Franca Bacchiega. L'urlo che preme dentro le parole
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- Notizia pubblicata il 16 luglio 2023
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- Scritto da Simone Martinello | Filò sull'aia della poesia. I poeti veneti
Da quante ore le dita
ti stanno camminando sulla fronte
eppure sai che il tempo
ha le sue conchiglie
per mandarci i suoni
delle sue disperazioni
ha i suoi riflessi enigmatici
per spiegarci
come fanno i nostri inferni
a farsi uomo.
Ci sono figure appartate e singolari nell'ambito della letteratura italiana. Una di queste è senza dubbio Franca Bacchiega. Almeno fino a tutti gli anni '90 il suo nome non trovava riscontro in nessuna antologia (tranne che in L'anno della poesia, 1980, curata dal poeta Roberto Mussapi per Jaca Book). Eppure i suoi versi, già dal suo esordio - Nella musica delle fontane (Vallecchi, 1984) - suscitarono un forte interesse di critica e pubblico: una scrittura raffinata, essenziale, tutta tesa a cogliere la profondità delle vicende della vita soprattutto in relazione al respiro dell'Universo. Proprio quello, mi pare, che ci manca ancor oggi, se stiamo alle cronache. Sconosciuta a più, a 86 anni, ha ricevuto l'importante "Riconoscimento Alberto Caramella 2022" della Fondazione il Fiore di Firenze in quanto "autrice di una poesia intima e universale" capace di cogliere e donare "semi dentro il vento".
Uno dei suoi primi estimatori e recensori, nonché amico di lunghe discussioni, fu Mario Luzi che colse la ragione d'essere della ricerca poetica della Bacchiega: «la studiosa del doppio, senza nominarlo, si mette sulle tracce del Dio nascosto: un Dio che però si manifesta umilmente nella sua legge scritta, nel suo codice meraviglioso che la nostra sofferenza offusca fino a renderlo inconoscibile.»¹
La seconda raccolta, La via del Cinabro, viene pubblicata per Scheiwiller nel 1989. Tema non da poco: la vita come conflitto e lotta eterna. È il grande critico letterario Geno Pampaloni a curare una intensa e folgorante prefazione. Un assaggio: «Il senso della poesia di Franca Bacchiega sta nel disegnare un arco molto ampio tra storia e mistero, che è da svelarsi e compiersi ma è certo - fra l'impronta e il nuovo passo, / fra il nulla e il totale - tra il buio del male e la pace nel crepuscolo luminoso della memoria cosmica; tra il crepitante spostarsi del tempo e la lunga crescita azzurra il cui segno è l'amore [...] Nella seconda parte dell raccolta si fa via via preminente il tema della 'vita'... Qui c'è un sacro furore poetico, un misticismo senza riferimenti di fede, un vortice tra esistenziale e cosmico.»
Quel Sacro, dunque, a me molto caro.
È un pensiero su cui ritornerò, cari Amici Lettori, nel prosieguo di questa rubrica. Scriveva Heidegger: «In quanto il poeta istituisce il Sacro, è a partire dalla Festa che avviene la sua "nascita" come poeta. Stare entro il proprio luogo d'origine, entro la propria Patria dovrebbe consentire al poeta di rispondere all'appello degli dèi e accoglierli nella parola per indicare agli uomini il loro itinerario, la regione dell'essere assegnata: la poesia come ascolto-risposta verso il dire originario si configura anche come Saga, pronuncia poetica primordiale.»
C'è un momento in cui il sentiero
[diventa impraticabile
dove l'ingiustizia e la menzogna
sono il pane quotidiano [...]
Allora
piano,
calma calma
infila scarpe d'oro.
E va.
Solo se si è pienamente consapevoli dei conflitti e dei contrasti che circondano e prendono d'assedio la nostra esistenza - il sorriso e le pene / il fuoco e le brume - risulta possibile una nuova coscienza e una più alta saggezza: perché sia informato / di una luce più antica della vita / che parla all'umanità / attraverso le stelle.
È l'umanizzazione della vita, di cui le Arti hanno sempre "detto". Che può compiersi solo se accettiamo i segnali che la luce ci invia. Allora potremmo spiegarci / come fanno i nostri inferni / a farsi uomo.
Franca, con questi versi, ci offre un insegnamento straordinario:
[...] si libera una voce di pianto
e ostenta orrore davanti alle prove.
Ma tu osserva le percosse della vita
senza soffrirne annota
colpo dopo colpo
vede
se coglie dentro il segno.
È luce
che s'insinua sotto le ferite
che insegna a vincere
solo dopo il pianto.
(Chi ha seguito questa rubrica ricorderà il verso di Eugenio Tomiolo: sofrir me torna come na richessa).
Nel libro successivo, Grandine e grano, pubblicato da Passigli nel 1991, la poetessa veneta porta avanti, nel segno della continuità, una ricerca di natura religiosa che la contraddistingue. Scrive Maria Luisa Spaziani: «Ritorna con questo libro la voce matura, fresca e sapiente di Franca Bacchiega. Libro, e non soltanto raccolta di poesie, data la grande unità tematica e spirituale di un discorso che continua e non fa immaginare in futuro variazioni: una fedeltà così profonda a una voce di natura religiosa che detta dentro, non può (né si spera che possa) mutare se non per ulteriori sfaccettature e sfumature, per altre proliferazioni di quelle immagini che in lei sono sempre ricche, puntuali e suggestive…
Tutto il nostro lavoro di poeti, lavora da Danaidi, sta in questo distinguere, isolare, riconoscere, salvare ciò che il tempo e il vorticare dei casi umani instancabilmente mescola e stravolge. Lavoro poetico, per la Bacchiega, ansia religiosa senza un Dio definibile. E così procede fra immagini e similitudini, fra zone chiare di pace raggiunta e immediata o imminente contemplazione della loro illusorietà.»
Vi propongo una carrellata da Poesie. Come semi dentro il vento (Rocco Carabba editore, 2015), un volume che racchiude in settecento pagine diverse raccolte poetiche pubblicate nel corso di quarant’anni da Franca Bacchiega. Il libro è arricchito da una scelta antologica di scritti critici sull’opera poetica di Bacchiega di Mario Luzi, Maria Luisa Spaziani, Roberto Carifi, Giancarlo Quiriconi e altri, che illuminano alcuni aspetti della sua scrittura in versi, definita "sapienziale". Ad esempio, come scrisse Luzi nella prefazione de Nella musica delle fontane, la capacità di «ripristinare nella nostra mente», «sia pure senza alcuna solennità di movenze e con molta naturalezza», «il senso orfico della poesia come nominazione primaria e conoscenza del mondo»; e di farlo «con levità e garbo ma anche con intenso incessante e quasi implacabile fuoco». Oppure, sempre secondo Luzi, la «leggiadria e forza, esatte e fantasiose» che «presiedono ai movimenti ritmici di quella danza d’intuizioni e pensieri che è il modo tutto diverso che Franca Bacchiega ha di congiungere il concreto, il molto pressante dell’esperienza […] con la meravigliosa e tremenda favola in atto del creato e della creatura».
Sheherazade
Sinfonia nel caos
fiamma nella nebbia
trastulli mentre informi
salvi per salvarti
simuli
narrando verità
storni la protervia
con la febbre delle storie
tesa
a violare la violenza
nelle fibre dei sultani
a giocare la tua partita a scacchi
contro l'ombra
con le tue pedine chiare
e doni sul flusso della grazia
la tua anima ad un sogno
sillabando la pazienza
seguendo le movenze della vita
da cui respiri le tue fiabe intatte.
E il tuo sorriso sa
del battito continuo, inavvertito
che di notte in notte
versa vita
nel polso della terra.
Pane
Dibattuta fra antinomie
percorri una strada soleggiata
tra effluvi di rose sarmentose
e inciampi in un fango immaginario
mentre una luce t'abbacina
da un vertiginoso
zenit.
Non osi guardare tanto in alto
non vuoi immergervi lo sguardo.
"Fissala e non tremare
affidale le palpebre arrossate
è la tua vita
il sangue
il pane
che nutre il respiro della terra
e il tuo."
Se ci sarà
Quando si ravvolge la vita
su di noi
come l'ipomea sul suo mattino
e c'illudiamo d'incontrare l invisibile
nell'ingresso della memoria personale
capiamo
che soltanto nelle vie interiori
s'incontreranno ancora i nostri sguardi
in un sogno di domani
se ci sarà
un momento raro
dove il tempo sappia
per prodigio
raggomitolarsi
a nido.
Fatti terra
Una voragine attende la caduta
una scala porta sotto l'Orsa.
Ripassa la lezione
assimila
il suono con il senso
ascolta l'urlo
che preme dentro le parole,
assorbi il tempo
che diventa canto
aspira il vento
che diventa verbo
fatti aria
ravvolgiti nell'urlo
come fosse un manto
fatti terra
e assorbo, dentro la tua pace.
Così canta
Nessuno conosce
l'andare e venire della vita, della morte.
Ma il vento ogni tanto mi ricorda
la cattedrale dentro il cuore
dove un inno antico
diffonde le sue note
tra le navate
con leggera voce d oboe
da quando sono nata
in questa terra.
E traccia
così canta
i percorsi eterni del mio verde
nei tratti in cui le raffiche di vento
increspano le nebbie
delle mie ignoranze
per sfioccarle
dentro l'aria lucida
delle azioni distillate.
Alla fonte di Andràz
L'acqua fa il nido nelle tenebre
come l'oro viene dalla notte
dalle pieghe delle pietre,
poi d'un tratto
dai silenzi sotterranei
risale senza canto
le vene della terra.
Salta dentro il tempo
nell'urto con l'aria di cristallo
salta con voce di contralto
in uno scroscio nervoso di note in mi, in re.
All ombra del corniolo
che umile protegge quella grazia
nell'incanto
nel miracolo
nella frenesia di quella nascita
tuffiamo assieme i nostri polsi
poi negli orli della polla
nella trasparenza liquida
che avvolge il getto come una gorgiera
ci chiniamo
a sorseggiare i nostri volti.
Speranza
Nel cuore turchino d un cielo
che abbraccia le zolle essiccate
nel centro del baricentro
c è un frullo d ali che apre alla vita
un gemito un pigolìo
la sinopia di un fiore speciale
l'accenno musicale di una speranza.
Se l'ascolti
le darai più forza
se l"accogli
le darai una forma
se la mostri a tutti
la indurrai a volare.
Un totem Arapaho
il ladro rubò la coperta
la bella luna
lasciata dal ladro
alla finestra.
Ryo Kan
Monaco zen
(1758-1831)
Ascolto la preghiera dei nativi
cantata ai bordi del pensiero
oltre il sonno delle pietre.
Nel sacro che, ignorato, affiora
c'è un parlare aspro
che mistifica questo prato rigoglioso
e l'inaridisce come una savana.
C'è un parlare secco, riarso
come di sillabe svuotate di vocali
come a non sciupare tempo
con quei suoni
che al discorso darebbero la pace
se li lasciassimo danzare
a loro agio dentro il fiato.
Dove sono le parole nostre?
Quelle che sanno sempre dove andare
a volte dentro i libri
a volte dritte al cuore.
Quando lessi la prima volta la raccolta Grandine e grano mi commossi. Emozione che è ritornata anche ora che ve ne sto parlando. Sono poesie che gettano uno sguardo nel cuore delle cose. Solo così si può ristabilire un'armonia perduta e ricomporre quell'antitesi che si colloca tra verità e menzogna, propria dell'essere umano. Un canto che esprime la durezza della vicenda umana per esplorare nel cuore del supplizio / un centro rovente di dolore e di dolcezza.
Occorre dunque:
Vivere
e ferirsi a ogni passo
La volontà di lottare e di combattere permette persino di accettare la morte come fosse vita.
Un libro orientato verso la Grazia, quella consolazione ineffabile (come la definiva Simone Weil) che può portare cuore e anima ad un'offerta di grano anche quando la grandine ha già devastato.
C'è sempre, in questa poetessa, la propensione a registrare il sentore del "numinoso" anche nella più piccola piega del succedersi del mondo e dell’esistenza umana. Lo fa con il conforto quotidiano dell’esperienza personale, con le occasioni infinite che lo sguardo offre. Qualsiasi momento, allora, può fornire la chiave per cogliere il mistero.
L'ultima raccolta Verdementa (Lions Club, Salerno, 1995), sempre considerando quel dialogo tra umano e non umano accennato alcune volte tra i meandri di questa rubrica, sa quasi di preveggenza:
È tutto nel cuore
del Grande Mistero…
E noi cerchiamo un angelo
nascosto dentro il tempo
dove si possa in pace
bisbigliare con il vento.
Una "religione", si può dire, che mette la natura al centro dell'universo, non l'uomo.
È una poetessa dal registro intimo, la Bacchiega, una leggerezza di tocco da viaggiatore pacato - rafforzata da numerosi viaggi in Africa, in America, in India - implacabile nello scovare e, soprattutto, illuminare le ombre del mondo, gli inganni, le sofferenze, le apostasie, delle quali spesso chiediamo conto invano: Soffio di un Dio dimenticato / nei crepuscoli delle sue eternità.
La poetessa si interroga sul senso dell'essere, cercando la via ad una propria Weltanschauung che ricomponga la frattura tra uomo e natura, tra ideale e desiderio.
Ne è testimonianza la bellissima raccolta Vivaio (Passigli, 1998) dove persegue il tentativo di accordare gli incomprensibili accenti del vivere in una sorta di epifania dell'essere, tra la nostalgia di un equilibrio primordiale e l'adempimento ad un'attesa di vita riparatrice:
Qualcuno o qualcosa
ci sogna
qui sulla terra
quando siamo nel verde
per farci tornare nel mondo
D'altronde il titolo dice tutto: giacché il "vivaio" è il laboratorio buono della vita. Luogo di cura, di attenzione e selezione di rarità, ricerca e impegno costante. E il punto di partenza non può che essere la parola, per cercare di cogliere quell'idea di immenso che ci assilla o quel filo di felice nonsense / che rende decifrabile ogni cosa / che arricchisce ogni sguardo / di veggenza.
A significare della sua bravura e versatilità nello scrivere, Franca Bacchiega, nel 1987, pubblica per Amadeus un breve romanzo (sarebbe meglio dire racconto lungo perché è di 80 pagine): Falce di luna, che entrò l'anno successivo nella rosa dei 12 finalisti del Premio Strega (vincitore Gesualdo Bufalino con Le menzogne della notte, Bompiani).
Una narrazione contaminata da una forte tensione poetica che ha come oggetto di affabulazione una storia indiana dalle intense suggestioni orientali, dove si avvertono gli echi gioiosi, e al contempo dolorosi, di una cultura diversa e lontana: una lotta senza tregua tra i principi del bene e del male; le persone battagliano per preservare gli affetti, la propria fedeltà a quella vita.
Così lo recensì L'Unitಠnell'inserto "Libri":
«L'ambiente è l'India tradizionale. La giovane sposa di Ramhlr viene morsa da un serpente, e atrocemente muore. Eppure non è del tutto morta. Il destino, infatti, le concede nuove forme di vita in successive reincarnazioni. Questo è l'avvio di Falce di luna, il romanzo breve in cui Franca Bacchiega dipana una storia di natura genuinamente Urica e fantastica. Tuttavia, nello sviluppo della narrazione, gli elementi immaginari si intrecciano con quelli della realtà, al punto da identificarsi nel luogo dove le chimere del pensiero diventano sublimazione di tutte le esperienze vissute e sperimentate. Ed è a quel punto, come sappiamo, che nasce Il mito. Il mito più affascinante di Falce di luna, infatti, non è quello esteriore della reincarnazione, quanto quello della verità che si capovolge, il duplice che mostra il suo volto nascosto, la dialettica che produce una nuova e imprevedibile tesi. Non a caso Franca Bacchiega, docente di letteratura anglo-americana all'Università di Urbino, e studiosa e appassionata del "doppio", In senso antropologico e psicologico, presente in tutte le culture europee.
Fra incontri favolosi, improvvise apparizioni e inimmaginabili fenomeni naturali (tra cui un'apocalittica tempesta di mare) il romanzo di Franca Bacchiega si precisa in diversi
punti di valore simbolico. Per esempio, nella seminagione di sette datteri che Ramhlr, su indicazione della moglie, compie con antico
gesto semicircolare del contadino. Vent'anni più tardi, da quell'atto così semplice e cosi
naturale saranno cresciuti sette alberi di dattero, disposti a mezzaluna. O meglio, come dice IiI titolo del romanzo, a falce di luna.»
Al 1990 risale invece la cura e la pubblicazione di Sotto il quinto sole. I poeti chicani² (Passigli) la prima, e sino a oggi unica, antologia dedicata esclusivamente alla poesia chicana. Il volume raccoglie oltre centocinquanta composizioni di venti autori, tradotte in italiano e con testo originale a fronte. Prima di questa preziosa raccolta la poesia chicana - incline essa stessa a un orgoglioso estraniamento e a lungo emarginata dalla cultura ufficiale degli Stati Uniti - era rimasta confinata nella dimensione di pubblicazioni underground dalla limitatissima circolazione.
Un'antologia che nasce grazie alla tenacia ed all'intelligenza di una curatrice che coniuga la serietà della ricerca accademica con le ragioni della poesia: rappresenta non la traduzione o l’adattamento di un prodotto editoriale già esistente, bensì la raccolta originale del più ricco corpus di poesia chicana finora mai presentato. Ne emerge una grande, sinora poco nota, tradizione poetica. Per dirla con Franca Bacchiega: «La poesia chicana è poesia ricca di tutta la profonda, misterica, e ancora misteriosa, conoscenza india, di tutta la raffinata conoscenza mediterranea, di tutte le conquiste dell’intelletto anglosassone. Sembra una condizione ideale per andare oltre, molto oltre.»
Notizia
Franca Bacchiega nasce a Bassano del Grappa nel 1936. Le città dell'infanzia e della prima giovinezza sono Vicenza e Padova. Gli anni del Liceo Classico sono vissuti insieme a "professori di latino e greco - un po' pazzoidi per la verità". Le città della seconda giovinezza sono Venezia (dove frequenta l’Università), Firenze e Urbino (negli anni Sessanta viene chiamata da Carlo Bo a ricoprire l'insegnamento di Letteratura anglo-americana all'Università). Dei "mitici" anni urbinati la poetessa ricorda la straordinaria figura del grande germanista Leone Traverso, da lei riconosciuto come "primo e forse unico maestro".
Oltre ai libri già menzionati sopra ha pubblicato le raccolte poetiche Vivaio (Passigli, 1998), Aelia Laelia (Garzanti, 2003), il cui ultimo capitolo è il Sentiero delle upupe (Carabba, 2008), La fragranza delle cedrine (Carabba, 2014).
Sono usciti poi i racconti: Contrappunto (Galleria Pananti, 1992), Storie ufficiose, Marietti, 1994) e Non c’entra il paradiso (Pironti, 2005).
Nelle frequenti incursioni nel territorio della letteratura inglese si è occupata della narrativa di E. M. Forster. Per la letteratura americana ha tradotto Cawdor (Einaudi, 1977), un poema in versi di Robinson Jeffers e un saggio a lui dedicato: La natura, la scienza, la poesia (Vallecchi, 1981). Sempre per la saggistica: Il Doppio, da una considerazione sull’ombra (Quattro Venti, 1985). Mi piace chiudere questa notizia così: è indubbio che il cammino poetico di Franca Bacchiega ha approdi alti e sicuri; una poetica divenuta vita quotidiana, ne siano testimonianza questi versi da Grandine e grano:
Forse sto imparando l'arte
di mutare in conoscenza
la pazienza
Note
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Mario Luzi, dalla presentazione di Il doppio;
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Giusto per fare un omaggio a quello che fu un grande quotidiano e al suo significativo inserto culturale. È del 28 settembre 1988, in prima pagina il titolo recitava cosi: "A Roma si discute mentre qui si muore", le parole dell'omelia dell'arcivescovo di Catania, Luigi Bommarito, ai funerali del giudice Antonino Saetta e del figlio, barbaramente uccisi dalla Mafia che, qualche giorno prima, aveva "silenziato" definitivamente il troppo scomodo Mauro Rostagno.
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Il termine Chicano sembra derivare da ‘Mechicano’ o da ‘Meshicano’, il nome originale degli Aztechi, e designa un’etnia che ha caratteristiche ben definite e un ricco, variegato passato culturale, tuttora vivo malgrado che i chicanos vivano nel Sud-Ovest degli Stati Uniti da circa 140 anni. Entrato diffusamente nell’uso degli ultimi decenni, il termine è rapidamente divenuto emblema di orgoglio culturale e di coscienza politica.
(La locuzione cinque soli, poi, nell'ambito dei miti della creazione, indica la credenza religiosa di Aztechi e Nahua, ampiamente descritta negli antichi testi e calendari, in cui il mondo attuale sarebbe stato preceduto da quattro altri cicli di creazione e distruzione).