Si è inaugurata a Treviso alla Casa dei Carraresi la retrospettiva italiana di Inge Morath, la prima donna ad essere inserita nel cenacolo, all’epoca tutto maschile, della celebre agenzia fotografica Magnum Photos.
Impropriamente nota alle cronache per aver sostituito la mitica Marilyn Monroe nel cuore dello scrittore Arthur Miller, di cui diventa moglie e compagna di vita, Inge è stata in realtà soprattutto una straordinaria fotografa ed una fine intellettuale.
Il suo rapporto con la fotografia è stato un crescendo graduale: dopo aver lavorato come traduttrice e scrittrice in Austria, inizia a scattare nel 1952, e dall’anno successivo, grazie ad Ernst Haas inizia a lavorare per Magnum Photos a Parigi e poi a Venezia nel 1953, dove vide subito la luce veneziana e capì che era il suo lavoro. Vi ritornò ancora e rimase quattro anni nella città lagunare per studiare la fotografia, la scelta prospettica, i piccoli scorci e fare nel 1957 “Venice Observed”, un libro fotografico artistico, con fotografie non di reportage, ma incentrate sulla quotidianità dei suoi abitanti e poi con la pubblicazione nel 1960 di due libri su Spagna e Iran.

La collaborazione con Henry Cartier Bresson fu una sorta di apprendistato sulla tecnica; all’inizio aveva una piccola macchina fotografica, comprò un rullino e fu la sua scelta di vita.
Limitarsi a considerarla una fotografa di questa celebre agenzia è riduttivo perché le celebri fotografie realizzate durante i suoi viaggi, o gli intensi ritratti in grado di catturare le intimità più profonde dei suoi soggetti, si accompagnano ad una ricca attività intellettuale che si alimentava di amicizie con celebri scrittori, artisti, grafici e musicisti, che decideva lei di fotografare e non su invito del marito.
Che si trattasse di raccontare paesaggi e paesi, persone o situazioni, le sue foto erano sempre caratterizzate da una visione personale e da specifica sensibilità, in grado di arricchire la percezione del mondo che la circondava. Come Inge Morath era solita dire: “Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima”, oppure: “Sono particolarmente interessata a fotografare i paesi in cui una nuova tradizione emerge da una antica. Sono più attratta dall’elemento umano che dall’astratto”.

Ogni reportage di viaggio ed ogni incontro veniva da lei preparato con cura maniacale. La sua conoscenza di diverse lingue straniere, aveva studiato anche il mandarino per il soggiorno in Cina, le permetteva di analizzare in profondità ogni situazione e di entrare in contatto diretto ed emozionale con la gente.
Per questa ampia retrospettiva a Casa dei Carraresi, con una selezione di oltre 150 fotografie e decine di documenti riferiti al lavoro di Inge Morath, i curatori Brigitte Bluml e Kurt Kaindl, i coniugi che hanno seguito Inge fino alla sua morte e poi Marco Minuz hanno dato vita ad un percorso che ha analizzato tutte le principali fasi del lavoro della Morath, ma al contempo ha fatto emergere l’umanità che incarna tutta la sua produzione. Una sensibilità segnata dell’esperienza tragica della seconda guerra mondiale, che con gli anni si rafforzerà e diventerà documentazione della resistenza dello spirito umano alle estreme difficoltà e consapevolezza del valore della vita.
La mostra ripercorre tutti i principali reportage realizzati dalla fotografa austriaca: da quello dedicato alla città di Venezia a quello sul fiume Danubio; dalla Spagna alla Russia, dall’Iran alla Cina, alla Romania, l’Inghilterra, agli Stati Uniti d’America passando per la nativa Austria.

Contemporaneamente il percorso espositivo ha dato spazio ai suoi celebri ritratti di scrittori, pittori, poeti, tra cui lo stesso Arthur Miller, Cartier Bresson, oltre ad Alberto Giacometti, Pablo Picasso e Alexander Calder: quest’ultimo suo vicino di casa a Roxbury, nel Connecticut, dove Inge Morath visse con il marito Premio Pulitzer per tutta la vita, poi scrittori come Philip Roth, Doris Lessing, ed ancora Henri Moore, Jean Arp, Igor Stravinskij, Yul Brynner, Andrey Hepburn, il nipote di Andrej Dostoevskij.
C’è poi spazio anche per il mondo del cinema: nel 1960 Inge Morath viene infatti inviata dall’agenzia Magnum nel set della pellicola hollywoodiana “The Misfits”, (Gli Spiantati), un’enorme produzione cinematografica con John Houston alla regia, Arthur Miller alla sceneggiatura, ed attori del calibro di Clark Gable e Marilyn Monroe. All’epoca Miller e la Monroe erano sposati, ma il loro matrimonio era già in difficoltà. Proprio sul set del film, la Morath ebbe modo di conoscere lo scrittore, ma la relazione nacque più tardi, quando lui era tornato a Londra e da lì andò a Parigi nel 1962 la sposò.
Il curatore Kurt Kaindl ha incontrato la Morath nel 1990 a Salisburgo, in una piccola galleria per fare un libro non turistico su Salisburgo, da allora fino al 2002, anno della morte della fotografa, lui e la moglie la seguono in tante mostre e nella pubblicazione di sette libri.

Oltre alla celebre foto del 1957 del lama nel taxi vicino a Times Square a New York, la Morath fece per la Magnum un reportage degli animali usati nel cinema, e poi molte maschere collaborando con Steinberg, come quella con il buco per il naso.
Inge ha sempre fotografato a pellicola ed i ritratti furono la sua principale passione; nel 1960 si spostò da Parigi nel Nevada con Cartier Bresson, dove fece un viaggio in auto con lui di due settimane per arrivare al set degli Spiantati e questo è documentato in un libro pubblicato in seguito.
Kurt e la moglie mi hanno raccontato che Inge aveva un grande cuore e ti voleva bene, seguiva le donne fotografe ed aveva creato una mostra itinerante su un truck, un grande camion, in cui erano esposte le foto ed in memoria della Morath è stata creata una grande mostra di un progetto di giovani fotografe under 30 anni, che si attua ogni anno, ed ha girato per l’Europa, andando a Francoforte, Madrid, Linz, a cura della Fondazione Morath, seguita dalla figlia Rebecca.

Dopo la scomparsa improvvisa nel 2002 della fotografa la sua famiglia chiese a Kurt e moglie di classificare le sue opere: in una delle sue macchine fotografiche venne trovato un rullino ancora da sviluppare, contenente foto che Inge aveva scattato poco prima della sua morte.
Scatti frutto di un gesto semplice, ma estremamente emozionanti e delicati: la fotografa aveva appoggiato una pianta secca sopra la foto di un suo autoritratto del 1958, lo stesso che apre il percorso espositivo. “Il suo viso viene completamente nascosto dalla pianta senza vita, solo i suoi occhi continuano ad osservarci oltre i confini del tempo”.

Un grazie particolare ai curatori Kurt e Brigitte, entrambi fotografi, che hanno risposto alle mie domande in inglese, mentre tutti erano andati via e mi hanno donato molti particolari della vita di Inge non descritti nei pannelli esplicativi della mostra o nella cartella stampa: sono tasselli che fanno luce sulla vita di questa fotografa di cui si sapeva poco, come la prima e l’ultima foto esposte nella rassegna.
“Nel mio cuore voglio restare una dilettante, nel senso di essere innamorata di quello che sto facendo, sempre stupita delle infinite possibilità di vedere e usare la macchina fotografica come strumento di registrazione.”: dovremmo imparare da questa fotografa che pur avendo raggiunto il successo è sempre rimasta umile, mentre ora con l’avvento del digitale e del click facile molti fotografi amatoriali si montano la testa, convinti di essere grandi nomi.
Questa prima retrospettiva italiana è prodotta da Suazes con Fotohof di Salisburgo, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, Inge Morath Foundation e Magnum Photos.
La mostra è visitabile fino al 9 giugno 2019 dal martedì al venerdì dalle ore 10 alle 19, il sabato, la domenica ed i giorni festivi dalle ore 10 alle 20.

PHOTOSCRIVENDO. Cristina Sartorello è terapista per disabili gravi con plurihandicap ed autismo. E’ attiva nel volontariato. Collabora con associazioni in ambito sociale per progetti e consulenza ed in ambito culturale per promozione di eventi quali mostre d’arte ed iniziative.