La portata d’acqua del nostro grande fiume supera a fatica l’enorme e inutile quantità d’inchiostro che è stata sprecata per quella creatura mitologica più volte ipotizzata, favoleggiata, descritta da tante parti e che risponde al nome di Parco del Delta.
Ne hanno parlato e scritto in molti, troppi. Quasi nessuno lo ha fatto con competenza, parecchi con finalità clientelari. Nei fatti il Parco esiste, quantomeno sulla carta e nelle buste paga di chi se ne occupa, ma basta addentrarsi fisicamente nei territori che lo costituiscono per rendersi conto che in concreto non c’è nulla.
Anzi, ci si imbatte in qualcosa che è l’opposto di ciò che dovrebbe costituire un parco. La prospettiva è distorta sin dal principio, giusto per fare chiarezza e capire come vanno le cose basta un semplice confronto: i siti web ufficiali di Yellowstone (www.yellowstonepark.com) o di Yosemite (www.yosemite.com), due parchi statunitensi organizzati e gestiti in modo impeccabile che ricevono insieme oltre 7 milioni di visitatori l’anno e con bilanci proporzionati, nel menu della homepage offrono una serie di opzioni tutte legate al concetto di come vivere, godere e rispettare il parco. La grafica è accattivante ed intuitiva, le foto di altissimo livello.
Non è data evidenza agli aspetti burocratici che non interessano al visitatore, la performance dell’ente gestore è testimoniata dai dati di bilancio. Al contrario, se visitiamo il website nostrano scopriamo che in primo piano ci sono gli aspetti burocratico-amministrativi in entrambe pagine del parco del delta, tanto quella veneta (www.parcodeltapo.org) quanto la corrispondente emiliana (www.parcodeltapo.it), esordiscono con un’inutile quanto grottesca excusatio non petita. Una si affanna a spiegare il concetto di amministrazione trasparente, l’altra si spende nel panegirico dell’Ente, mirabile organismo i cui effetti pratici sono tuttavia invisibili al visitatore.

Evidentemente l’importante è fare la marchetta politica nel tentativo di giustificare la propria esistenza, che poi il sito sia effettivamente uno strumento utile a chi vuole o vorrebbe visitare il delta è secondario.
Stendiamo un velo pietoso sugli aspetti grafici di entrambi i siti nostrani: c’è da augurarsi che siano stati affidati “agli amici” perché se la scelta non è stata dettata da criteri clientelari è una prova ulteriore della tragica inadeguatezza culturale di chi ha effettuato queste deprecabili scelte.
Ma torniamo all’argomento principale: le finalità di un parco naturale sono molteplici, ma sostanzialmente possono essere riassunte nella tutela di un territorio di valore naturalistico, nell’organizzazione dei presupposti che attraggano un turismo consapevole e rispettoso e nella complementare capacità di garantire un ragionevole equilibrio tra le esigenze economico-sociali della popolazione residente e le misure volte a proteggere e conservare la tipicità del territorio.
La finalità di assicurare un’occupazione, o meglio una sinecura, a politici, parenti ed amici non rientra nelle finalità tipiche di un parco naturalistico, benché essa risulti nel nostro caso l’unica che ha trovato solida attuazione.

Il malcapitato turista che entra nel parco non trova nulla di ciò che sarebbe lecito attendersi: neppure le arterie principali di accesso hanno pannelli con la mappa del territorio, con evidenza degli itinerari e dei centri abitati, per non parlare di chioschi con personale poliglotta che dia informazioni, suggerimenti e magari anche una piccola guida che informa, promuove e suggerisce i comportamenti da tenere. Si “entra” senza pagare nulla, non si riceve nulla in termini di guida e supporto, si rischia di non vedere alcune delle cose interessanti, perché tutto è lasciato al caso.
Chi si aggirasse in bicicletta non può contare su adeguato rifornimento di acqua potabile, non viene informato a chi si possa rivolgere per eventuali riparazioni, non dispone di colonnine SOS e non sa se e chi lo soccorrerà in caso di malore.
Sotto questo profilo nulla è cambiato dai tempi degli etruschi, cui evidentemente gli organizzatori del parco si ispirano orgogliosamente. Gli studenti dell’istituto alberghiero che potrebbero svolgere perfettamente molteplici attività di supporto a chi visita il parco, vengono tranquillamente ignorati.

Chi si avventurasse nel Parco con il proprio camper o con l’auto non ha informazioni circa la presenza di distributori di carburante, autofficine autorizzate, di ecopiazzole, della guardia medica o dei veterinari, forse queste gravi carenze sono considerate dagli amministratori strumento per stimolare lo spirito d’avventura.
Ristoratori e albergatori operano senza accordi quadro che, per esempio, prevedano un disciplinare relativo ai piatti tradizionali del Delta del Po, un elenco di pietanze stagionali che costituirebbero un elemento di attrazione per il crescente fenomeno del turismo gastronomico.
Paradossalmente il visitatore trova pubblicizzata con maggiore evidenza la presenza di attività private del settore abbigliamento (degne del massimo rispetto) ma non è informato del fatto che sia o meno entrato nel parco e dove si trovi rispetto alla sua estensione.
Analogamente le popolazioni gestiscono in allegra anarchia le attività economiche, mentre le amministrazioni locali si guardano bene dal redigere e far rispettare un minimo di piano regolatore che favorisca un edilizia coerente con il paesaggio.
Non c’è il minimo accenno alla promozione di misure che, è solo un esempio, incentivino l’occultamento degli orribili capannoni agricoli e/o artigianali grazie a filari di alberi che li nascondano alla vista. Al contrario si permettono anche nuovi insediamenti di allevamento industriale assolutamente incompatibili con il concetto stesso di parco naturalistico.
Dulcis in fundo, nel parco viene praticata e favorita la caccia, attività di per sé antinaturalistica, ma che nel caso specifico include pratiche venatorie particolarmente esecrabili come l’uccellagione o le lucrose postazioni “in botte” che decimano migliaia di uccelli migratori. Quanto questa attività crudele e primitiva possa convivere con “il parco” è chiaro a tutti, tranne a coloro che in malafede la difendono per motivi economici.

Così si continua a parlare del parco, di questa creatura mitica, mentre molti si adoperano gattopardescamente perché nella sostanza nulla muti. Si conservano i privilegi di pochi, senza voler capire che una zona turistica ben gestita sarebbe lo strumento ideale per dare sviluppo alle nostre terre, per salvaguardare il territorio e difenderne tipicità e cultura.
Basterebbe prendere esempio da ciò che si è realizzato nella Camargue o nel Delta del Mississippi, zone umide con molte analogie con il Delta padano… ma i nostri amministratori sanno già tutto: mica hanno bisogno di esempi. A suo tempo dimostrarono la loro lungimiranza permettendo l’insediamento della famigerata centrale di Polesine Camerini, causa di qualche migliaio di morti grazie alle emissioni “pulite” ed ora pregevole vestigia della stupidità del passato.
Le scelte odierne non sono dissimili, come se il cromosoma dell’ottusità fosse una caratteristica endemica: si perseguono ostinatamente strategie di cui ci si pentirà amaramente tra qualche decennio.

L’ESTUARIO DEL PO. Cronache non necessariamente conformiste. Mario Bellettato è nato ad Adria nel 1956. Dopo gli studi classici e la laurea in giurisprudenza ha intrapreso una carriera manageriale che lo ha portato a lunghe permanenze all’estero. Ha lavorato come copywriter per alcune agenzie di pubblicità e si è occupato di formazione per l’Unione Europea. Ha pubblicato i romanzi “Il sognatore” (2015) e “Due perle” (2020).
Un articolo di verità assoluta, spudorato quanto occorre nel denunciare carenze, ma è un eufemismo, che da decenni sono sotto gli occhi di tutti…fuorché di chi potrebbe provvedere.
Io rimango sempre dell’idea che il Parco nazionale avrebbe avuto maggiore risultato. Mi premetto di ricordare che una mia lettera al gazzettino di anni, anni fa propugnava proprio il Parco nazionale e da chi la mia proposta fu criticata? Da quel signore, di barba caprina, che oggi è in Ecoambiente e che pare venga a lavorare tutti i giorni a Rovigo partendo dal Cadore, per farvi ritorno la sera, sicché è più quanto prende di trasferta che di stipendio!