La vita dell’altro. Svevo, Joyce: un’amicizia geniale
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- Notizia pubblicata il 17 novembre 2023
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- Scritto da Liana Isipato
Oggi, vi parlo di un libro prezioso per chi ama da sempre questi due scrittori; interessante anche per chi voglia cominciare a conoscerne spicchi di vita e assaggiare le loro opere.
Il libro ammicca, fin dalla foto in copertina, presentandoceli come simili: baffo folto e scuro, cappello sulla fronte, sguardo enigmatico. Il titolo suggerisce quanto di intimo e non solo di letterario ci sia stato tra questi due grandi del Novecento.
L’autore, Enrico Terrinoni, è un professore universitario, anglista e traduttore. Ha lavorato in particolare su James Joyce, ricevendo numerosi premi. Ma non gli è bastato: ha voluto metterci del suo anche nella relazione tra il ventiduenne scrittore e poeta irlandese, da poco giunto a Trieste, e il quasi cinquantenne signor Ettore Schmitz, alias Italo Svevo. Un rapporto che, da iniziale attrazione, diverrà vera amicizia. Da massimo esperto, ha voluto sottolineare quanto i due si siano influenzati a vicenda e come l’incrocio delle loro vite abbia dato slancio all’arte di entrambi; si è servito dei numerosi studi già esistenti in tal senso, cercando di ricavare un fil rouge comune, tra le diverse versioni, basandosi, con acribia, sui rispettivi epistolari. Ne scrive con uno stile che, quasi, assorbe il senso del tempo dei due amati scrittori: un tempo non lineare, che oscilla tra il passato e il presente, che si dilata e si restringe. Dimentichiamoci le biografie cronologiche: tempo e spazio, da Dublino a Trieste, a Parigi, a Roma (paragonata da Joyce a un uomo che si mantiene esibendo ai turisti il cadavere di sua nonna), ancora Trieste e di nuovo Parigi, sono intermittenti e si rincorrono.
Terrinoni, nell’incipit, ci tuffa in media res inquadrando Joyce a Parigi, in attesa di Svevo, alla Gare de Lyon. È il 30 gennaio 1924, mancano quattro giorni al suo quarantesimo compleanno. Il triestino non arriverà, ma gli ha spedito da poco La coscienza di Zeno. Dopo averlo atteso invano, Joyce gli scrive: “Grazie del romanzo con la dedica. Sto leggendolo con molto piacere. Perché si dispera? Deve sapere ch’è di gran lunga il suo migliore libro”. E a partire da quel 30 gennaio Joyce si impegnerà per consentire al vecchio amico “l’ingresso, e per la porta principale, nel mondo internazionale delle lettere”. Lo farà scrivendo ben due missive di raccomandazione per far pubblicare Zeno in inglese. Per ripagarlo, Svevo gli offre il ritratto della moglie Livia fatto dall’amico Veruda, un pittore che, con grande sicurezza, si paragonava a Velázquez.
La generosità reciproca (Svevo sovvenzionerà spesso di vil denaro Joyce, perennemente in cattive acque) sarà la cifra dell’amicizia che li lega, a partire dal 1907, quando l’irlandese entrerà tre volte la settimana nella ricca casa di Svevo, per dargli lezioni di inglese a pagamento. Da allora, rispecchiandosi l’uno nell’altro, le fitte conversazioni su arte, letteratura, religione li avvicinano, pur nella diversità, creando un intreccio forte che si riverserà nelle loro creazioni letterarie. Entrambi “ispirati da un’idea più alta e profonda di arte che quella confinata alle prigioni di una semplice rappresentazione, mireranno a cogliere non soltanto il visibile (che è certamente una parte minoritaria della nostra esistenza) ma anche l’invisibile, il possibile, i pensieri, i sogni, i rimorsi, l’inazione”.
Incontriamo, nelle pagine, tanti particolari e aneddoti gustosi; coincidenze e incroci tra le opere dell’uno e dell’altro, sentimenti simili che si riversano nei rispettivi personaggi, ma anche somiglianze tra i loro caratteri, come una gelosia senza freni, a volte grottesca; simili pure nel netto rifiuto di ogni possibile autoritarismo, politico, sociale, religioso, e anche artistico; simili nella vena ironica, a volte umoristica, come nel caso del testamento redatto da Svevo, meno di un mese prima di morire, in seguito alle complicazioni, dopo l’incidente stradale che gli fu fatale.
Mi raccomando: niente rabbini e niente preti.
Mi raccomando: puntura al cuore.
E non saluto nessuno perché spero di rivedere tutti questa sera.
Firmato
Ettore Schmitz
Svevo e Joyce avevano, a loro modo, compreso entrambi che la vera sfida era quella di penetrare il pensiero, le ossessioni, i rimpianti e i rimorsi in maniera credibile e non più edulcorata, non più resa accettabile tramite i compromessi della verosimiglianza. Ambivano alla verità, loro, non a un’impressione di reale, non al realismo.