arstecnica.it/tag/gianni-di-capua).

Tra il 1999 e il 2009 ha insegnato “Storia e Tecnica del documentario artistico” presso il Corso di Laurea in Tecniche Artistiche dello Spettacolo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e Produzione e consumo di arte cine video riprodotta presso la laurea triennale di Economia e gestione delle arti e delle attività culturali (EGARD). Dal 2006 è stato docente a contratto al DAMS, Università di Udine, sede di Gorizia, di “Gestione e organizzazione dello spettacolo”.

Dal 2003 al 2007 Gianni è stato il direttore artistico della Fondazione Benetton, a Treviso, e ha portato nella città di “Signore & Signori” grandi nomi della letteratura internazionale come Fernanda Pivano, Henry Pousseur, Michel Butor, facendo rinvigorire nella città della Marca la voglia di arte.

Gianni di Capua era sempre pronto al dialogo perché dal dialogo viene la crescita di entrambi, di chi parla e di chi ascolta perché, come scrive Seneca nelle Lettere a Lucilio: “C’è un vantaggio reciproco, perché gli uomini, mentre insegnano, imparano”.

E Gianni di Capua è stato un grande insegnante non solo per i suoi allievi dell’università, bensì anche per noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo e poter rimanere seduti con lui nel suo studio mentre ci raccontava la sua vita tanto piena di arte.

E chi non l’ha conosciuto, cerchi i suoi lavori, veda i suoi documentari, vada a Palazzo Bomben a Treviso e cerchi di respirare l’aria di una città che Gianni ha amato e cercato di fare crescere culturalmente e che ora, dopo tanto tempo, ancora ricorda gli anni della sua direzione artistica della Fondazione Benetton come anni di grazia.

Io, però, non me ne vogliate, l’ho conosciuto e, per questo, sono una donna fortunata.

Monica Mantovani

5 risposte

  1. Grazie per aver creato questa stupenda testimonianza.
    Onorata di averlo conosciuto e di essergli stata amica.
    Serena

  2. Bravissima Monica, davvero intensa ed emozionante la tua ricostruzione biografica di Gianni come artista e come uomo , così legato all’arte in tutte le sue forme. Grazie anche per i video che hai allegato che mi permetteranno di conoscere meglio le sue grandi doti artistiche.

  3. Sono Mauro Gaffuri. Ho conosciuto Gianni Di Capua nel 1984 a Milano. Arrivò alla redazione di “Altrimedia”, mensile di spettacolo di cui ero redattore, per parlarmi di una sua messinscena, una delle sue prime: “Harlekin” di Karlheinz Stockhausen. Lui aveva 25 anni e manifestava un grande entusiasmo per i suoi progetti. Io ne avevo 28, di anni, e avevo appena scritto un lungo articolo su Stockhausen andato in scena al Palazzo dello Sport di Milano, intervistando il regista Luca Ronconi e la scenografa-costumista Gae Aulenti. Forse per questo mi aveva cercato. In verità, il suo campo d’azione, la musica contemporanea, non era il mio. Ma trovammo un’intesa nella comune passione per il teatro e per il cinema. Per alcuni anni ci siamo sentiti al telefono, spesso incontrati, ho scritto qualche articoletto su di lui. Fui presente nel 1985 alla prima di “La voce umana” di Francis Poulenc, con la sua regia, al teatro di Montegrotto. Abbiamo continuato così per qualche anno. Ogni volta che si trovava a Milano, avevamo occasione di pranzare o cenare insieme. Se non aveva dove dormire, si fermava da me. Poi i nostri impegni sono aumentati, le strade si sono separate. Occasioni di rivederci, nessuna. Ancora a lungo, ma sempre meno frequenti, le telefonate. Un ultimo incontro c’è stato tra noi ad Abano, non ricordo con precisione quando, forse qundici anni fa. Già lavorava per la fondazione Benetton e si erano moltiplicati gli impegni, tra teatro, televisione, università. Poi il silenzio. Stasera, per caso, accendo Rai5 e mi imbatto nel suo documentario “Richard Wagner. Diario veneziano della sinfonia ritrovata” e mi viene voglia di cercare su Internet qualche notizia su di lui. Lo shock è stato forte. Apprendo della sua morte prematura, due anni fa, a 59 anni (anche se i giornali scrivono 62, forse Wikipedia sbaglia l’anno di nascita 1959?). Nessuno scrive la causa di questa morte. Sono addolorato, annichilito, senza pace per non averlo più sentito in tutti questi anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.