Matthias Stom, “Esaù e Giacobbe”

Molti elettori di destra si rivolgono a chi vota a sinistra utilizzando termini in qualche modo spregiativi, come “sinistroidi”, “sinistri”, “comunistoidi” o più semplicemente “comunisti”, ma anche in questo caso la parola viene pronunciata con un tono che le conferisce, secondo chi la utilizza, un connotato di per sé negativo. È una semplificazione che la dice lunga sull’analisi politica che si possono permettere. L’atteggiamento ha radici antiche: nasce dall’opposizione teo-ideologica dei cattolici, a volte dall’influenza dell’ambiente familiare, oppure più in generale è il prodotto della propaganda postbellica della Nato e della DC. Va detto che le esperienze dei paesi del cosiddetto “socialismo reale” ce l’hanno messa tutta per confermare quel giudizio sul comunismo e anche le poche nazioni “non allineate”, come per esempio la Yugoslavia, non sono riuscite a realizzare una società veramente socialista, anche perché erano stritolate e ricattate dai due blocchi contrapposti ai tempi della guerra fredda. Tuttavia, se si scava a fondo nelle diverse motivazioni individuali che spingono i conservatori a questa avversione radicale nei confronti di ciò che appare “di sinistra”, si scopre che ci sono elementi comuni, molto spesso riconducibili a fobie. La paura di perdere la propria ricchezza da parte dei bolscevichi rapaci, il terrore omofobico di vedere la famiglia eterosessuale sancita dal sacro vincolo del matrimonio parificata alla coppia di fatto o addirittura ai matrimoni gay. C’è anche la vasta palude dove prospera l’avversione razzista, il timore di doversi confrontare quotidianamente con religioni, culture e abitudini diverse, l’insicurezza che spinge a evitare un confronto da cui si potrebbe uscire sconfitti, sconfessando la supremazia bianca. Spesso i crimini e gli episodi di violenza collegati, per esempio, all’immigrazione costituiscono il pretesto per dare la stura a campagne di odio razziale, ma le fobie di cui parlo sono più profonde e sussistono, latenti, anche se non ci sono conflitti. Mi riferisco a quando per esempio immigrati ben integrati fissano la propria residenza in quartieri tradizionalmente occupati da famiglie “autoctone”, oppure quando i figli degli immigrati iniziano a frequentare istituti scolastici dove rappresentano un fenomeno nuovo. Dietro a questa xenofobia culturale c’è un modo restrittivo di intendere la vita, di entrare in relazione con il mondo esterno: si ritiene di rappresentare un modello perfetto, corretto, benedetto dalla religione e moralmente giusto, e che qualsiasi altro genere di famiglia, di abitudine e di società sia “sbagliato”. La cosmologia di destra è affezionata a un universo fatto di cerchi concentrici, che vede al centro la famiglia tradizionale, poi i parenti, i concittadini, i connazionali (e già qui si dovrebbe distinguere tra nordici, terroni ecc.), poi gli europei (ma solo quando serve, altrimenti ci sono i “crucchi, gli slavi, e altre “sottospecie”), per finire coi bianchi. Più ci si allontana dalla famiglia, più è difficile convivere e meno degne di tutela sono le istanze che provengono dai soggetti “lontani”.

Questa concezione ideale per molti aspetti rammenta i gironi infernali e è casuale che “prima gli italiani” sia uno degli slogan che hanno fatto maggiore presa nell’elettorato di destra. Ciascuno, nei limiti previsti dalla costituzione e dalle leggi, è libero di vivere come crede, ma non può pretendere di imporre il proprio modello agli altri e neppure vietare che essi se ne creino uno diverso, sempre entro i limiti che abbiamo descritto. Questa pretesa ortodossia miope e illiberale nasce anche dalla mancanza della percezione e della consapevolezza dei limiti e dei problemi insiti nel modello di società di cui si fa parte: non se ne vedono i difetti perché questa presa di coscienza incrinerebbe l’idea di perfezione e di superiorità di uno stile di vita che non si intende cambiare. Non si vuole accettare, per esempio, che la povertà sia il sintomo di qualcosa che non funziona e che va combattuto, al contrario essa è considerata alla stregua di una colpa, la punizione per chi “non vuole lavorare”. Oppure si ritiene che non si possa evitare il degrado dell’ambiente: è il prezzo ineluttabile del progresso, del resto la condanna obbligatoria a perseguire all’infinito un’utopistica espansione economica è considerata un dogma, è la premessa cui tutto, anche la politica, si deve adeguare. Lavoro, guadagno, decido io come spendere i miei soldi: questo è uno dei mantra del pensiero spicciolo del consumatore di destra, che non si cura se il consumo sconsiderato di risorse danneggia l’ambiente che non è di proprietà esclusiva di chi, per esempio, vuole riscaldare la sua abitazione con temperature africane per passare l’inverno in T shirt o usa automobili enormi che inquinano in modo inaccettabile. Caldaie e motori scaricano i veleni nell’ambiente che è di tutti e non solo di questi consumatori incoscienti. Perché chi va al lavoro in bicicletta deve ammalarsi di cancro ai polmoni a causa delle emissioni del SUV del suo vicino? A questa osservazione (da “comunista”) i conservatori rispondono seraficamente che è sempre stato così, va bene così, è giusto così! A volte addirittura guardano l’interlocutore come se fosse una sorta di vispa Teresa ingenua e infantile.

È questo il nocciolo della questione: chi ragiona in questo modo non riesce a capire quale sia la radice fondamentale del socialismo, semplicemente perché empatia e solidarietà gli sono estranee, al massimo concepisce la carità, l’elargizione del potente verso l’inferiore che comunque deve restare tale e non ha diritto a pari dignità. Come dire: tu sei nato in una famiglia sfortunata, non hai denaro, non hai potuto accedere ad una buona istruzione e resterai povero e ignorante, non potrai curarti bene se ti ammali e non puoi pretendere una vita dignitosa. È chiaro che partendo da questi presupposti si vede il comunismo come un sistema che vuole mette in discussione la distribuzione delle ricchezze e non come una dottrina che, pur con tutti i limiti, parte dall’idea che tutti gli uomini abbiano diritto a un’esistenza dignitosa.

Tra destra e sinistra c’è anche una contrapposizione in tema di diritti individuali: se i conservatori non sentono l’esigenza di esercitare un diritto, non lo vogliono concedere agli altri, nemmeno quando per loro sarebbe ininfluente: è per questo che, per esempio, buona parte della destra non vuole concedere alle donne, nemmeno nelle ipotesi in cui appare moralmente ragionevole, la possibilità di decidere se portare a termine una gravidanza o meno: non accettano che altri abbiano una libertà che loro negano a sé stessi.
Ora abbiamo un governo di destra, salito legittimamente al potere a seguito di una chiara indicazione elettorale. I commenti si sprecano, come le lodi e le critiche, ma c’è un errore di fondo, un errore strategico che non dobbiamo commettere: confondere i principi con la convenienza, perché è proprio questo che la destra sta cercando di fare. Quello che voglio dire è che se ad esempio questo governo riuscisse a ridurre le bollette (ne dubito perché potrà farlo solo a debito e poi quel debito ce lo dovremo pagare, a meno di non credere al Campo dei Miracoli come fece Pinocchio), non possiamo accettare che la camera sia presieduta da un soggetto che (testualmente) considera “schifezze” le famiglie gay e che il senato abbia come presidente un fascista con un passato da picchiatore. Il disinteresse e l’indifferenza alle questioni di principio sono il terreno di coltura delle derive autoritarie, la democrazia è un edificio fragile e se togliamo qualche mattone dalle sue fondamenta, il crollo è inevitabile. Se accettiamo un presidente della camera cattolico integralista e dichiaratamente omofobo siamo come quelli che dicono che in fondo Mussolini ha fatto anche cose buone. Qualcuno mi rivolgerà la fatidica, quanto inutile domanda: “e allora?”. Penso che dovremmo manifestare, scendere in piazza e dare voce e peso a quella parte del paese che vuole difendere le libertà democratiche. Non ho una risposta immediata, e nemmeno una soluzione pronta da usare come fosse un surgelato che basta mettere nel microonde, ma spero sinceramente che queste note ci aiutino a essere critici nei confronti del governo e magari di recuperare un po’ di lucidità quando andremo a votare di nuovo.

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