Uno scrigno di bellezza
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- REDAZIONE
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- Notizia pubblicata il 21 luglio 2024
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- Scritto da Monica Zanforlin
Si può essere colpiti da “mal di polesine” girovagando fra campagne e paesi che nulla hanno da dire a un visitatore distratto? Sembrerebbe di sì a sentir parlare Giulio Rama, docente di storia, veronese di Lazise, innamorato fin da bambino della nostra terra. È ancora alle elementari, Giulio, quando viene portato dai genitori a sentire un concerto a Villa Badoer, la celebre villa palladiana di Fratta Polesine. Da quel momento in poi le scoperte si moltiplicano in una pianura che gli appare tanto vasta e aperta, come piace a lui. Si innamora presto del Po, che diventa la sua meta preferita al punto che la madre gli regala una guida che a furia di essere consultata è ormai consunta. È, poi, la volta dei cieli, che gli appaiono così diversi da quelli del suo lago e di quell’aria umida polesana che a sentir lui “rende evanescente i confini”. Da ragazzo gli viene regalato un libro di Camillo Semenzato su “Le ville del Polesine” ed è sulle tracce di quel libro che, di passaggio a Pontecchio Polesine viene colpito da una sorte di rudere imponente, già villa maestosa, posizionato ad un incrocio di strade, al cui interno era cresciuto un albero che sbucava ormai dal tetto. Fu proprio quell’albero, unito alla quiete della campagna intorno, a spingerlo a fermarsi e a osservare quel che restava di villa Spisani, prima Cappello. Definita da Antonio Canova nel libro Ville del Polesine, “una delle migliori testimonianze del seicento veneto” nel nostro territorio, tanto da invocarne un immediato restauro , pena la perdita dell’edificio, Villa Cappello cui era rimasto il nome dei primi proprietari, che ne avevano fatto un luogo di residenza, era passata di mano in mano ad altri tre proprietari, era stata sede di un asilo, poi degli sfollati durante la guerra, poi sede di una scuola media e infine era stata abbandonata al suo destino. Attratto da quel luogo e intravedendone la bellezza, pur collocato in un incrocio di strade che, insieme agli edifici attigui, costruiti successivamente, ne soffocavano i confini perimetrali, l’allora giovane Giulio non faticò a convincere il padre, esperto commerciante e lungimirante uomo d’affari, ad acquistare l’edificio per ridargli lo splendore che meritava e che continuava ad emergere pur nella sua infelice collocazione. Così agli inizi degli anni ’90 cominciò l’avventura del restauro durato all’incirca undici anni. Da un lato vi erano i vincoli e i controlli della Soprintendenza che il rigoroso proprietario accoglieva con piacere, dall’altro vi era la necessità di affidarsi a ditte esperte in materiali e restauri d’epoca. Per detti motivi il restauro non avvenne all’insegna delle più sofisticate tecnologie ma ricercando una tradizione perduta e una cultura dei materiali che potesse restituire, nell’ estetica, i risultati di un tempo. Questa ricerca del committente si fuse benissimo con le indicazioni della soprintendenza ottenendo, così, un risultato eccellente ma, non per questo, più costoso. Ne sono un esempio i chiodi fatti a mano recuperati nelle vecchie travi e riutilizzati. Dopo alcuni anni di restauro Rama riuscì anche ad acquistare la cappella della villa dai penultimi proprietari, gli Spisani di Rocca Stellata e anche le barchesse laterali dagli ultimi ovvero i Lubian di Pontecchio, restituendo alla villa il suo vecchio ingresso e donandole un po’ di respiro. Venne recuperato da Giulio, non senza sacrifici economici perfino l’antico stemma in pietra dei Cappello che giaceva a Recanati, da una erede degli Spisani, adagiato nel giardino in una villa adiacente a quella appartenuta a Leopardi. Ora lo stemma è tornato a far bella mostra di sé, sulla facciata principale. La vecchia recinzione in ferro battuto, rimossa nell’ultima guerra e sostituita da una in cemento, è stata anch’essa rimpiazzata da una nuova cancellata. Tutti gli interni, compresa la bellissima, vecchia scala in legno, sono stati recuperati e arredati con mobili provenienti da Lazise e dal castello di Cinzano (Torino), alcuni affreschi sono riemersi ed inoltre l’elegante serliana collocata al centro del timpano, per lungo tempo accecata, è stata riaperta. Ciò che interessa, però, tornando all’amore e all’interesse per il nostro territorio è la disponibilità del proprietario ad aprire la villa ad eventi culturali che consentono ai polesani di far visita alla casa e al giardino e a far rete con altre dimore storiche per far rivivere mediante eventi culturali, aspetti ignorati del polesine attraverso una sorta di ricerca storica che mira ad una valorizzazione della nostra terra. Ne sono state una prova le giornate Fai realizzate, gli spettacoli teatrali, gli eventi collegati ad AIDO e alla biblioteca comunale, ma soprattutto la ricca raccolta di testi concernente le ville venete, che conta ormai più di 6000 titoli ed è aperta a qualsivoglia studioso. Possesso e condivisione, dunque, riescono a restituire al territorio e ai suoi abitanti la propria storia e autenticità.