La Turchia se ne sta spiaggiata tra il Mediterraneo e il Mar Nero come un gigantesco capodoglio o come un telo stirato sopra il mare. È solcata da paesaggi aspri di monti e altopiani, ma anche colline, valli, distese boscose e campagne desolate.

Questo enorme cetaceo che da est si protende sul mare è stato di Ittiti, Persiani, Macedoni, Romani, Bizantini, Ottomani, ci sono passati i crociati, i veneziani e i genovesi, quelli delle repubbliche marinare. Le terre centrali, fino quasi alle estremità dei quattro punti cardinali, per lo più sono frammenti di Anatolia, ma poi ai margini a tuffo sul mare ci sono regioni più piccole. E a nord-ovest, unico spicchio europeo, dove lo Stretto dei Dardanelli unisce il Mar Nero all’Egeo, sta la Regione di Marmara e lì la provincia di Çanakkale.

La Turchia è una porta ventosa tra oriente e occidente, un crocevia di genti, pensieri, poteri, religioni e sentimenti. Impensabile che sia tranquilla, le guerre lontane e stratificate si perdono nella notte dei tempi, basta Troia a ricordarle, e sta proprio lì, accanto a Çanakkale, dove torna Sinan.

L’albero dei frutti selvatici del regista turco Nuri Bilge Ceylan spalanca quella porta ventosa e racconta la Turchia di oggi che ha dentro tutta la storia di quel lembo di terra eurasiatica. Sinan si è laureato e torna a casa. Ha scritto un romanzo e vuole pubblicarlo. Intorno a lui la famiglia, la comunità, gli amici, il sindaco, l’imam, il vice imam, i nonni vecchi e saggi. E una cosa più grande e potente che lo accoglie, protegge, disorienta, graffia, accarezza: la terra che gli sta addosso.

Ho pensato molto, forse troppo, prima di dare forma alle parole. Perché questo è un film che sfugge, un canto che si stende sui campi arsi dall’estate, sulle fronde agitate dal vento che viene dal mare, sulle foglie ramate vestite d’autunno, sui fuochi accesi nelle campagne e sui terreni gelati dall’inverno. Lo stesso vento strapazza i pensieri e mescola millenni di storia. Ceylan racconta la Turchia attraverso il peso delle persone. Sinan, Idris, Asuman, Yasemin, i nonni, il sindaco, l’imam, pesano su quella terra come i millenni di storia che si porta addosso. E la terra li sostiene come fossero piume che la sfiorano appena.

Sinan parla con tutti, cerca di capire, si contraddice, è disorientato, infelice, pieno di attese, arrabbiato, eroico, a tratti meschino. Ho riflettuto con un amico dopo aver visto il film, eravamo colpiti dal pensiero di Sinan, uno sguardo laico sul mondo che ci è apparso inutile di fronte a una terra colma di contraddizioni, senza ragioni da proporre o difendere o sostenere o, al contrario, con troppe ragioni, troppe verità e pretese. E mi pare che non sia una condizione solo della Turchia, mi pare che il mondo oggi abbia poche ragioni da proteggere, poca bellezza da esibire, troppo irrinunciabile accanimento. E mi dico che forse è un bene. Perché il mondo è come il pero selvatico di cui la Turchia è disseminata, albero nodoso, frondoso, mimetizzato con i colori delle stagioni, poco visibile dunque. E infatti nessuno lo nota, nessuno si accorge di quanto appartenga alla terra, tanto è simile a lei. E dato che è selvatico, indomabile, lasciato a se stesso, produce frutti sbilenchi, dalle forme bizzarre e poco attraenti ma, dice Idris il padre di Sinan al figlio, dolcissimi. Una dolcezza piena anche tra loro, padre e figlio. Un sapore che il frutto prende dall’albero che l’ha cresciuto, come prende le storture perché segue libero i movimenti della natura, dunque è imperfetto amabile gustoso.

Mi ero detta che avrei raccontato questo film, che avrei cercato parole incisive e lucide. Ma questo film è una poesia e la poesia non si spiega. Ne sono convinta nonostante il verso poetico, scritto o di altra natura, sia da sempre domato dall’analisi del testo. La poesia sta sulla pelle e se entra dentro, scorre e rimane inafferrabile, chiarissima. E se ha parole sono solo le sue, non quelle degli altri.

Annotazioni: L’albero dei frutti selvatici era in concorso quest’anno al Festival di Cannes. È stato prodotto da Turchia, Francia, Germania, Bulgaria, Macedonia, Bosnia-Erzegovina. I film di Ceylan hanno vinto a Cannes diversi premi; nel 2014 Il regno d’inverno – Winter Sleep ha conquistato la Palma d’oro come miglior film.

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