Forse non lo dimentichiamo ma ci badiamo poco. Cinquant’anni fa era il 1968. Forse ci badiamo poco perché oggi come oggi il mondo ha i suoi problemi e, in fondo, il Sessantotto è un concetto che è stato triturato dalla retorica in questo mezzo secolo.
Ne parlo da profana, perché non ho fatto rivoluzioni e quando c’è stata proprio quella ero una bimba piccola piccola, e dunque non ho marciato, non ho lottato, non ho ragionato né discusso. Nonostante questo, sono convinta che tutti quelli che il Sessantotto non l’hanno vissuto in piena faccia e tutti quelli che sono venuti dopo, quella ventata ce l’abbiano dentro. Metabolizzata da nuovi modi di pensare, di guardare il mondo, di percepire se stessi. Perché il capovolgimento di quegli anni – compresa una buona parte degli anni Settanta – è stato culturale e nella cultura c’è pensiero, azione, convivenza, percezione di sé e del mondo. E c’è il corpo. La consapevolezza che il corpo siamo noi ed è la nostra casa. E noi significa la carne le ossa i pensieri le emozioni e tutti i sentimenti.
La
rivoluzione sessuale che ha squarciato tabù e retaggi pachidermici, inviolabili
fino a pochi anni prima, è stato un rovesciamento dello sguardo su di noi,
donne e uomini, su quanto siamo o dovremmo essere preziosi, presenti a noi
stessi, innamorati della nostra carne e di tutto ciò che contiene. Qualcosa che
non è accaduto allora in un attimo e che continua a procede per avanzamenti, cadute,
ripensamenti. Ma guai a dimenticarlo.
Forse parlo
così perché, anche se ero piccola piccola, in fondo c’ero. E c’ero forse grazie
a una zia, amatissima zia, che a quattro cinque anni mi portava nei circoli
anarchici e mi diceva quanto ero bella, non come fossi una bambolina, ma come
una personcina che aveva dei limiti precisi fuori – un tratteggio di matita – e
poteva essere sconfinata dentro, solo a crederci e a volerlo. Neppure questo è
accaduto e accade in un attimo.
Ma ho dentro
il sapore di ragazze e ragazzi a vent’anni, tutti in cerchio attorno a un fuoco
e io con loro, gambette incrociate, a cantare canzoni tra minigonne, pantaloni
a zampa di elefante e barbe lunghe. E la zia, capelli liscissimi corvini stesi
fino al culo, bella più di Pocahontas. Non è tanto per le canzoni, ma per
quella sensazione di naturalezza, di coesistenza di corpi pensieri emozioni.
Mica tutti uguali, per fortuna, ma tutti disposti a stare lì. Questo era il bello.
Resta solo lo sguardo incantato dell’infanzia, privo di ogni ruvidezza, ma è comunque
qualcosa più di niente.
Lo so, non
sto ancora parlando del film. Non l’ho neanche nominato. Eppure, c’è un film
che ha scatenato questo sproloquio. È in sala e, anche se tecnicamente non è perfetto
e si regge fondamentalmente sulla prova di un’attrice, l’invito è a cercarlo nei
cinema delle città più vicine. Chesil
Beach di Dominic Cooke.
La storia si
svolge in Inghilterra nel 1962. Non c’è alcuna liberazione sessuale in atto, ma
ciò che accade mostra quanto fossero lunghe le propaggini di quel sovvertimento,
prima e dopo il Sessantotto.
Edward e
Florence sono due ragazzi cresciuti negli anni Cinquanta che si affacciano alla
conoscenza del mondo e di se stessi. Hanno un carico pesante, quello di un
sistema sociale e familiare strutturato sul bene e sul male, su un rigido
conformismo e sul totale occultamento del corpo e della sessualità. Parole tabù
sepolte da tonnellate di decenza. Su questo sfondo si innamorano, si sposano e
si preparano a vivere la loro prima notte di nozze a Chesil Beach, località balneare
nella contea di Dorset.
Il film si
snoda nell’arco di quella notte, di alcuni ricordi e di un dopo, nel 1975 e poi
nel 2007. È un lieve e potente inno alla definizione di sé. Edward e Florence arrivano
a Chesil Beach carichi di attesa e paura, hanno condiviso un romantico fidanzamento
e sono sicuri di amarsi. Ma non sanno cosa significhi esplorarsi. Ora che sono soli,
legittimati dal sacrosanto matrimonio, il peso insostenibile del mondo in cui
sono cresciuti li travolge. Ed è una tragedia, perché in poche ore consumano i sogni,
macinano paure, dicono no e fuggono incapaci di raggiungersi.
Oggi a noi la
liberazione sessuale sembra una cosa lontana. Questo film però ci ricorda che il
magnifico capovolgimento del Sessantotto ci ha insegnato a tratteggiare il nostro
corpo e ciò che contiene. Carne ossa pensieri emozioni e tutti i sentimenti.

Al cinema e altrove
Elena Cardillo è appassionata di cinema e parole. In effetti i suoi studi sono stati di giornalismo e immagini in movimento. Di cinema si occupa nel suo lavoro, mettendoci ogni tanto anche qualche parola scritta.