L’uomo si abitua a tutto
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Ab-normal

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Ab-normal

L’uomo (o forse dovrei dire l’essere umano, magari con lo schwa, per adeguarmi alla parità di genere) si abitua a tutto: tende a considerare come normalità qualsiasi fenomeno che duri abbastanza a lungo, senza chiedersi se sia qualcosa di intrinsecamente giusto, o piuttosto una stortura da combattere. Così, per secoli interi abbiamo considerato normale la monarchia, la schiavitù o l’indissolubilità del matrimonio se veniva celebrato secondo un determinato rituale religioso. E nonostante si trattasse di istituti palesemente disegualitari o quantomeno discutibili sotto il profilo giuridico e culturale, l’atteggiamento culturale di molti e le politiche dei conservatori li hanno difesi comunque e si sono opposte strenuamente al cambiamento di un “ordine costituito” in cui la parte retriva della nostra società si ritrovava a proprio agio, poiché si trattava di un modello sociale che concedeva qualche privilegio o perché quello status quo era diventato una sorta di abitudine, comodo come un paio di scarpe già usate. Così ci siamo abituati a considerare normale il fatto che il continente africano sia sistematicamente depredato e brutalmente violentato dagli occidentali e più di recente anche da indiani e cinesi. Inspiegabilmente, invece, consideriamo anormali fenomeni più recenti, come le ondate migratorie delle popolazioni sub-sahariane che tentano di sfuggire a quelle tragedie causate proprio dalla “normalità” che abbiamo imposto loro. È altrettanto singolare la normalità del Medio Oriente cui ci siamo assuefatti: lo stato di Israele da decenni attua una politica di sistematica progressiva occupazione militare dei Territori palestinesi, in contrasto con le disposizioni delle organizzazioni internazionali che pure hanno decretato la nascita di Israele, ma sembrano voltarsi dall’altra parte quando devono far rispettare gli accordi fondativi. Le recenti azioni terroristiche di Hamas sono attentati criminali e meritano la nostra condanna senza appello, ma a pensarci bene, si tratta di operazioni eclatanti che hanno smosso l’opinione pubblica, cui corrisponde lo stillicidio di violenze cui i governi sionisti di Israele sottopongono i palestinesi da decenni, che sono altrettanto deprecabili eppure apparentemente risultano più accettabili, come se assassinare un uomo ogni settimana fosse meno grave di ucciderne 50 l’anno ma in una volta sola. Sembra sfuggirci il nesso di causalità che spiega alcuni dei fenomeni che ci preoccupano, ma dei quali tendiamo a stigmatizzare solo l’effetto, senza troppo indagare sulle origini. Basta pensare al tema degli squilibri climatici: non siamo assolutamente disposti a cambiare abitudini, facciamo ironia becera nei confronti di Greta Thunberg, ma poi ci stracciamo le vesti se le piogge torrenziali devastano il territorio provocando vittime. Evidentemente abbiamo un cattivo rapporto con la memoria: dimentichiamo il passato da cui dovremmo trarre insegnamento e ci adeguiamo a situazioni intollerabili se non ci toccano direttamente e magari durano da tempo sufficiente a trasformarle da ingiustizia consolidata a “normalità”. Ci stiamo abituando alla progressiva erosione dei diritti e delle libertà civili faticosamente conquistati nel dopoguerra, un patrimonio di civiltà che la politica nazionale sta scardinando a piccoli passi, e sotto questo profilo anche la sedicente sinistra non sta facendo molto, impegnata com’è a tentare di recuperare consensi e a codificare l’uso della magica desinenza gender-free di cui sopra, la panacea culturale che tutto risolverà. Come la rana nella pentola con l’acqua riscaldata lentamente, ci troveremo presto in una condizione intollerabile e le reazioni violente, le azioni cruente delle avanguardie che cercheranno di ribaltare la situazione di inaccettabile “normalità “in cui per molti versi siamo già immersi, sembreranno ai più nient’altro che criminali sovversivi. Le recenti affermazioni di politici al governo in relazione alle rievocazioni e al valore stesso della lotta di liberazione, i tentativi di oscena riabilitazione di chi “ha fatto anche cose buone”, la dicono lunga su ciò che ormai ci sembra “normale” e su quello che purtroppo ci aspetta nel prossimo futuro.