Giovanna Manzolli Modonesi. Perdersi nel gioco d'occhi della luce del Po
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- Notizia pubblicata il 25 giugno 2023
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- Scritto da Simone Martinello | Filò sull'aia della poesia. I poeti veneti
… fra cuore e cuore
al toco d'la parola
c'l'incalma alvà do ben…
odore do filò,
e cante e cante dosfojà su l'ara
(...fra cuore e cuore
al tocco della parola
che innesta lievito d'amore…
profumo di filò,
e canti e canti sfogliati sull'aia)
Santo LINGUAGGIO, onor delle Genti/ discorso profetico e forbito, / stupende catene avvincenti / il dio nella carne smarrito / folgorazione, ampiezza! / Ecco che parla una Saggezza / e la sua nobil Voce si effonde, / che si conosce quando risuona / non esser più voce di persona / bensì dei boschi e delle onde!¹
È nel poema La Pizia di Paul Valéry che ho trovato l'abbrivio per dire della poesia di Giovanna Manzolli Modonesi, la cui summa è nella raccolta Drìo-Po (Sulle rive del Po), considerata da Attilio Carminati, che ne scrisse la prefazione, «uno dei libri più interessanti e più umani apparsi sulla scena della poesia nazionale.» Non è forse lo scorrere del Po "santo linguaggio… folgorazione, ampiezza"? La Manzolli si mette in ascolto della sua "nobil Voce", ne assorbe i suoi tanti significati, essa stessa fiume.
Seduta
sull'argine grande
ascoltiamo la vita
è l'incipit di una delle sue primissime poesie. Se il poeta può essere "seduto", solo, di fronte alla maestosità del Po - il Fluviarum Rex per gli antichi; l'Eridano, «il fiume del sole, della luce o del fuoco»² -in quell'ascoltiamo c'è l'invito rivolto a tutti "Noi", ad ascoltarlo:
… fià calmo del Po.
Altare do cielo inpissà
a passa el me fiume.
El sorbe
in ti brancaje di salzi e piope
silenzi d'arzri inpacà
e maraveje spipolà, pian
drìo i so rive.
El va, senpre-d'lungo
in tel ziro eterno del sole
par fiore, vena do tera
tendra spiga mai dosmentgà
c'a scarnisse leziera
in tel cavo del cuore.
(... respiro calmo del Po. / Altare acceso di cielo / passa il mio fiume. / Assorbe / fra le branche dei salici e dei pioppi / silenzi d'argini attoniti / e meraviglie sussurrate, piano / lungo le sue rive. // Va, continuo / nel giro eterno del sole / per fiore, vena di terra / tenera spiga mai scordata / che schermisce leggera / nel cavo del cuore.)
Ecco allora che esce una domanda: "Ma noi, il fiume, lo conosciamo veramente?" Mi colpì anni fa uno scritto di Ermanno Olmi:
«… ciascuno è convinto di conoscere il Po come il fiume. Moltissimi lo intravedono (ma non sempre se ne accorgono) passando sui ponti dell'autostrada, velocissimamente, come un diversivo del paesaggio, che però dura solo pochi istanti. Anch'io ero di questi, e consideravo più o meno esaurita la mia conoscenza del fiume solo per il fatto di sapere della sua esistenza. E invece ho visto per la prima volta il fiume quando un caro amico nativo di quelle rive mi costrinse ad andare alla scoperta del Po. Fu bellissimo [...] Egli sopporta con una forza immane (l'antica, eterna forza della natura) come se attendesse il nostro ravvedimento. Questa possente capacità a sopportare è un atto di fede ineguagliabile. Quasi che la sua fede e la sua forza gli derivino dalla conoscenza di cose misteriose e superiori a cui nessuno di noi è dato partecipare. [...] Bisogna assolutamente confrontarsi con qualcosa che è partecipe del Mistero: e il fiume Po lo è.»³
Giovanna Manzolli altro non è che una "cara amica" che ci conduce per mano a tuffarci su prà d'aqua fonda / c'a core / c'a va…
Per dire: perdiamoci in t'el zogo d'oci / d'la to luze (nel gioco d'occhi / della tua luce): Po, el me fiume. Il "nostro" fiume. Ci rende partecipi di questo "mistero", dandoci la possibilità di comprenderlo: tutti, nel dipanarsi dei giorni, qualsiasi sia la riva che si abita, dobbiamo filare nostro malgrado l'ultima stoppa / tutta arruffata… Cercando di non dimenticare mai che l'acqua è vita. E se la fola l'è vecia l'è nova / l'è senpre quela, sentiamo però sempre un bisogno "d'acqua che ci bagni la bocca":
Dème anch'a-mi, / c'a mo scciansa, / a m'arsora i me insuni brusà, / un fià d'aqua d'Po. / Un fià d'aqua nova / e ciara e bela e dolse e bona e viva / e lissa c'a sbrìssia / coi scarabissi del celo / bianchi e turchìn.
(Date anche a me, / che mi spruzzi, / ristori i miei sogni bruciati, / un po' d'acqua del Po. / Un po' d'acqua nuova / e chiara e bella e dolce e buona e viva / e liscia, che scivoli / coi ghirigori del cielo / bianchi e turchini.)
Come non avvertire, in quest'acqua nuova e chiara, la lezione di San Francesco, che non è semplicemente l'espressione di un'emozione estetico-religiosa, è qualcosa di più: il convincimento, riconoscente, della partecipazione sentita e vissuta con l'universo. Con tutto quello che c'è in esso. Che ci dona:
Chi
zò da nantri
a ghe quel c'a t'sirchi
da senpre.
In t'el mare di paradié
a sfiora speranse
paciarar alegro do madreperle.
Resta!
a vardaren insieme la luna
sbasir la tera
fili di stele orlare i onde
in t'el spipolar di onbre
e man tut' bianche
do caplassi spanì, chieti su l'aqua
regalar chissà co insuni
su l'alvà del tenpo
scandì dai rimi.
(La Bassa. Qui / giù da noi / ci sono le cose che cerchi / da sempre. / Nel mare dei canneti / sfiorano speranze / sciacquare ridente di madreperle. / Resta! / guarderemo insieme la luna / imbiancare la terra / fili di stelle orlare le onde / nel bisbiglio delle ombre / e candide mani / di ninfee sbocciate, quiete sull'acqua / offrire chissà quali sogni / sull'alzata del tempo / scandito dai remi.)
Pensiamo a Dante. Vi invito a sostare, cari amici lettori, su alcuni suoi versi, fondamenta di ogni "vera" poesia, filo conduttore di questa rubrica: I' mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / che ditta dentro vo significando.⁴ C'è la riflessione sull'Io - io sono uno a me stesso - Io che diventa complemento oggetto del nostro essere più profondo e sconosciuto o, per meglio dire, per tradizione di ogni lingua popolare e orale (i dialetti) quell'Io diventa un "mi", cioè un "noi".
Poi c'è il movimento d'amore: l'unico che può scuotere l'uomo nelle sue viscere e porlo nella condizione di una simbiosi con se stesso, con i suoi simili, con l'universo. Chiunque s'innamori lo sa bene: muta radicalmente il rapporto con la realtà, cambia l'atteggiamento, si perde la nozione abituale del tempo e della distanza, si percepiscono in modo diverso i colori, gli odori, i sapori.
C'è poi un altro aspetto, necessario quanto fondamentale per il poeta, l'ascolto: "noto", annoto. Ovvero, ciò che costituisce il fare della poesia: ascoltare in sé e fuori di sé. A cui Dante aggiunge: a quel modo / che ditta dentro, il prestare attenzione alla voce interiore, a cosa ci "detta". E tutto si chiude con quel vo significando: vado mettendo dei segni. Le parole non sono che segni dell'indicibile. Segni di quel reale di cui l'amore promuove la forma.
Si capisce allora che il dialetto, lingua storica della realtà e delle cose, non può essere considerata una lingua minoritaria. Per la "lingua della poesia", se trova la strada giusta per estrinsecarsi, conta poco quale siano le cifre dell'alfabeto - quello di Scardovari per la Manzolli - e quali i suoni che ne scaturiscono. Se dietro le parole scorre un'energia vitale, certamente nascerà qualcosa che può servire all'uomo per verificare la sua presenza nel mondo e meglio adeguarsi al percorso della sua esistenza. Tutto quel sentire, il mondo interiore, quelle "piene" di avvenimenti, eventi ed emozioni che formano il "santo linguaggio" di cui parla Valéry. E che è anche il lievito della poesia di questa poetessa. Di certo, del suo valore se n'è accorse la giuria del premio "Livio Rizzi" quando nel 1965 la dichiarò vincitrice per il componimento Stéla Boara:
Stanote chi c'a durmì?
Iersira a-ierno vissìn.
Lu el m'insegnava el ziro di stele
quele del caro
Quatro in ti rode
tri in-t'el timon… -
El iera tuto sbasì.
L'ultima stela
a luzeva in ti so oci.
A me gnù 'n sgrisolon.
El scciocava
el punzeva
el pajon su i me insuni…
Un leto do turmenti
do voje sofgà
do stele luzenti.
A m'ò alvà
stamatina bonora
par vedre la Stèla Boara.
Chissà
se lu l'à vardà…
Stanote chi c'a durmì?
(Stella Venere - Stanotte chi ha dormito? / Ieri sera eravamo vicini. / Lui m'insegnava il giro delle stelle, / quelle del carro / - Quattro nelle ruote, / tre nel timone… - / Era tutto trascolorito. / L'ultima stella / splendeva nei suoi occhi. / Ho avuto un brivido lungo. // Scricchiolava, / pungeva / il pagliericcio dei miei sogni… / Un letto di tormenti / di desideri soffocati, / di stelle lucenti. // Mi sono alzata / all'alba / per vedere la Stella Venere. / Chissà / se lui l'ha guardata… // Stanotte chi ha dormito?)
Traspare una cadenza trasognata, dove l'atto d'amore (il pensarlo) vira verso un tenera sensualità, salvifica, piena di stupore: la vita è mistero e non cessa mai di sorprendere chi la guarda con occhi pieni di gratitudine ed è capace di ammirarla. Solo gli animi scarsamente provvisti di energia e spiritualmente insensibili "dormono" e sono incapaci di sognare e di meravigliarsi. Non è stato così per il viazo d'amore della Manzolli. E vale anche per noi: c'è sempre un girasole / sereno / paziente e sicuro, / su mala-erba alto sfogliare / il diario della tua sostanza: / itinerario d'amore / nell'arco del sole. / E quietamente, / alla sera, / ascoltare le stelle.
Nata a Papozze (Rovigo) nel 1917, quartogenita di sei figli, GIOVANNA MANZOLLI MODONESI porterà sempre nel cuore la "cà rosa" - Polesine con amore: la casa rosa, sarà il titolo di un suo lungo racconto autobiografico pubblicato nel 1988 - la piassa granda surbì da Po' / (par l'aluvion del cinquantun) / e zughi e corse a boca vèrta. Studia a Crespano del Grappa e ad Adria, diplomandosi maestra a Rovigo. Dopo aver insegnato a Panarella e nel suo paese natale fino al 1945, seguirà il marito Ettore Modonesi nelle sue condotte di medico, arrivando nel 1950 nel Delta del Po, a Scardovari - Pele incrustlì / schine cucià / rai c'a sguissa, / man c'a ruma c'a serca c'a dà. / Vita c'a sgussa / sota i oci del vento / paron. / E meraveja de Zente / col cuore in man / senpre (Pelle ruvida e secca / schiene ricurve / reti che guizzano, / mani che frugano, cercano, donano. / Vita che sguscia / sotto gli occhi del vento / padrone. / E meraviglia di Gente / col cuore in mano / sempre) - dove rimarrà 36 anni, scrivendo delle precarie condizioni sociali ed economiche in cui versava all'epoca il paese della Bassa («Lo spirito democratico, qui, è sempre stato vivo e operante come modo di vita, prima ancora se ne conoscesse nome, derivanze e significato»⁵), lasciando una memoria indelebile.
«L’impegno e la determinazione spinge alla scrittura meditata, analitica e commossa la Manzolli Modonesi», scrive Luciano Caniato in Rovigo. Antologia dei grandi scrittori (Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone, 2012). Se le prime poesie sono del 1963, se seguiranno favorevoli pareri di personalità importanti - Giovanni Comisso, Ugo Fasolo, Biagio Marin, Eugenio Ferdinando Palmieri, Diego Valeri, Manara Valgimigli - tuttavia (probabilmente per un'innata ritrosia) una scelta della sua vasta produzione si concretizzò sulla carta stampata solo nel 1992, quando ricevette il Premio "Torreglia per la Cultura Veneta" cui seguì la pubblicazione sotto il titolo Drìo-Po (Venilia editrice). Se ne andrà nel 2005, a Rovigo, dove visse l'ultima periodo della sua vita, ma non senza aver visto prima, nella Valle dei Poeti di Nanto (Vicenza), la dedica di un ulivo, i canti dei suoi rami andare / lungo la corrente del pensare.
Note
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Traduzione dal francese di Attilio Carminati.
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Santi Barberini, Il significato degli antichi nomi del Po (Scuola grafica don Bosco, Genova, 1967).
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Ermanno Olmi in il Po del '900 arte, cinema, letteratura (grafis, Bologna, 1995).
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Dante, Divina Commedia (Pg, XXIV 52-54).
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Giovanna Manzolli Modonesi, da Polesine con amore: la casa rosa (in REM, nr. 2-3, 2019).