Un disagio diffuso mi aveva afferrato e non riuscivo a liberarmene. All’uscita dal cinema ho sputato una sentenza secca per un film brutto e fastidioso. Non c’erano pensieri e parole. Poi le immagini hanno continuato a scorrere dentro per giorni, riflessioni e discorsi mi uscivano così, senza che lo volessi.Infine mi sono arresa. Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos mi ha colpito e non sono così sicura della sua inutilità. Del fastidio sì. È urtante e paradossale al punto che devi cominciare a spulciare le sequenze che ti sono rimaste dentro per cercare riferimenti, annotazioni, citazioni che accolgano quel paradosso. Di sicuro c’è nel regista greco una grande ambizione, una brama di andare oltre fino all’eccesso. Però riconosco a Lanthimos e al film qualcosa di toccante. Le inquadrature prima di tutto, poi la grammatica, i raccordi tra le sequenze, la luce asettica e abbacinante di cui sono pieni ambienti e personaggi.

C’è una famiglia, Steven cardiochirurgo, Anna oftalmologa, i loro due figli Kim e Bob. Sono sereni, con una vita piena e ben organizzata. Steven incontra regolarmente Martin, un adolescente che ha perso il padre sotto i suoi ferri. Il regista non ci fa vedere né capire perché, da un giorno all’altro, i due comincino ad incontrarsi regolarmente. Questo spiazza, poi diventa poco importante. Conta il fatto che si vedono sempre di più e con più inquietudine. Capiamo che Martin ha un disequilibrio, così come sua madre, e che qualcosa di invadente e inevitabile sta travolgendo la vita di Steven e della sua famiglia. All’improvviso i due figli si ammalano, perdono l’uso delle gambe e non c’è nulla di scientifico che possa spiegarlo.

A scatenare tutto sembra essere Martin, armato di un invisibile potere vendicativo. Ma lui non fa nulla se non frequentarli, preannunciare quello che accadrà e avvisare Steven. La morte ingiusta del padre deve essere compensata. Steven deve scegliere di sacrificare uno dei suoi figli per evitare che muoiano tutti, anche Anna.

Una trama che fa alzare gli occhi al cielo. E io li ho alzati. Ecco un horror inquietante in cui vendetta e poteri oscuri fanno avanzare la storia. Tutto sommato non è così. E il film va guardato con attenzione.

C’è una densità di riferimenti lontani, mitologici e biblici. Su tutti, il sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitemnestra e quello che si accinge a compiere Abramo verso il proprio figlio, poi fermato da Dio. L’immagine di un innocente offerto per lavare colpe altrui ognuno la risolve dentro di sé, ma è potente. Così come il dilemma della scelta di fronte all’inevitabile. Alan J. Pakula ne ha fatto un film bellissimo e atroce, La scelta di Sophie, dove una giovane Meryl Streep, ebrea internata in un campo, deve scegliere quale dei due figli salvare; qui il sacrificio non purifica una colpa, se mai la colpa arriverà dopo ad annientare Sophie.

Questi riferimenti scatenano una riflessione sul potere, che a me pare centrale nel film di Lanthimos. Intanto perché l’idea di disporre, di esigere il sacrificio di qualcuno, che siano gli dèi o gli uomini a farlo, è una forma assoluta di potere. Poi perché tutta la storia si muove attraverso personaggi che incarnano un potere decisivo, quello di guarigione. È bellissima la sequenza con cui si apre il film: sulle note dello Stabat Mater di Schubert l’inquadratura è stretta su un torace aperto, un cuore batte completamente spalancato sul mondo, mentre due mani dispongono di lui.

Steven e Anna sono medici, si muovono all’interno dell’ospedale come in un regno. Decidono, sentenziano. Quando i figli si ammalano hanno libero accesso agli spazi e la disponibilità di tutti. Il potere ottiene, se non ci riesce diventa arrogante e l’arroganza sposta di continuo le responsabilità, via via rimosse da un personaggio all’altro.

Lanthimos però spinge tutto all’estremo. Cosa stia uccidendo Kim e Bob rimane inafferrabile e l’unica via d’uscita sembra il sacrificio. Un lavacro che risolve e lascia impuniti tutti, tranne il cervo sacro, l’unico con il sigillo dell’innocenza.

Annotazioni: i protagonisti sono Colin Farrell, con Lanthimos anche in The Lobster, premio della giuria a Cannes nel 2015, Nicole Kidman, forte isterica glaciale e vulnerabile quanto basta, Barry Keoghan, Martin dagli occhi di ghiaccio. Il sacrificio del cervo sacro ha vinto nel 2017, sempre a Cannes, il premio per la migliore sceneggiatura. La scelta di Sophie è del 1982. Ifigenia in Aulide è una tragedia di Euripide, il mito di Ifigenia ha diverse versioni, una davvero bellissima la racconta Cesare Sinatti nel suo La Splendente (Feltrinelli) che ha vinto il premio Italo Calvino per scrittori esordienti.

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