Come annunciato è uscito nelle sale Sulla mia pelle di Alessio Cremonini. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è stato il film di apertura della sezione Orizzonti, accolto con molto interesse, emozione e coinvolgimento.
Stefano Cucchi è morto il 22 ottobre 2009 mentre era agli arresti in attesa di giudizio, con l’accusa di detenzione e spaccio di droga. Era stato fermato con un amico nelle strade di Roma sette giorni prima da una pattuglia dei carabinieri, perquisito, gli trovano addosso una bustina di hashish e tre dosi di cocaina. L’accusa di possesso in un attimo si trasforma in spaccio e viene arrestato in piena notte. In poche ore è interrogato, portato a casa dei genitori per una perquisizione alla ricerca di altri stupefacenti, riportato alla centrale dei carabinieri.
Da quel momento Stefano precipita in un gorgo che non lo molla più. Il giorno dopo viene portato davanti al giudice che deve decidere tra scarcerazione e convalida dell’arresto. Dalla caserma Stefano esce completamente tumefatto da evidenti lividi sul viso e dall’enorme difficoltà a stare dritto e a camminare. Nessuno in tribunale, tantomeno il giudice, farà una sola domanda sulle pesanti ecchimosi. L’arresto è convalidato.
Si dichiara subito colpevole per la detenzione di droga, innocente per lo spaccio. E da subito chiede di riavere i farmaci che gli hanno sequestrato, soffre di epilessia, lo stato emotivo e le forti contusioni acutizzano i sintomi. Nessuno lo ascolta. È piegato in due, molti tra i carabinieri che si avvicendano, le guardie carcerarie, gli operatori del 118, vedono il suo stato, ma Stefano si rifiuta di dire che è stato picchiato. Ha paura.
La famiglia è stordita, Stefano ne ha fatte tante, ha precedenti e frequenta il Sert. Il padre lo vede brevemente all’udienza ma non riesce a parlargli. Nota i lividi e pensa sia stato picchiato da altri detenuti. Ma Stefano ha avuto contatti solo con le forze dell’ordine.
Viene portato a Regina Coeli e sta sempre peggio. Lo mandano all’Ospedale Fatebenefratelli dove rilevano lividi in tutto il corpo, soprattutto all’altezza dei reni, un’emorragia alla vescica – Stefano non riesce più a urinare – fratture alla mascella e alla colonna vertebrale. Ma insiste a tacere sulle botte. Lo dice solo a un carabiniere mentre sono soli, ma non lo conferma. Lo dirà poi a un detenuto con cui parla attraverso la parete che li divide, quando verrà ricoverato definitivamente nel reparto protetto dell’Ospedale Sandro Pertini.
Penso che il forte impatto lasciato dal film sia dovuto all’intensa storia di Stefano Cucchi. In sette giorni è arrestato, picchiato, rinviato a giudizio, portato in carcere, poi all’ospedale penitenziario, e lì lasciato morire. La famiglia in quei sette giorni chiede di vederlo, l’autorizzazione viene negata sia in carcere che in ospedale. La madre saprà della morte di Stefano da un agente che le piomba in casa per convalidare l’autorizzazione all’autopsia.
Il film si basa sugli atti processuali e racconta i fatti in modo asciutto, asettico, senza sbavature. Immerge ogni cosa in un’atmosfera cerulea come il viso e la schiena di Stefano tumefatti. Esita molto sulla solitudine, sulla caparbietà a non denunciare le botte, a rifiutare cibo e cure, sugli spasmi del corpo dolorante e via via sempre più consumato. Ci lascia attoniti davanti all’inerzia di tutti, senza però lavorare sul contesto, sul teatro assurdo che si muove intorno. La regia è ordinata come un buon compito e ha il pregio di mostrare le debolezze di Stefano. Era l’intento di Cremonini, restituire Stefano Cucchi umanamente e non farne una figura santificata. Ma il regista non spinge lo sguardo nelle pieghe della vicenda e nell’assurdità di morire in carcere per la detenzione di 21 grammi di hashish.
Annotazioni: dal 2009 sono state svolte molte indagini e si sono consumati tanti processi che hanno coinvolto carabinieri, medici e guardie carcerarie. Ad oggi l’unica evidenza è la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale. Il film ha avuto una doppia distribuzione nelle sale e su Netflix.

Al cinema e altrove
Elena Cardillo è appassionata di cinema e parole. In effetti i suoi studi sono stati di giornalismo e immagini in movimento. Di cinema si occupa nel suo lavoro, mettendoci ogni tanto anche qualche parola scritta.