La fermata sbagliata (quinta puntata)
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- Notizia pubblicata il 30 giugno 2023
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- Scritto da Federica Bertaggia | La fermata sbagliata
Caro diario,
dei miei esami di terza media ho un ricordo stinto: frammenti di un patto portafortuna che avevo stretto con le mie compagne, di vestirci tutte allo stesso modo quel giorno, dei fischi stonati che uscivano dal flauto mentre presentavo alla commissione un’angosciosa versione dell’Inno alla gioia, di un piatto di zucchine fritte che mi aveva fatto trovare mio padre al ritorno a casa. Per le zucchine fritte forse, però, era la Maturità.
Chissà per quale motivo in questi (pochi) anni da insegnante, guardando gli studenti di terza entrare a scuola (o apparire sul monitor in era Covid) per affrontare le prove d’esame, ho l’impressione che, loro, questi momenti se li ricorderanno per tutta la vita. Sarà perché in quei giorni sembrano per la prima volta diversi, agitati ma in grado di contenersi, percettivi dell’appuntamento più formale cui probabilmente sono stati chiamati fino a questo momento, miracolosamente maturati nel corso di una notte.
Sfilano davanti ai loro prof. per andare a prendere posto sui banchi allineati in corridoio. C’è sempre qualcuno che ha bisogno di incrociare lo sguardo di un insegnante anche solo per lasciare andare fuori uno scaramantico: “Non mi ricordo niente”. Pochi istanti prima della consegna della traccia c’è un gran vociare, coperto solo dallo strepito delle sedie strascicate sul pavimento, pratica, quest’ultima, connotativa degli alunni delle medie tanto quanto la capacità di togliere la punta alle biro e impiastricciarsi le mani o rosicchiare l’estremità della scolorina rischiando ogni volta l’avvelenamento.
Poi silenzio, si comincia. L’aria è elettrica. La loro concentrazione è tangibile. Quasi non sembrano gli stessi a cui fin pochi giorni prima, in caso di verifica, era necessario ripetere fino allo sfinimento che il bordo alto del foglio protocollo va in alto e il bordo basso in basso. Salvo poi scoprire, al ritiro dei compiti, che il messaggio era stato correttamente recepito da sei alunni su venticinque.
Quando il tempo assegnato finisce le classi si riversano fuori. Il primo messaggio è per la mamma: “Finito. Tutto ok”. Ed è già tanto. Poi solo spintoni, bici che si inseguono su una ruota (“Quella davanti la puoi anche togliere, tanto non la usi mai”, mi è capitato di sentire ironizzare un nonno che voleva far credere al nipote di trovarsi a passare per caso fuori dalla scuola), capannelli di ragazze che si confrontano sul compito svolto e programmano di trovarsi nel pomeriggio a ripassare l’esposizione dell’indomani.
Non sono né grandi né piccoli questi abitanti di una terra di mezzo al confine tra infanzia e giovinezza. Sanno già un sacco di cose della vita ma ne ignorano ancora di più. Spigolosi, chiassosi, sorprendenti e a tratti polemici, parecchio bisognosi di essere compresi e guidati.
È questione di ore e per loro si chiuderà un ciclo. Tre anni che in genere sono la storia di una metamorfosi. Dietro l’angolo li aspetta un tuffo dal trampolino e che un altro capitolo abbia inizio.
Di certo non oggi, non domani e probabilmente nemmeno dopodomani. Ma un giorno, questi tre anni sbrindellati, mancheranno.
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