Gian Mario Villalta Cercando luci a Nordest.
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Gian Mario Villalta. Cercando luci a Nordest

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Gian Mario Villalta.  Cercando luci a Nordest

               Quello che sento diventare è sapore

                e distanza che si piega nella mente.

                    Il tiglio è adesso tiglio veramente,

                ogni goccia di pioggia nel suo nitore

                     è pioggia e goccia infinitamente.¹


Credo si possa capire chi è Gian Mario Villalta, e cos'è soprattutto la sua poesia, da un exergo posto al libro Nel buio degli alberi, ovvero la parte finale della poesia Arvores del poeta portoghese Gastao Cruz:


que mudas a roxa amendoeira

em brancas flores do jacarandá

entrega a minha vida às árvores

que foram na manhã e no crepúsculo

no meio-dia e na noite, palavra

clara que traz o dia em si fechado.


(che cambi il mandorlo viola

in fiori bianchi di jacaranda

che dia la mia vita agli alberi

che erano al mattino e al crepuscolo

a mezzogiorno e nella notte, una parola

chiara che porta il giorno dentro di sé chiuso)

 

In un libro in italiano viene introdotto una venatura "xenoglotta", a significare una sorta di identificazione iberico/friulana. Come dire che lo spagnolo e il portoghese vengono sentiti come "dialetto" (ed è così, credetemi).

Allora non può non venire in mente ciò che animava quel Pasolini dell'Academiuta sul cammino (travestito) di Lorca e Machado nella Meglio gioventù, ossia la passione per le lingue dove le parole terminano con -s.


Ora, Villalta ha fatto grande uso del dialetto.

Un veneto, come già Zanzotto, non propriamente venexiano, ma liventino. 

Quindi la citazione di Cruz, il ricordo degli alberi, vuole fissare una sorta di "voce delle voci" che parla dalla terra e dal dentro. 

E di sicuro non è un caso che Villalta abbia curato il Meridiano dedicato a Zanzotto (Mondadori, 1999) e quindi la sua poesia va forse dal poeta di Pieve di Soligo, forse l'ultimo degli ermetici, ai grandi lirici come Rilke e Celan, che scriveva:


Al bilinguismo in poesia io non credo. Doppiezza di linguaggio della lingua - sì, questo esiste… Poesia ciò vuol dire, fatalmente, unicità della lingua. 


Solo nel gennaio 2022, Villalta su Zanzotto scriveva:


«Sostare sulle riflessioni di Andrea Zanzotto che riguardano il fatto linguistico, ovvero la facoltà e l’effettiva pratica dell’umano parlare, è sempre bello, all’inizio e poi - parafrasando Rilke con un sorriso - un po’ tremendo. C’è sempre in questi frangenti il passaggio, la frase, l’aggettivo che imprime nel discorso qualche avvio di vertigine. Zanzotto, insomma, ci fa “girare la testa”, in un senso, che è quello che ci fa rivolgere lo sguardo a qualcosa che non avevamo visto; in altro senso però ci lascia a volte “confusi e felici”, come gorgheggiava la cantautrice Carmen Consoli, e non proprio certi, però, alla fine, di aver compreso tutta la strada percorsa. Per fortuna questo “non capire tutto” è anche un forziere spalancato di altre domande, con le quali continuiamo il nostro viaggio in "Zanzottolandia" e ritorno (non meno significativo è, infatti, il ritorno). »


Nel buio degli alberi è un libricino di 48 pagine per le edizioni meritorie del Circolo culturale di Meduno. Con il senno del poi, credo sia stato il libro che ha dato il la ad un decennio importante della poesia di Villalta che passa per Vedere al buio (Luca Sossella, 2007) e il bellissimo Vanità della mente (Mondadori, 2011).


Questo piccolo libro dell’autore friulano si compone di 20 brevi poesie, accompagnate da 3 tavole di Claudio Guerra. Villalta continua su vie già aperte altrove: la concentrazione sul sé autobiografico, l’attenzione e apertura ai richiami multidisciplinari ai quali la letteratura può rapportarsi (neuroscienze, etologia, antropologia del vicino, ad esempio), un lavoro incessante sulla memoria, lo sforzo per intendere di quale complessità (che non è mai il contrario di ‘semplicità’) linguistica, testuale e visiva necessiti la rappresentazione dell’oggi.


A muovere le poesie ci sono stimoli che non si possono considerare ‘cause’ dei versi. Infatti, per il neurofisiologo Berthoz, citato da Villalta in apertura, è da abbandonare l’idea che i sistemi sensoriali ricevano stimoli. La loro funzione principale non è la ricezione bensì la simulazione dell’azione. Contro la rappresentazione cartesiana dello spazio, è ribaltata in attività la ‘tradizionale’ passività riconosciuta ai sistemi sensoriali. Si leggano allora l’iniziale Corro incontro alla terra, oppure Perché ora vieni casa, antenna, vaso o Ruotano intorno al noce le cinque case. Il testo poetico non è mai una necessaria conseguenza di ‘un prima’ temporale.


La parola sempre non vuole dire uguale / domani, / o che ripete questo giorno la sua luce / di rivelazione – / dico sempre e vuol dire che il colore / di questa giornata ha infiltrato i giorni / miei tutti, / si è ritrovato, nel passato, e in questa luce, / che lo ha conosciuto, / ha radunato il pensiero.


La materia temporale e la memoria si stemperano e coabitano nel mondo di questi stimoli (i quali possono essere anche "assenze"). La poesia nascente è allora ‘empirica’ nel senso che vive con la realtà di cui è parte e insieme tentativo di comprensione (ritmica, visiva, emozionale): 


Posso aggiungere solo che incontro / sullo stradone ogni mattina / i pioppi, e uno per uno / fogliano lenti e insieme fanno il tempo. / Ogni giorno anche loro cambiano, / li indovino nel verde più intenso / (vorrei fermarmi, guardarli uno per uno) / e quando ritorno, ogni giorno, nell’altro senso, / li perdo – e allora penso: passano.


Le tensioni che la poesia di Villalta riflette sono quelle di una realtà che spinge all’attenzione costante verso la memoria e soprattutto verso il riposizionarsi inesausto di ogni momento del vissuto e del pensiero.


Quello che sento diventare è sapore / e distanza che si piega nella mente. / Il tiglio è adesso tiglio veramente, / ogni goccia di pioggia nel suo nitore / è pioggia e goccia infinitamente.


Emanuele Trevi nella nota iniziale ipotizza che le poesie qui contenute disegnino «il mondo così come esso può essere descritto e pensato durante l’esercizio, gratuito e senza pretese, della corsa». La corsa diviene così una «tecnica d’alterazione» efficace alla comprensione degli spazi nonché al ritrovamento (perché di riscoperta si tratta, in senso quasi platonico) di una materia linguistica e ritmica personale, saldata in tale sforzo di comprensione. È molto probabile che sia l’azione (così Berthoz: «il cervello non costruisce lo spazio in maniera cartesiana e topografica, ma in unità legate all’azione») a interessare profondamente Villalta. Se ogni azione è anche spiegazione di qualcosa, allora la poesia è una pura azione se instaura con la realtà una corrispondenza di senso. Così non siamo noi a guardare ma diventiamo sguardo del movimento: 


Ho meritato di sentire una rete metallica / traforata dall’aria, suonata dal prato intorno / scorrendo il suo orlo appuntito, / ho meritato di sentire la stagione perfetta / con le ginocchia e i muscoli del collo. / Non so quando è stato, il passato / era al mio fianco e non indietro, / non io a guardare ma diventare sguardo / del movimento – non lo so quando ho meritato / di morire.


Gian Mario Villalta esordisce come poeta su Alfabeta (nr. 81, 1986), con presentazione di Antonio Porta. In seguito i suoi testi verranno pubblicati su riviste, antologie, volumi a più voci. I primo libri in dialetto sono: Altro che storie! (Campanotto, 1988), Lo scravass e altre voce - Il temporale e altre voci - in Diverse lingue (nr. 6, 1989); entrambe le raccolte confluiranno in Vose de voce - Voce di voci - pubblicato da Campanotto nel 1995.

L'ass ingrevà de la tera - L'asse storto della terra - in Cinque poeti in dialetto veneto (In forma di parole, III, 1998, con una nota critica di Andrea Zanzotto.


Leggiamo una poesia da Vose de vose:


L'è sol che un di l'autuno 

e sempre quel. L'è la rama

che co' le so foje la 'nventa 

'na firma par 'ndormentarse

insoniando che no fa mal

arder.

L'è 'l sol de un di che no passa,

ma sempre pì autuno, sempre

pì solamont, un fià che 'l sfiora 'pena

i vieri, mus.cio sul loro

de 'na piera, quasi tera, quasi

cielo,


vent


E questa da L'ass ingrevà de la tera:


Poca erba, erba poeta,

de un prà stornio dadrio 'l cavalcavia,

erba freda, sporca erba de un prà 

de ani dismentegà 

cossa insistitu a cresser 

el to dialetin de versi stusai

da tetrapak e monossido?

Cossa ti si - vera - ti?

I kiwi, 'lora, el mais,

te pàreli virtuai?

No te si ti che te salva.

No te si ti che te sa.

Te si sol che ribandonada

te l'infinio de la to nudità. 


Solamente per dare un saggio di dove sia giunta la poesia di Villalta con l'ultimo Vanità della mente, riporto qui la poesia Vero viso contenuta in questa raccolta uscita nella collana Lo Specchio di Mondadori.


Velo viola la sera lieve accarezza i fiori

freddi del melo – una goccia di resina inizia a formarsi

sulla corteccia. È questione di ore


di giorni.

Non guardare negli occhi

il cane non correre non gridare

con la voce del suo padrone.


Felici i sempre connessi

perché con essi gli amici

e i nemici sono congiunti

e inafferrati interessi?


Confessi a te stesso che della felicità

sai la voglia: fa feste

all’aria intorno a te e ignora

il boccone offerto, come il cane addestrato

alla guardia del cuore

quando sfugge al guinzaglio.


Ma ritorniamo, cari Amici lettori, all'inizio di questo scritto, a quel bellissimo libro che è Nel buio degli alberi con questa poesia:


Corro incontro alla terra

Dove sono gli alberi.


L'aratura ha brunito le zolle

in lunghe onde,

il campo si incurva e solleva verso la fine. 

Nuvole. Cielo alluminio. 

Bianca aria vicina,

sono grandi gli spini lucidi delle robinie.


In questa chiusa di alberi 

la terra aumenta e cancella

con un'onda di buio le gambe. 


*

Si diceva che una festa era stare così, 

con le braccia vicine, tutto il mangiare

                                                [nei piatti,

il buio degli alberi, l'estate piena

                                     [dei suoi rumori.

"Possiamo farlo ogni volta…".

Dalle parole sapore e parole dai sapori. 

Le nuove serate insieme a tavola,

i progetti, le date… ci apparivano migliori, 

gli amici e noi, per priva

nel ricordo del dopo… una prossima volta

in questa prima accadeva, pensata, 

                                 [e pareva ripetersi 

come non sarebbe più stata. 


*

È bianco l'est, e io non so se viene

Incontro o scappa la luce della terra, 

cespi di erba, ruota ferma nella pioggia 

mentre guardo dal vetro la salita,

il peso della terra, il vento

che addensa il cielo dietro la collina.

Il biancospino tremante nel fianco

                                         [della mattina.


*

Quello che sento diventare è sapore 

e distanza che si piega nella mente. 

Il tiglio è adesso tiglio veramente, 

ogni goccia di pioggia nel suo nitore 

è pioggia e goccia infinitamente. 



Abitando in una piazza con i tigli, questa poesia avrei voluto scriverla io. 



Notizia


Gian Mario Villalta è nato a Visinale di Pasiano (Pordenone) nel 1959. Si è laureato in Lettere a Bologna con una tesi sulla retorica del testo letterario e filosofico. 

Della sua produzione in dialetto si è già detto. 

In lingua ricordiamo: L'erba in tasca (Scheiwiller, 1992), con una nota critica di Franco Fortini; Malcesine animali in QI 3, con una nota di Stefano Dal Bianco. Nel buio degli alberi porta la prefazione di Emanuele Trevi

Ha pubblicato nel 2000 n volume di racconti Un dolore riconoscente (Editori Associati, Transeuropa); il romanzo Tuo figlio (Mondadori, 2004). Di Zanzotto, oltre al Meridiano di cui si è accennato, ha curato Andrea Zanzotto. Scritti Sulla letteratura (Oscar Mondadori, 2001) e le monografie: La costanza del vocativo. Lettura della "trilogia" do Andrea Zanzotto: Il Galateo in Bosco, Fosfeni, Idioma (Guerrini e Associati, 1992) e La mimesis è finita (Mucchi, 1996). Dei suoi numerosi saggi critici, per l'importanza delle tematiche trattate, si ricorda: Autotraduzione e poesia neodialettale in Testo a fronte, ottobre 1992; Figure per l'ascolto del corpo e della mente. Il verso e la scrittura nella poesia contemporanea in Ritmologia e Il respiro e lo sguardo. Un racconto della poesia contemporanea italiana (Rizzoli, 2005).

Per la narrativa i romanzi, Bestia da latte (SEM 2017) e L’olmo grande (Aboca edizioni, 2019). Nel 2020 è tra i candidati al Premio Strega con il romanzo L'apprendista (SEM, 2020). Dal 1984 insegna al Liceo "Ettore Majorana" di Pordenone. È Direttore artistico di Pordenonelegge, un festival che da alcuni anni da voce alle nuove generazioni dei poeti italiani attraverso la Collana gialla di poesia di cui fa parte, tra gli altri, Maddalena Lotter di cui si è trattato in un numero di questa rubrica.