Chissà com’è andata a finire la vicenda dei pavoni di Marina Romea?

Lo scorso ottobre su alcuni quotidiani locali romagnoli e nei trafiletti della cronaca nazionale aveva vissuto un momento di breve notorietà il disagio manifestato dagli abitanti di Marina Romea, località balneare nei pressi di Ravenna, alle prese con un’invasione di pavoni.

Disagio causato, a detta degli esasperati possessori di casette al mare, dall’ovvia abitudine dei pennuti di scacazzare in giro, ma anche dai danni provocati alle tegole dei tetti (sic) e – a completare il crescendo drammatico tipico di questo genere di cronache – l’abitudine perfino di becchettare i finestrini delle automobili, scambiando il proprio riflesso per un altro animale. Per non parlare della caciara continua: pare che per le orecchie dei romagnoli, pur avvezzi a sopportare per mesi i più cacofonici tormentoni estivi, il verso dei pavoni sia davvero insostenibile.

Dopo quel breve exploit, dei pavoni di Marina Romea non si è più saputo nulla, né è dato sapere a quanti milioni di euro ammontino i danni causati da questo flagello.

Ma da dove erano sbucati fuori i pavoni – una colonia di una trentina di esemplari – che scorrazzano o scorrazzavano per le vie della località romagnola? Da un paio di esemplari liberati in natura, che nell’arco di un qualche anno avevano provveduto a mettere su famiglia.

Se questa piccola banda di bestiole moleste ha destato tanto scalpore da parlare di “invasione”, dev’essere perché i pavoni siamo abituati da sempre a vederli scorrazzare in sicuri recinti. E forse perché, nonostante sia presente nella nostra penisola da secoli, l’elegante uccello non è riuscito a scrollarsi di dosso quell’aria esotica e un po’ aliena, che ne testimonia le origini asiatiche.

Curiosamente, c’è un altro animale originario dall’India, che ha letteralmente invaso l’Italia in tempi molto più recenti senza destare altrettanto scalpore.

Riuscite a immaginarvi le nostre città o le vicine campagne senza il caratteristico batter d’ali e il tubare delle tortore? Eppure c’è stata un’epoca non lontana in cui da queste parti questo comunissimo uccello era completamente sconosciuto, ad eccezione della sua versione autoctona, che vive in genere in campagna e che oggi è ridotta a piccoli numeri.

Il primo esemplare di tortora dal collare, infatti, è censito sul territorio italiano nel 1947, per l’esattezza in una località del Fiuli Venezia Giulia. Una capacità di espansione mica da poco, quella di questo pennuto nativo dell’India, arrivato in Europa attraverso i Balcani nell’arco di pochissimi anni ed oggi diffuso dappertutto.

Una manciata di decenni dopo la sua comparsa nel lembo più orientale della penisola, ai miei occhi di bimbo la tortora era già un pennuto qualunque, come il merlo e il passero. Così come per un bambino di oggi è assolutamente banale la visione di una gazza che saltella nel proprio quartiere.

Insomma, quelli che oggi dipingiamo come invasori alieni, un domani ci sembreranno essere sempre stati “uno di noi”. Prendiamolo come un buon auspicio, visti i tempi.

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