Comprare una pistola è diventato piuttosto semplice. Una volta dicevi: “Ho una pistola, dammi i soldi”. Adesso dici: “Ho i soldi, dammi una pistola”. (George Carlin – cit.)
La diffusione e soprattutto l’impiego ingiustificato delle armi da fuoco costituiscono un tema drammatico e controverso. Le stragi periodiche nelle scuole degli Stati Uniti sono tragedie terribili e toccanti, rispetto alle quali è difficile conservare lucidità. Tuttavia sono convinto che qualche riflessione la dovremmo fare, soprattutto per cercare di comprendere le dinamiche alla base di questo terribile fenomeno. Dobbiamo evitare equivoci e semplificazioni: credo che il primo dato su cui riflettere sia quello statistico. Se confrontiamo le percentuali di cittadini che detengono legalmente un’arma da fuoco nei paesi occidentali, emerge un elemento apparentemente contraddittorio. Premetto che non ritengo significativo il dato statistico che analizza il numero totale delle armi in rapporto al numero di abitanti: il fatto che un soggetto disponga di più armi, come nel caso di cacciatori o appassionati di tiro a segno, sempre su base statistica non sembra aumentare significativamente il rischio di aggressione. In altre parole la differenza determinante è tra chi possiede almeno un’arma e chi è disarmato, del resto anche i meno avvezzi all’analisi comprendono che è difficile sparare a qualcuno con un’arma che non si possiede. L’altro dato importante è collegato alla prassi da seguire per acquistare legalmente un’arma.
Se analizziamo la percentuale di cittadini armati rispetto alla popolazione totale, le statistiche posizionano gli USA in testa alla classifica, ma anche altri paesi come la Svizzera, la Finlandia o la Norvegia rivelano percentuali molto alte, vicinissime a quella americana. Un podio dalla composizione quantomeno inaspettata: preso atto dei numeri, nessuno può negare che sotto il profilo criminologico le stragi scolastiche o le aggressioni a mano armata in Svizzera e in nord-Europa si fermano a livelli nemmeno paragonabili a quello statunitense, che per di più mostra un trend di crescita. Sotto il profilo della prassi da rispettare per l’acquisto, i leader di questa classifica si differenziano tra l’iter svizzero che è il più semplice e quasi automatico (a fine servizio militare il cittadino è incoraggiato a tenere armi da fuoco per eventuali esigenze di difesa nazionale), quello americano che è piuttosto semplice (pur con differenze significative tra stato e stato) e quello nordeuropeo che invece è piuttosto complesso e articolato.
Dovremmo aspettarci una Confederazione Elvetica simile al far west, dove tra la riparazione di un orologio a cucù e un morso alla proverbiale tavoletta di cioccolato, i “confederati” si impallinano con una certa frequenza e forse salvano i minorenni solo perché si limitano a mirare accuratamente alla mela opportunamente posizionata sopra la testa: Guglielmo Tell docet. Potremmo immaginare che pagaiare sui laghi finlandesi sia uno sport pericoloso che trasforma il turista in un bersaglio da tiro a segno, oppure che non si possano deridere i salmoni obesi degli allevamenti norvegesi, se non si vuole rischiare la vita. Evidentemente non è così. Altrettanto semplicistico e superficiale è convincersi che i cittadini americani siano una manica di imbecilli violenti e dal grilletto facile.
Una prima riflessione sensata che dovremmo fare è relativa al problema delle armi rese accessibili a chi ha problemi di salute mentale. Una quota molto rilevante delle stragi scolastiche viene perpetrata da soggetti mentalmente instabili. Da un lato c’è una responsabilità gravissima da parte di chi consente o facilita tutto questo, mi riferisco a genitori irresponsabili, commercianti di pochi scrupoli e fantomatiche armerie online. Ma non possiamo dimenticare che anche il sistema sanitario è determinante: la sanità pubblica offre maggiori garanzie di tutela e intervento su questi temi, soprattutto in favore dei soggetti instabili appartenenti alle classi disagiate, mentre la sanità privata, per dirlo elegantemente e con una sfumatura nostalgica, se ne frega. Conservo (senza munizioni!) la vecchia pistola che salvò la vita a mio padre durante la campagna di Russia e periodicamente devo sottopormi alla visita neurologica per l’idoneità: la vituperata sanità pubblica italiana affronta questo tema, mentre nei paesi con sanità privata questi iter, quando esistono, sono meno stringenti e più costosi.
Il secondo dato incontestabile è la correlazione stretta tra il disagio sociale, la diseguaglianza economica, il livello culturale e l’uso delle armi. Il sistema capitalista crea necessariamente diseguaglianza e povertà, se le distribuiamo su milioni di persone è inevitabile che una percentuale dei meno fortunati pensi di usare le armi per risolvere problemi economici: anche una percentuale bassissima, se riferita a milioni di abitanti, si trasforma in valori assoluti inaccettabili. La scarsa scolarizzazione, il basso livello culturale sono gli altri due fattori principali che costituiscono il presupposto che spinge altre migliaia di persone a considerare le armi uno strumento idoneo per risolvere le controversie, dalla lite condominiale, alla mancata precedenza stradale per arrivare alla soluzione delle infedeltà o alla drastica punizione dei comportamenti non ortodossi rispetto alle tradizioni religiose. Sono assolutamente contrario alla liberalizzazione delle armi, e ritengo folle che si possano offrire le cosiddette armi d’assalto al di fuori del circuito militare (tendenzialmente abolirei anche gli eserciti e gli armamenti in genere), ma sono altrettanto convinto che il problema delle aggressioni armate vada affrontato in modo radicale, cercando di intervenire sulle cause profonde del fenomeno. Ci sono zone del mondo, veri e propri ghetti, dove anche abolendo le armi da fuoco si rischierebbe di finire accoltellati, strangolati o lapidati. I fratelli Bianchi hanno massacrato Willy Monteiro senza usare pistole: alla base il problema è culturale, anche se in questo caso specifico l’aggettivo “culturale” è una sorta di ossimoro.
E del resto non va dimenticato che quando giudichiamo frettolosamente “l’inciviltà a stelle e strisce”, tendiamo a sottacere una realtà tutta italiana: la strage quotidiana dei morti per mano della criminalità organizzata che magari non spara nelle scuole, ma uccide bambini incolpevoli con le pallottole vaganti oppure sciogliendoli nell’acido. Una società inclusiva che favorisce l’istruzione e la sanità pubbliche, che combatte l’emarginazione economica e sociale, riduce i tassi di criminalità: è questa l’unica vera soluzione. In questo modo si combattono le mafie (indirettamente eppure con grande efficacia), si incoraggia la diffusione della tolleranza e si facilita la convivenza pacifica dei cittadini, indipendentemente dalle opinioni politiche, dal colore della pelle e dall’orientamento sessuale.

L’ESTUARIO DEL PO. Cronache non necessariamente conformiste. Mario Bellettato è nato ad Adria nel 1956. Dopo gli studi classici e la laurea in giurisprudenza ha intrapreso una carriera manageriale che lo ha portato a lunghe permanenze all’estero. Ha lavorato come copywriter per alcune agenzie di pubblicità e si è occupato di formazione per l’Unione Europea. Ha pubblicato i romanzi “Il sognatore” (2015) e “Due perle” (2020).
Mi permetto di affermare che lei una volta era più incisivo nei suoi interventi. Si assumeva delle responsabilità che oggi nen si assume più e cerca di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte.
Io osservo solo che: se sono nati dalla feccia d’Europa, e non c’è dubbio alcuno su ciò, cosa potevano diventare se non la feccia del mondo? Naturalmente anche altri hanno contribuito seguendoli nelle loro manifestazioni di inciviltà.