Torno in India per lavoro, le normative più recenti per il visto richiedono che la data di scadenza del passaporto sia di almeno sei mesi posteriore a quella del visto. Sono obbligato al rinnovo. Seguo pazientemente le istruzioni per prenotare l’appuntamento, ora si fa tutto online. Mi collego, entro nel sito, funziona. Con una certa sorpresa noto che le istruzioni sono chiare e la lista dei documenti da preparare è indicata con precisione, anche nel caso in cui il richiedente abbia figli minori, domicilio diverso dalla residenza e così via. E’ venerdì, fisso l’appuntamento il mercoledì successivo alle 9,30, mi presento e vengo ricevuto (appello nominale) alle 9,38 da una signora gentile, competente e molto disponibile. Le spiego che ho una certa urgenza perché devo spedire il documento al consolato, per il visto. Mi fa sottoscrivere un modulo prestampato e mi fissa l’appuntamento anche per il ritiro, 10 giorni dopo. Sono le 9,47 e ho finito. Saluto, ringrazio e le dico che è efficiente, mi sorride.
L’aspetto singolare è che tutto intorno è la guerra, l’ufficio è il campo di battaglia. Il 30% dei connazionali non ha prenotato online e non può richiedere moduli e istruzioni come probabilmente sperava. Una percentuale testarda che non se ne va (magari a prenotarsi senza perdere tempo), resiste stoicamente agli inviti, tiene occupato lo sportello e polemizza sui massimi sistemi, vezzo tipicamente italiano, nonostante in realtà sia tutto indicato in modo inequivocabile. C’è anche il gruppo di chi ha prenotato online ma non ha tutti i documenti con se o li ha compilati in modo errato. Anche questi passano alla fase della speculazione filosofica e della teorizzazione dello Stato Ideale. Alcuni magrebini insistono a presentarsi allo sportello passaporti nonostante siano lì per il permesso di soggiorno. Un gruppo di cinesi sfrutta con fare arrogante la presunta ignoranza della lingua per migrare da uno sportello all’altro. Infastidiscono chi è in coda correttamente e rispondono con un sorriso beota alle indicazioni del personale che tenta di indirizzarli verso il collega competente. L’incazzatura degli utenti è direttamente proporzionale all’incompletezza della documentazione e dell’assurdità delle pretese. Nonostante tutto l’ufficio funziona, uomini e donne al di là del vetro si danno da fare per soddisfare le richieste di cittadini che in molti casi meriterebbero di essere presi a calci. Lavorano, cercano di sorridere nelle divise di stoffa scadente che passa il ministero, si portano a casa la dose quotidiana di stress in cambio di un mensile non proprio generoso.
Forse si sentono un po’ privilegiati perché sono al caldo, perché non rischiano la vita come i colleghi onesti, e sono molti, che sono fuori di pattuglia, con i piedi freddi e l’auto in riserva.

L’ESTUARIO DEL PO. Cronache non necessariamente conformiste. Mario Bellettato è nato ad Adria nel 1956. Dopo gli studi classici e la laurea in giurisprudenza ha intrapreso una carriera manageriale che lo ha portato a lunghe permanenze all’estero. Ha lavorato come copywriter per alcune agenzie di pubblicità e si è occupato di formazione per l’Unione Europea. Ha pubblicato i romanzi “Il sognatore” (2015) e “Due perle” (2020).