Vineland, romanzo capolavoro di Thomas Pynchon
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- Notizia pubblicata il 26 ottobre 2023
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- Scritto da Liana Isipato | Letture
Quando è uscita, nei mesi scorsi, la collana AMERICANA, ho acquistato per curiosità il primo volume, con la prefazione del curatore, Sandro Veronesi. Non avevo mai letto nulla di Thomas Pynchon, uno scrittore avverso alla vita pubblica e avvolto nel mistero, un po’ come Salinger.
Ho faticato, all’inizio, a entrare nello sgangherato mondo del protagonista, Zoyd Wheeler, un disilluso reduce dei ‘figli dei fiori’, che per avere il sussidio governativo si finge matto e ogni anno si getta a peso morto contro la vetrina di qualche bar, dopo aver allertato per lo ‘spettacolo’ cronisti televisivi e radiofonici. A lettura ultimata sono in difficoltà a riferire una trama; ho piuttosto in testa un’immagine, come una ragnatela in cui tutti i fili si tengono, o come il giochino in cui unendo i puntini emerge un disegno finito. Le 469 pagine del libro sono, infatti, una complicata costellazione fatta di flashback, di incastri che ci portano a entrare nell’atmosfera di un’America apocalittica, nel passaggio dall’esaltazione hippy degli anni ’60 agli anni tetri di Nixon e Regan, ”La guerra del Vietnam, il delitto come strumento della politica americana, i quartieri dei neri dati alle fiamme e i linciaggi.”
Nella roulotte che fa da casa, Zoyd vive a Vineland (contea californiana immaginaria, ma realistica) con la figlia adolescente Prairie, dopo che la moglie Frenesi, una ex cineasta femminista, impegnata contro la ferocia del potere, se n’era andata.
“Frenesi era entrata nella sua vita come un’intera banda di fuorilegge. Zoyd in confronto a lei si sentiva una maestrina.” E, durante il matrimonio: “ Frenesi e Zoyd, giurate voi, sul serio, nella cattiva sorte e nei trip, di restare sempre strafatti di Amore?”. E tutto si svolge in mezzo minuto, “c’erano ben pochi orologi lì in mezzo, e nessuno sembrava essere impaziente, essendo quelli dopotutto i Dolci Anni Sessanta, un tempo lento, pre-digitale, non ancora tagliato a tocchetti, neppure dalla televisione.”
La televisione è un nodo centrale e ricorrente, nel romanzo: viene collegata alla Morte. Nel buio delle stanze, davanti allo schermo entriamo in uno stato che prelude alla morte (ripensiamo al nostro Pasolini, alla sua invettiva contro la televisione che ci ha rubato l’anima, sradicandoci dalle nostre tradizioni contadine e che, in un processo di profonda e irreversibile trasformazione della cultura e della società, ha cancellato le diversità sostituendole con “valori falsi e alienanti”). Pynchon conia addirittura il termine Thanatoide*, riferito a chi rinuncia a lottare e guarda, imbambolato e dipendente la TV, che rende tutti omologati e produce una pericolosa assuefazione alla violenza e alla morte.
*(Thanatos è la componente distruttiva e la pulsione di morte presenti nella psiche, contrapposta, in psicoanalisi, alla vitalità sensuale dell’eros).
Ma torniamo a Frenesi, che quando rimane incinta riceve un sacco di consigli: chi la sollecita ad abortire, per non compromettere la sua attività di rivoluzionaria, chi le dice “che quella era una gran bella occasione, per allevare un figlio in modo politicamente giusto, sebbene l’interpretazione di tale enunciato variasse dal leggergli Trockij per metterlo a nanna all’includere l’Lsd nella formula del latte artificiale.” La figlia Prairie è ancora piccola, quando Frenesi scappa con l’antagonista ‘cattivo’ della storia, l’agente federale Brock Vond, e da qui si snoda lo scoppiettante caleidoscopio di Pynchon, che ci coinvolge nelle vite di tanti personaggi, con Prairie che - nella ricerca della madre, grazie all’aiuto fondamentale di DL ( così viene chiamata la grande amica di Frenesi, Darryl Louise - fa da fil rouge nell’intricatissima trama, fino ad avere, lei stessa, il podio d’onore nella scena finale del romanzo.
Conosciamo, lungo la narrazione, i genitori di Frenesi, in particolare la madre Sasha, “con gli stessi occhi azzurri e le gambe da fischio che avrebbe avuto sua figlia”; lavorava come lettrice di copioni mentre il marito, Hub Gates, faceva l’elettricista sul set: vivevano nell’incubo delle liste nere, delle liste grigie, dei segreti da mantenere, e quando Hub veniva licenziato da un film erano momenti bui. Parlando con la figlia, Sasha dichiarava: “Mi stava ad ascoltare, questa era la cosa stupefacente. Mi lasciava pensare ad alta voce, il primo uomo che faceva ‘così’.” “Pensava, lei, che la stessi a sentire, -interloquiva a questo punto Hub, e gli piaceva precisarlo: - Diamine, sarei stato lo stesso ad ascoltarla se anche mi avesse letto l’opera omnia di…come si chiama? Trotzkij! Sicuro, tanto per passare un po’ di tempo in compagnia di tua madre. Lei credeva che io fossi una gran testa politica, e io in mente avevo soltanto i soliti pensieri che hanno i marinai a briglia sciolta”.
Il padre di Sasha era invece un sindacalista e quando Eula, che sarebbe diventata sua moglie, lo incontra a una riunione, sente di aver trovato la vera sé stessa e di voler condividere con lui la strada, il suo pericoloso attaccamento a un ideale, al sogno di un grande Sindacato Unico. Pagheranno duro per queste loro scelte.
Insomma, ho cercato di offrire qualche assaggio della gente interessante che Pynchon ci mostra; lo fa in maniera originale, cambiando spesso, quasi a sorpresa, i piani temporali e mettendo a dura prova il lettore, ripagato però ampiamente dalla sua attraente, meravigliosa scrittura.
Un grande romanzo politico sulla società contemporanea, non solo americana, ricco di ironia, umorismo e passione.
E pure romantico: durante la festa di matrimonio Frenesi e Zoyd sono seduti accanto su una panca, sotto un fico: “Si era alzata una brezza che aveva iniziato a far oscillare le foglie del fico. “Frenesi, credi che l’amore possa salvare chiunque? Tu ne sei convinta, vero?” A quell’epoca non aveva ancora capito quanto fosse stupida questa domanda. Lei gli lanciò, da sotto la tesa del cappello, uno sguardo intenso. E lui pensò:” Almeno cerca di ricordare questo, cerca di conservarlo al sicuro da qualche parte, soltanto il suo viso ora in questa luce, ecco, i suoi occhi sereni, la bocca dischiusa…”
Non so perché, in questa immagine così intensa, ho pensato a Nabokov, alla sua Lolita.