La soluzione finale in chiave sionista
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- Notizia pubblicata il 26 agosto 2024
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- Scritto da Mario Bellettato | L'estuario del Po
Il libro “La banalità del male” è sostanzialmente il reportage dell'autrice (Hannah Arendt), inviata del “The New Yorker”, sulle sedute del processo ad Adolf Eichmann. Questi articoli, pubblicati tra febbraio e marzo del 1963, nel maggio dello stesso anno e con qualche integrazione, si trasformarono in un libro di grande impatto, un’icona letteraria. Il gerarca nazista, rifugiato in Argentina dal 1945, venne catturato dal Mossad nel 1960, processato per genocidio nel 1961 a Gerusalemme e condannato a morte. La sentenza fu eseguita il 31 maggio 1962.
L'autrice, pur nel rigore della cronaca, traccia il profilo psicologico di Adolf Eichmann: un uomo mediocre, che si appropria di idee altrui e tende ad attribuirsi meriti che non ha nel tentativo di sfuggire ai propri limiti; un atteggiamento stupido che conserverà anche dopo la caduta del regime nazista e che finirà per metterlo nei guai: nel 1957 rilascia un'intervista al giornalista ed ex-SS Willem Sassen, lamentandosi della vita noiosa che gli offriva il suo attuale nascondiglio in Argentina (dove lavorava come dipendente della filiale automobilistica della Mercedes Benz, con mansioni di meccanico e di caporeparto), poca cosa se paragonata ai giorni in cui si sentiva realizzato.
Dal ritratto che ne traccia il libro emerge una propensione a parlare per frasi fatte e una incoerenza ricorrente: all'inizio del processo dichiarò di non voler prestare giuramento: "ho imparato che è la sola cosa che non va mai fatta", ma alla prima udienza scelse di deporre sotto giuramento. Un uomo senza grandi qualità e con una totale mancanza di etica, in altre parole un utile idiota. Un burocrate che la politica mise a decidere dei destini di milioni di persone, e che con una contabilità da ragioniere di terz’ordine lui eliminò senza remore.
In una nemesi terribile e orribile, Bibi Netanyahu segue fedelmente il profilo e le orme del gerarca del Terzo Reich: ha deciso, ottemperando a un disegno criminale stupido e inumano, di realizzare la “soluzione finale” in chiave sionista: eliminare lo popolazione palestinese. Una pulizia etnica strumentale a un fine banale: sradicare concretamente ogni possibilità di uno stato palestinese. È evidente cosa spinge la sua intransigenza: lui non vuole alcuna tregua, deve continuare la mattanza della striscia di Gaza, 50.000 sono già morti e tra un paio di settimane saranno morti quasi tutti. E gli ostaggi? Avrebbe potuto salvarli con un cessate il fuoco e una trattativa per lo scambio di prigionieri, ma ha preferito sacrificarli per non interrompere il massacro. Una volta tanto la senatrice Segre avrebbe fatto meglio a tacere e a riflettere su ciò che sta facendo Israele.
L'autrice, pur nel rigore della cronaca, traccia il profilo psicologico di Adolf Eichmann: un uomo mediocre, che si appropria di idee altrui e tende ad attribuirsi meriti che non ha nel tentativo di sfuggire ai propri limiti; un atteggiamento stupido che conserverà anche dopo la caduta del regime nazista e che finirà per metterlo nei guai: nel 1957 rilascia un'intervista al giornalista ed ex-SS Willem Sassen, lamentandosi della vita noiosa che gli offriva il suo attuale nascondiglio in Argentina (dove lavorava come dipendente della filiale automobilistica della Mercedes Benz, con mansioni di meccanico e di caporeparto), poca cosa se paragonata ai giorni in cui si sentiva realizzato.
Dal ritratto che ne traccia il libro emerge una propensione a parlare per frasi fatte e una incoerenza ricorrente: all'inizio del processo dichiarò di non voler prestare giuramento: "ho imparato che è la sola cosa che non va mai fatta", ma alla prima udienza scelse di deporre sotto giuramento. Un uomo senza grandi qualità e con una totale mancanza di etica, in altre parole un utile idiota. Un burocrate che la politica mise a decidere dei destini di milioni di persone, e che con una contabilità da ragioniere di terz’ordine lui eliminò senza remore.
In una nemesi terribile e orribile, Bibi Netanyahu segue fedelmente il profilo e le orme del gerarca del Terzo Reich: ha deciso, ottemperando a un disegno criminale stupido e inumano, di realizzare la “soluzione finale” in chiave sionista: eliminare lo popolazione palestinese. Una pulizia etnica strumentale a un fine banale: sradicare concretamente ogni possibilità di uno stato palestinese. È evidente cosa spinge la sua intransigenza: lui non vuole alcuna tregua, deve continuare la mattanza della striscia di Gaza, 50.000 sono già morti e tra un paio di settimane saranno morti quasi tutti. E gli ostaggi? Avrebbe potuto salvarli con un cessate il fuoco e una trattativa per lo scambio di prigionieri, ma ha preferito sacrificarli per non interrompere il massacro. Una volta tanto la senatrice Segre avrebbe fatto meglio a tacere e a riflettere su ciò che sta facendo Israele.