Luciano Cecchinel: in silenzioso affiorare
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- Notizia pubblicata il 15 ottobre 2023
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- Scritto da Simone Martinello | Filò sull'aia della poesia. I poeti veneti
Non siamo stati
goccia di rugiada
che riluce e muore
ma distesa d’acqua che combatte
la vicenda del sole e della nube.
«Le opere, come i pozzi artesiani, salgono tanto più in alto quanto più profondamente la sofferenza ne ha scavato il cuore», scriveva Proust (sul suo tessuto di vita, dolente e profondissimo, germoglierà la Recherche: la sua cattedrale del tempo, capolavoro della letteratura del '900).
Cosa ci può essere di più irreparabile della perdita di un figlio? Un'esperienza quasi indicibile, che il poeta Luciano Cecchinel ha vissuto sulla sua pelle - la malattia e la prematura perdita della figlia primogenita Silvia, il 16 aprile 2001 - ”Probabilmente nella vita non ci può essere sofferenza più grande di quella della perdita di un figlio, come senza proporzioni è la crisi che ne consegue: l’universo si sgretola, l’esistenza implode ed è risucchiata in un vortice confuso di impotente ribellione e insopportabile pena, che finisce per delineare la livida prospettiva di non poter reggere di fronte al presente e al futuro”.
Per dare voce a questa sofferenza Cecchinel, sapendo che “nasce tra costoro [i genitori] una solidarietà profonda e quasi muta”, ha pensato di comporre un'antologia - Per i giovani figli perduti, Ronzani Editore, 2022 - proprio perché, attraverso la lettura dei testi, “i figli mancati divengano presenti più che in altri giorni […] un rammemorare in cui la petizione di senso, che è anche quello del senso della vita, si può sentire in modi diversamente intensi nelle varie composizioni”.
Una situazione limite che molte persone devono, purtroppo, affrontare (si pensi, venendo alle cronache italiane delle ultime settimane, alla bambina uccisa da una Freccia tricolore che il pilota non è più stato in grado di controllare).
Cecchinel ci invita a riflettere sul senso della vita proponendo nei testi antologizzati, e presentati in ordine cronologico, un’umanità - certo sofferente - ma soprattutto capace di suggerire una “certa riappacificazione con la morte non più sentita con paura […] ma come la soglia che può consentire di entrare nell’altrove della creatura perduta”.
Un lavoro straordinario, meditato lungo l'arco di un decennio, per condividere un dolore straziante: trentasei capitoli, tra poesia e prosa, che annoverano la Sacra Bibbia, Cicerone, Plutarco, Hugo, Whitman, Dostoevskij, Carducci, Mallarmé, Tagore, Ungaretti, Gatto, Zanzotto, Pasolini, Grossman, solo per citare alcuni autori della letteratura mondiale, tutti accomunati dalla tragica perdita di un figlio o di un affetto caro.
E nell'antologia c'è anche la voce poetica di un padre, Luciano Cecchinel, che ringrazia la figlia e, allo stesso tempo, le chiede perdono:
Grazie ma ancor più perdono
Perché un figlio che muore
ti dà la grazia
di non aver paura di morire,
anzi, poiché sei morta
piena di piaghe,
di non aver paura
di morire nel male.
La grazia di esser pari
al dignitoso orgoglio
che ti avevamo dato
senza sapere che sarebbe stato
sale sulle tue piaghe:
per finire come un’adulta,
poco più che bambina.
La grazia di morirci
lungo la tua via
di trafitture, squarci e ustioni
quasi che tutto fosse,
come già tu eri stata,
un confidente concordato
dono del cielo.
Grazie allora figlia
ma ancor più perdono.
Una poesia, questa, già apparsa in un prezioso volumetto del 2015: In silenzioso affiorare. Un testo insolito nel panorama editoriale, composto a mano con caratteri mobili dai maestri artigiani della stamperia di Crocetta del Montello: un’opera di pregio, 38 poesie (quattro nel dialetto di Revine Lago, in provincia di Treviso, dove il poeta abita, e le rimanenti in lingua), che la TIf (Tipoteca italiana fondazione) di Grafiche Antiga ha stampato in 600 copie numerate. Una raccolta impreziosita da una decina di acquerelli (definiti da Silvio Ramat nella sua introduzione «delicati segni aggiuntivi di amore»): un "canzoniere" familiare, dedicato in primis alla moglie - «… e la notte ti esprime: / come sapere il profumo di rose / nelle loro corolle ancora chiuse» - Danila Casagrande (suoi gli acquerelli), ma anche a Silvia, la figlia perduta, ed a Chiara, la secondogenita.
Prima di avviarmi verso la conclusione, cari Amici Lettori, vi propongo due poesie di questa raccolta che a me ha suscitato commozione ed ammirazione.
Come stella il suo scialbo riflesso
L’aria e la luce
sanno che non sono solo:
eppure manchevole.
Io ti seguo
nell’aria lucente.
Ombre, immagini di te
da tempo mi accompagnano lievi.
Per loro con miti voci
mi richiami
e ti fai tenue brulichio:
perché, come stella il suo scialbo riflesso,
tu alimenti creature incompiute.
Forse in altro cielo
Non siamo stati
goccia di rugiada
che riluce e muore
ma distesa d’acqua che combatte
la vicenda del sole e della nube.
Forse in altro cielo
i nostri occhi saranno
più vivide luci in cui sapere
lo smemorato balenare
di un conteso splendore.
Certo, viene da porci una domanda radicale: la morte è realtà afferrabile del nostro dire? E, questo dire, esprime solo ciò che sono le nostre speranze, le angosce e le illusioni? Poi, il dire può davvero «far altro che tendere al di sopra di quel buco cieco, assolutamente», di cui parla il filosofo Edgar Morin?
Dei morti diciamo spesso "se ne sono andati", a sottolineare così della loro assenza, non l'inesistenza. A loro è concesso «l’accesso in un altrove»¹ a noi, vivi, sconosciuto.
È la presenza di un’assenza ciò che sta a cuore al poeta di Revine Lago: la costruzione di un affetto emotivo, tema tra l'altro di molti film di Pupi Avati. Ed è ancora Morin a dirci:
«Il lavoro della morte sulla mente umana la spinge a interrogarsi sui misteri della sua esistenza, del suo destino, della vita, del mondo. E, mentre di fronte alla morte si apre all’infinito e al mistero, la mente, di fronte alla Natura, si apre al mondo»²
Nei versi di Cecchinel quell'innominabile, che è la morte, non prevale. Vi sono piuttosto echi emotivi, delicati e intrisi di speranza:
«… ma in altra vita nuovo destino / scioglierà ogni bruma, / il tuo sorriso sarà il chiarore / rimasto lassù / oltre l’uniforme cappa scura. / Ora a volte stelle finite / ripiovono campane / su immense solitudini di sole»,
scrive in Canzone predestinata.
«Le parole possono essere paragonate ai raggi X; se si usano a dovere, attraversano ogni cosa», scriveva Aldous Huxley in "Il mondo nuovo", il suo romanzo più famoso (1932). Pertanto possono attraversare anche la morte. Allora i "cammini" di ciascuno di noi potranno essere un "tenero eterno" guardarci a fianco:
«… iniziamo e finiamo vivendo. / Saremo un’unica morte / in un tenero eterno guardando»,
scrive Cecchinel in Si giunsero i nostri cammini.
«… Perché un giorno / se per le loro distanze / di accesi incerti silenzi / sapremo andare ci sarà forse / dato rivederci»,
si legge nella poesia In un ritorno nebuloso.
Quando si tratta di vera poesia, essa non è mai casuale. È sempre "odore e colore". Si radica nelle cose e nella personale storia familiare, facendosi "lingua" dei sentimenti più intimamente sofferti, dell'annichilamento del dolore per la morte della propria creatura. Svolgono, dunque, una funzione riparatrice le parole - il poeta si appella a loro Nel vostro oscuro chiarore, ultimo componimento della raccolta:
«… parole, sangue mio e altrui, / quasi ormai coaguli, / trascolorati serbate / in silenzioso affiorare…»
Quell'affiorare che richiede un attento e umile ascolto. A testimoniare un'incrollabile fede nella poesia:
«segni che foste/ inarrestabili come luce e buio, / ancora mi avvolgo / nel vostro oscuro
chiarore».
***
Di Luciano Cecchinel, definito da Cesare Segre tra le maggiori voci della poesia italiana contemporanea, «grande artista, ma anche grande artefice», si continuerà a parlare nel prossimo appuntamento di questa rubrica, perché la sua è una poesia che corre, magistralmente, sul doppio binario dialetto/lingua. E sono davvero in pochissimi ad esserci riusciti.
NOTE
1 - Jean-Pierre Vernant, L’individuo, la morte, l’amore, Raffaello Cortina, 2000
2 - Edgar Morin, Il metodo. 5. L’identità umana, Raffaello Cortina, 2002.