Il fascino discreto della pulizia
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- Notizia pubblicata il 27 settembre 2023
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- Scritto da Mario Bellettato | L'estuario del Po
Il concetto di comunità è in crisi: viviamo immersi in una società caratterizzata da un individualismo disperato, non abbiamo più amici, incontriamo altre persone, individualiste anch’esse, che diventano antagonisti, soggetti di cui non ci possiamo fidare, se non nel momento effimero in cui condividiamo un consumo.
Abbiamo gli “amici del bar” con cui condividiamo l’aperitivo, i “compagni dell’abbigliamento” che acquistano gli stessi brand che piacciono a noi, o quelli delle vacanze, che frequentano (non insieme a noi, ma per conto loro) gli stessi villaggi turistici dove siamo stati e pubblicano sui social selfy identici ai nostri. “È un soggettivismo – così Umberto Eco spiegava Bauman – che ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica) e le uniche soluzioni per l’individuo senza punti di riferimento sono da un lato l’apparire a tutti costi, l’apparire come valore e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, e il singolo passa da un consumo all’altro in una sorta di bulimia senza scopo”. La modernità liquida, per dirla con le parole del sociologo polacco, è “la convinzione che il cambiamento è l'unica cosa permanente e che l'incertezza è l'unica certezza”.
Ho scomodato Sygmunt Bauman, Eco e il concetto di “società liquida” diventato così popolare anche presso i politici (che tuttavia non ne comprendono il reale significato, altrimenti si suiciderebbero in massa come i lemmings), per introdurre un argomento decisamente meno filosofico, un tema quasi banale, anche se curiosamente un legame tra la “liquidità” di Bauman e ciò di cui vi parlo, esiste. Se il diavolo è nei dettagli, Lucifero è in quelli più piccoli.
La bulimia consumista con cui ci confrontiamo quotidianamente ha cambiato profondamente le nostre abitudini: quasi senza rendercene conto abbiamo assunto comportamenti che ci sembrano “normali”, ma che in realtà siamo noi a considerare normali e che comunque producono sull’ambiente effetti tutt’altro che irrilevanti.
Per esempio, provate a pensare ai detergenti, ai “saponi”: vent’anni fa ci si lavava con il sapone solido, un parallelepipedo variamente colorato e profumato che ci limitavamo a strofinare direttamente sul corpo inumidito o su quelle salviettine di spugna di cotone ricavate dagli asciugamani vecchi. C’erano anche le saponette per il bucato e se usate correttamente queste mattonelle che oggi consideriamo reperti archeologici, assicuravano un’igiene più che soddisfacente a noi stessi, alla biancheria e ai nostri indumenti.
Si acquistava il sapone con la fragranza preferita, spesso lo si riponeva nei cassetti così profumava il bucato e quando serviva lo si scartava appoggiandolo sul lavandino o vicino alla vasca da bagno, su di un piattino forato per farlo asciugare tra un impiego e l’altro. Non si facevano montagne di schiuma inutile, pochi litri d’acqua erano sufficienti per sciacquarci bene e l’imballo si riduceva a una pallottola di carta, che magari si usava per il camino.
Oggi le saponette sono in via di estinzione come i panda e gli orsi marsicani, soppiantate dai detergenti liquidi che ci vengono proposti dalle industrie cosmetiche declinati in una gamma infinita di varianti. Ci hanno convinto che anche “lo sporco” del nostro corpo è personalizzato, persino il sebo è diventato individualista: dobbiamo scegliere il prodotto adatto a noi e pagarlo caro. «Da quando mi lavo con questo, sento la pelle più liscia…»: è la frase sciocca del consumatore-vittima, peccato che molto spesso questa sensazione sia l’effetto delle terribili miscele di parabeni, petrolati e siliconi. Non ci si possono lavare i piedi e il viso con lo stesso prodotto, e nemmeno le mani e le ascelle… sono abitudini da primitivi! Con una punta di razzismo chimico vogliono farci credere che abbiamo bisogno di lavarci continuamente, usando prodotti miracolosi che non ci fanno più sudare, che ci aiutano ad avere successo, collaborano nella seduzione dell’oggetto/soggetto del nostro desiderio, ci liberano dalla forfora e combattono la caduta dei capelli.
Si tratta di prodotti “liquidi” e la decisione pianificata di farci passare dalla saponetta al flacone ha una sola ragione: i profitti delle industrie.
Non ce ne siamo resi conto, abbiamo accettato questa rivoluzione igienica senza protestare: i guru del marketing ci hanno convinto che era la soluzione migliore. La felicità a portata di doccia, ma più per le aziende produttrici che per noi.
Usando i detergenti liquidi usiamo una quantità di prodotto enormemente superiore a quella che utilizzeremmo con le saponette e compriamo di più: dai flaconi giganteschi escono fiotti di prodotto in quantità assurde, che distribuiamo sul corpo come un toccasana, quando in realtà sarebbe sufficiente usarne una frazione. Più del 65% del prodotto che usiamo è superfluo, finisce direttamente negli scarichi. Già: negli scarichi. E poi nella rete delle fognature e infine nei fiumi, nei mari e nei laghi, con esiti disastrosi per flora e fauna ittica. Ma nonostante tutto, per i profitti della cosmetica nemmeno il semplice detergente liquido, da solo, è sufficiente. E così ci hanno convinto che dopo lo shampoo serve il balsamo. E dopo il bagnoschiuma serve la crema liquida, certo, perché il bagnoschiuma ce l’ha seccata troppo. Ci laviamo come forsennati fino a indebolire e compromettere il velo lipidico che difende la pelle, così poi ci troviamo a combattere le reazioni della nostra povera epidermide a questi attacchi chimici con una marea di pomate, magari a base di cortisone, sui cui effetti a lungo termine non sappiamo nulla. Abbiamo la pelle così priva di difese che quando ci vogliamo abbronzare siamo costretti ad applicare strati di lozioni solari con schermo totale contro le radiazioni, prodotti oleosi che quando ci tuffiamo restano a galla nel mare e creano un film opaco che impedisce la normale fotosintesi delle piante acquatiche e sta facendo morire le barriere coralline. E i contenitori? Quelle distese multicolori di bottiglie di ogni forma, colore e dimensione che popolano gli scaffali dei supermercati? Ma vent’anni fa, quando tutti questi prodotti stavano in un paio di metri di spazio, come facevamo a sopravvivere? Oltre metà della plastica che sta soffocando l’ambiente è costituita dalle bottiglie di acqua minerale e bibite e dai flaconi di detergenti e cosmetici di vario genere. Ci siamo trasformati in grotteschi individualisti rancorosi e profumati che camminano in un pianeta ridotto a pattumiera… sono gli effetti della “società liquida”, in una sorta di metafora beffarda e crudele.