Colloqui genitori insegnanti
Vai al contenuto della pagina

La fermata sbagliata (terza puntata)

Sottotitolo non presente

Leggi l'articolo

La fermata sbagliata (terza puntata)

Caro diario,

 

sempre siano lodati i colloqui scuola-famiglia. Quelli di fine anno, poi, sono i miei preferiti perché ammantati dalla ritualità dei saluti. Se non fosse che i ricevimenti generali si sa quando iniziano ma non si sa quando finiscono, credo potrei sostenerne uno alla settimana con un certo entusiasmo.

Non mi riferisco a quegli incontri sbiaditi in cui gli insegnanti elencano i voti e i genitori aspettano con ansia il “verdetto” sulla prole, quasi fosse un responso su chi l’ha concepita. Penso invece a quei colloqui proficui, che danno respiro alla realizzazione di un progetto “alto” che ha a che fare con l’educazione, non solo con l’istruzione, del figlio/alunno. Non è sempre facile ma quando si imbocca la strada giusta è una vittoria per tutti.

Io ho un piccolo rituale: prima che le mamme e i papà si presentino, mi piace scrutarli per qualche istante per riconoscere nei loro tratti qualche famigliarità con chi hanno messo al mondo. Spesso non ci prendo.

A questo punto, semplificando al massimo, le situazioni sono due.

Caso uno. Madri e padri dei primi della classe entrano di solito con sguardo sicuro, sospinti dall’orgoglio dei successi recenti e di quelli a venire. È il trionfo della soddisfazione bilaterale (scuola-famiglia), dei sorrisi gravidi di appagamento, di una melodia ritmata da espressioni tipo “ci tiene”, “si vede”, “sempre stato/a”. Il mio personale desiderio è sempre che i bei voti vadano di pari passo con una buona risonanza emotiva, in altre parole con la “capacità di stare al mondo”. La scuola è piena di ragazzi e ragazze straordinari in quanto a senso del dovere, motivazione e consapevolezza. A me l’impegno e la dedizione commuovono sempre, meglio ancora se declinati nello studio, nello sport, nella musica, nell’arte, nelle proprie passioni, in un’età in cui il canto delle Sirene tende a distogliere più che mai.   

Caso due. Madri e padri di chi annaspa (per una miriade di ragioni non sempre assolvibili) aspettano il loro turno seduti o appoggiati ai muri. Sono già fiacchi prima di entrare, conoscono bene la litania scandita dai condizionali “potrebbe” e “dovrebbe”. In me scatta un’empatia immediata. Credo sia una specie di immedesimazione con la figura di mia madre al cospetto dei prof. trent’anni fa. Di fronte a questi genitori mi scoppia dentro il desiderio di infondere speranza. Lo sento davvero, sicuramente per ragioni personali. È un’età in cui ci si può sentire sbarellati, questa delle medie. Il percorso di crescita è appena iniziato. Non è un luogo comune che spesso chi è ultimo a scuola poi sia primo nella vita, che gli adolescenti inquieti diventino adulti lucidi e risoluti. Al contrario, chi si è controllato troppo prima o poi esplode. E se lo fa fuori tempo massimo potrebbe sorgere un problema non da poco. Docenti e genitori dovrebbero trovare consolazione in questa grande verità.

I curricola scolastici dei “grandi” sono pieni di inciampi. Faccio una ricerca su Google: Margherita Hack venne rimandata in Matematica; Alda Merini bocciata in Italiano all’esame di ammissione al liceo; Piero Angela al classico si annoiava, un anno fu rimandato in cinque materie e rimediò pure un 5 in condotta.

Daniel Pennac in “Diario di scuola” (Feltrinelli) racconta la sua storia di studente “somaro”.

“Insomma, andavo male a scuola. Ogni sera della mia infanzia tornavo a casa perseguitato dalla scuola. I miei voti sul diario dicevano la riprovazione dei miei maestri. Quando non ero l’ultimo della classe, ero il penultimo (evviva!). Refrattario dapprima all’aritmetica, poi alla matematica, profondamente disortografico, poco incline alla memorizzazione delle date e alla localizzazione dei luoghi geografici, inadatto all’apprendimento delle lingue straniere, ritenuto pigro (lezioni non studiate, compiti non fatti), portavo a casa risultati pessimi che non erano riscattati né dalla musica, né dallo sport né peraltro da alcuna attività parascolastica. – Capisci? Capisci o no quello che ti spiego? Non capivo”.

Pennac è diventato poi un insegnante e uno scrittore di successo. Per lui la svolta arrivò quando un anziano professore, cui i famigliari si erano rivolti rassegnati, individuò il suo talento, ovvero quello di saper inventare giustificazioni fantasiose per coprire le sue difficoltà. Un “grande affabulatore”. Il prof. gli consigliò di lasciare stare tutte le materie e di concentrarsi per tre mesi nella stesura di un racconto che sarebbe diventato oggetto di valutazione. Il giovane Pennac eseguì il compito con impegno e scrupolo. Quel compito segnò la strada della sua vita.

Sempre siano lodati i colloqui scuola-famiglia se il confronto con chi li ha generati può aiutare noi insegnanti ad individuare l’attitudine che potrebbe cambiare la vita ai nostri ragazzi.

Fb