E’ tornata finalmente nella sua Ferrara, dopo vari spostamenti delle date a causa dell’emergenza Covid-19, la quarta edizione del festival di fotografia Riaperture, con il tema “Errante”, che attraverso la lente delle sue fotografie esorta i visitatori a diventare pellegrini, percorrendo le strade e le piazze con occhi nuovi, permettendo loro di entrare in spazi inaccessibili, riaperti dopo molto tempo solo per il festival.

L’evento si è svolto in due weekend: dal 27 al 29 settembre e dal 2 al 4 ottobre dalle 10 alle 19 con sei sedi espositive, sedici mostre e due video installazioni, le foto vincitrici del concorso “Errante”, due workshop con Lina Pallotta e Francesco Comello, le visite guidate con gli autori, il Caffè con gli autori negli alberghi e caffè della città ed altri incontri, il tutto nella massima sicurezza, sempre con la mascherina, il distanziamento personale e l’utilizzo del gel igienizzante all’ingresso dei luoghi espositivi.

Dai campi profughi rohingya ai pescatori kazaki

Il punto di partenza del festival è stato sempre Factory Grisù, ex caserma dei vigili del fuoco, dove c’era la biglietteria, si potevano acquistare libri di fotografia di editoria indipendente, non facilmente reperibili nelle librerie ed erano esposte le foto vincitrici del Concorso Errante, con Alessandra Calò al primo posto per lo scatto singolo ed Antonio Cunico, primo premio per il progetto fotografico, con lo straordinario lavoro di fotografia concettuale “Circumnavigazioni”.


Ben si collega la mostra di Gabriele Cecconi “The wretched and the hearth”, progetto etico sui rifugiati del gruppo etnico Rohingya, che dal Myanmar scappano in Bangladesh, che funziona in toto o anche con una singola foto per la forza narrativa.

Spicca tra le location la chiesa di San Paolo, chiusa purtroppo da otto anni e bisognosa di un doveroso restauro, aperta per il festival per ospitare tre mostre: il bellissimo ed originale progetto “Ice Fishers” di Aleksey Kondratyev riguardante i pescatori Kazaki, che si proteggono dal freddo pescando a temperature impossibili, sotto il ghiaccio del fiume Ishim, coprendosi con materiali di recupero, come teli di plastica, sacchi di riso vuoti, utilizzati dai nomadi locali.

La denuncia, il racconto, la testimonianza

Sempre in ambito ecologico le grandi fotografie di Greg Segal che in “7 days of garbage” ha creato in modo provocatorio un set fotografico nel cortile di casa sua in California, chiedendo ad amici, parenti e vicini di casa di posare sdraiati sui rifiuti che avevano conservato per una settimana, per illustrare quanto sia pervasiva la spazzatura, ottenendo con fotografie a colori di grandi dimensioni una potente denuncia ambientale.
La terza mostra “#Postadolescence “ di Federica Sasso documenta il viaggio dei giovani verso la vita adulta.
Alla ex caserma “Pozzuolo del Friuli” il famoso progetto “MiRelLa” di Fausto Podavini, fotografo pluripremiato al World Press Photo, che con grande poesia racconta in bianco e nero la storia dell’amore di una donna per il proprio marito, che improvvisamente si ammala di Alzheimer e lei a 71 anni lo assiste con incredulità, angoscia, pazienza e rassegnazione fino al giorno della sua morte in casa.


Liza Ambrossio in “The rage of devotion” descrive un femminile minaccioso con influenze wodoo, perché seduce e divora e nelle sue immagini le donne sono rappresentate come esseri immorali ed immortali, con poteri soprannaturali.
Con “Heroin days” il fotografo Yannick Fornacciari parla con le sue immagini della sua dipendenza in maniera diretta, raccontando brutalmente l’incubo del tunnel delle droghe fino alla somministrazione del metadone, in un lavoro fotografico durissimo, difficile da assimilare; mentre Paola Rossi presenta “L’infinito viaggiare”, un progetto di luoghi ma anche di un viaggio interiore.
Michele Lapini con “A casa loro ri-tratti di famiglia” documenta la quotidianità delle famiglie che hanno aperto le loro case per ospitare un giovane titolare di protezione internazionale, con un progetto di accoglienza.
Li vicino alla “Cavallerizza” immenso capannone in stile liberty era esposta la mostra “Apollo” di Marco Marucci che ha illustrato il circo di Nando Orfei, nel quale non ci sono più bestie feroci, ma solo artisti.
Nella ex chiesa antica di San Giuliano era visitabile la mostra primo premio del festival della Fotografia Etica 2019 a Lodi, “Diagnosi” di Emile Ducke, giovane fotografo di Monaco residente a Mosca, uno straordinario progetto documentativo a colori, sul treno allestito a convoglio ospedaliero sulla Transiberiana, che viaggia in remote città, equipaggiato con strumentazioni di laboratorio, ECG, EEG, raggi X e fino al 2018 trasportava una chiesa in una delle sue carrozze.


Nello stesso luogo era allestita un po’ troppo ravvicinata l’esposizione di Rena Effendi “Transilvania: Built on Grass”, della Biennale della Fotografia Femminile di Mantova, purtroppo annullata per il Covid; le foto hanno un uso potente della luce, ma la scelta del tema non è innovativo, è già stato proposto da fotografi amatoriali me compresa, e professionisti.
Infine Palazzo Zanardi che ha ospitato le mostre “Sangue bianco. Cotton candy” di Marta Viola, esperienza personale vissuta tramite la fotografia per la sua leucemia acuta mieloide, con il successivo decorso ed “Unrooted” di Karymava Hulnaza, un progetto su bambini provenienti da orfanatrofi della Bielorussia, adottati da famiglie italiane, in un confronto di culture molto diverse tra loro.


Un festival ben riuscito nonostante le mille difficoltà, comprese le condizioni climatiche avverse che non hanno agevolato gli incontri all’aperto, però bisogna premiare l’impegno di Riaperture, associazione di promozione sociale ben condotta dal fotografo Giacomo Brini, il suoi staff, ed i volontari che nonostante tutto, hanno deciso di sfidare il virus, il freddo, l’incertezza delle presenze, gli eventi annullati per osare e rilanciare con entusiasmo la fotografia, sostenendo la cultura e gli eventi culturali, per dare un segnale di speranza per il futuro, aspettando Riaperture 2021.

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