Una critica al modello di sviluppo che ci sta portando verso il baratro
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Il grande ricatto

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Il grande ricatto

Il modello di sviluppo che dalla metà del diciannovesimo secolo ci ha portato sino ai giorni nostri, sta mostrando tutti i suoi limiti. A dire il vero, nei millenni le società umane hanno sperimentato modelli organizzativi molto diversi, ma quello industriale neocapitalista sembra essere quello che si è affermato definitivamente e la parallela globalizzazione ha abbattuto distanze e frontiere: oggi il credo della grande finanza ha praticamente evangelizzato l’intero pianeta. Temo che non ci possiamo nemmeno consolare pensando “mal comune mezzo gaudio”: qui è in gioco la nostra stessa sopravvivenza. Non voglio negare il successo del capitalismo, mi limito a constatarlo, riflettendo sul fatto che un fenomeno che si afferma, che vince, non è necessariamente il migliore o quello “giusto”. Se accettassimo questa logica McDonald’s rappresenterebbe la migliore ristorazione del mondo, la criminalità organizzata sarebbe il modello di gestione politico-amministrativa ideale per il nostro mezzogiorno (allargato) e i Pooh dovrebbero sostituire Mozart nell’Olimpo musicale. Non credo di essere qualunquista o populista se affermo che il consumo di energia pro-capite richiesto dallo stile di vita occidentale, incrociato con le abitudini alimentari e in generale con gli aspetti consumistici cui siamo abituati (e che apparentemente per alcuni sono irrinunciabili), non è sostenibile, non su questo pianeta. Il progressivo e tumultuoso accesso di miliardi di persone agli standard di vita occidentali sta causando una pressione terribile sulle risorse del pianeta e sull’ambiente. D’altra parte, non possiamo certo condividere l’atteggiamento coloniale-razzista che vorrebbe cristallizzare una situazione di inaccettabili diseguaglianze che vede l’occidente rimanere ricco, sprecone e inquinatore, a spese del resto mondo condannato invece al sottosviluppo eterno. E le popolazioni che migliorano i propri standard, purtroppo si adeguano al nostro modello e ne copiano immediatamente gli aspetti più deleteri, sedotte dalla pubblicità e dai pessimi esempi che forniamo loro. Se tutti i cinesi e gli indiani di colpo adottassero lo stile di vita dei cittadini degli USA, il pianeta collasserebbe nel giro di un decennio. Ma apparentemente tutto questo è un “dettaglio” del quale molti sembrano non curarsi, mi riferisco soprattutto a chi ci amministra e ci governa (intendo in tutte le cosiddette “democrazie occidentali”): evidentemente la nostra classe dirigente è molto sensibile alle pressioni e al denaro delle lobbies industriali, oppure teme di perdere consenso nel momento in cui, per esempio, proponesse seriamente di ridurre la temperatura invernale all’interno delle abitazioni di un paio di gradi o di scoraggiare consumi energetici voluttuari. Non voglio nemmeno ipotizzare che siano così stupidi da non rendersi conto di ciò che sta accadendo, perché in questo caso davvero non avremmo speranza. “Io coi miei soldi faccio quello che voglio…” è il mantra che sentiamo ripetere dagli alfieri della libertà, che evidentemente non si rendono conto che “quello che voglio” in realtà corrisponde esattamente a ciò che vogliono le multinazionali, tanto sono condizionati e persuasi dai mass media. Ma c’è di più: non credo neppure che “con i loro soldi” abbiano diritto a consumare senza limiti e a inquinare quanto pare a loro: l’aria e l’acqua che contaminano non appartiene solo a loro, è una risorsa limitata ed è di proprietà comune, quindi anche degli “altri” e non possono non tenere conto di questo. Perché devo respirare i gas di scarico del suv parcheggiato col motore acceso di fronte alla scuola, guidato da un genitore in attesa del figlio che pretende l’abitacolo fresco con il climatizzatore? È il problema di fondo che si propone, facendo un altro esempio, con la caccia: perché qualcuno decide di ammazzare “per sport” (lo definiscono così!) animali indifesi, che non sono suoi ma appartengono a tutti: perché dovrei in futuro rinunciare a portare i miei nipoti a vedere gli animali selvatici in un parco ed essere costretto a dire loro: “guardate la foto, i cacciatori li hanno sterminati per sport”. Il protagonista del film “I tre giorni del condor” (un Robert Redford in stato di grazia), verso la fine della vicenda che mette a rischio la sua vita, si sente dire dagli agenti della CIA: “la gente vuole la benzina a prezzi bassi e il riscaldamento acceso d’inverno, il nostro scopo è garantire tutto questo ai cittadini americani”. È questo il grande ricatto: ci fanno credere che senza guerre il sistema non funziona, che se pagassimo le materie prime a prezzi equi dovremmo ridurre acquisti e consumi, che senza la folle agricoltura industriale e l’allevamento intensivo moriremmo di fame. Ci convincono che mangiare quantità assurde e poco salutari di verdure contaminate e di carni gonfiate con ormoni e antibiotici è preferibile a consumare con sobrietà il cibo di cui abbiamo veramente bisogno, coltivato ed allevato in modo naturale e pagato un prezzo idoneo a remunerare i produttori. Ci hanno fatto credere che riempire gli armadi con l’abbigliamento a basso costo, prodotto senza controllo a migliaia di km di distanza sfruttando il lavoro minorile e inquinando, sia preferibile a possedere pochi indumenti di buona qualità, acquistati a un prezzo equo, confezionati in Europa e magari riaprendo le fabbriche che la follia della globalizzazione ha fatto chiudere creando enorme disoccupazione. Un fenomeno, quello della disoccupazione, del quale alla fine ci dovremo fare carico, intendo noi, la collettività, e non certo le imprese che hanno delocalizzato, lucrato sulla manodopera a basso costo ed evaso il fisco. La realtà del cambiamento non sarebbe il disastro, la carestia, l’apocalisse paventata dai padroni del PIL e dai loro schiavi, il problema è che si incepperebbe il sistema capitalista, le borse e la finanza perderebbero il ruolo egemone sull’economia e, a ben vedere, sulle nostre vite. L’ossessione a difendere i propri privilegi e il rifiuto irragionevole a considerare modelli di sviluppo alternativi, impediscono che si inizi a discutere serenamente su quale potrebbe essere una alternativa graduale, sostenibile, certamente più sobria dello spreco attuale, ma non necessariamente miserabile. Basta pensare a fenomeni come l’obesità diffusa, gli sprechi consumistici o l’acquisto compulsivo di prodotti della cosiddetta “moda a 9,99 €” per rendersi conto dell’assurdità che viviamo quotidianamente. La faccia vera del capitalismo è quella dei Benetton, fenomeno Veneto al 100%, un esempio edificante a km0: sospettati di aver lasciato colpevolmente crollare un viadotto autostradale e implicati in orribili vicende criminali in Sudamerica, a danno delle popolazioni indigene Mapuche che da sempre vivevano nei territori da cui i benefattori trevigiani cercano con ogni mezzo di estrometterli. Sono molto preoccupato, non lo nego, ma forse mi sbaglio: forse, come suggerisce qualche saggio e competente polesano, brinderemo al futuro con un bicchiere di glifosate. Perdonatemi, mi resta un dubbio: non so se sia più adatto un calice, un ballon, un boccale o magari un tumbler…