La poesia di Luigi Bressan: seconda parte
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Luigi Bressan: "In petto un disarmato libello"

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Luigi Bressan:

come una donna

che ha fatto la pace   i cocci ancora in terra

là sul marciapiede c’era lei   sul dorso

guardava le sue inutili zampette

agitarsi nell’aria

 

La poesia dà vita spesso ad amicizie belle e durature nel tempo. Come quella tra Luigi Bressan e Franco Loi, che dedicò un'importante prefazione al libro del poeta di Agna, Vose per S., definendolo "uno dei lirici veneti più raffinati".

 

E Bressan dedicò la poesia di apertura di Quetzal¹ proprio a questo poeta:

 

I passeri

 

                    a Franco Loi

 

Sì   Franco    l’ho notato   sono scomparsi

i passeri e mentre me lo chiedi da Milano

il telefono o l’orecchio mentono

un cinguettìo dal deserto dei tetti

 

Vedo appartati nidi 

dove dei vecchi succhiano il latte

 

Il cervello prosegue ascoltando se stesso

i suoi contatti difettosi

i suoi vrzz vrrz vrrzz

 

Ricordare come dimenticare

 

Qualcuno aveva cosparso i davanzali

di briciole   sono ancora lì

in attesa del volo

 

I passeri si saranno rifugiati lungo i muri

nei graffiti dove c’è ancora un po’ di luce

di colore  un po’ di sole

 

Franco   ho qui per noi una memoria di Saffo

aspetta il carro d’Afrodite che graziosi

passeri con frulli d’ali le portino

dalla volta azzurra alla nera terra

 

Venticinque secoli di guerre lo tengono sospeso

 

I miei umili passeri morivano

d’inverno intorno ai casolari

offerti alla fame dei poveri

 

o caduti tra fuochi di battaglie

o testimoni d’una sola

sillaba in gola

 

Le armi crescono ancora   lucrose

giorno e notte volano insonni

rapaci in un cielo grave d’attesa

 

Vorrei la pace per tutti i passeri

scomparsi per i nostri decreti

 

Franco   ricordi Amedeo?

 

Ciarliere furbe rissose dolci

e reconditamente splendide

le passerette sono la vita del mondo

la coniugano in sé medesime

con il caldo il freddo l’amore la morte

in una parola: sono…

 

Ma dove   dove finite

a fare i bagni di sabbia

il cortile è abbandonato a un sole ozioso

niente chiacchierìo niente svolazzi

niente gazzarre prima della partenza

improvvisa verso ombre e campagne

 

Altra ombra   lo so Franco   hanno i tuoi occhi

così   senza un cinguettio dalla grondaia

lì a Milano e il telefono non capta

se non la mia voce disadorna

da una provincia lontana

ma tu tratti quell’ombra  come cosa salda

e per noi si levano in alto i versi del coraggio

 

Anche se nessuno sembra sentire

la mancanza dei minuscoli cuori nel frastuono

mentre un’edera di silenzi

tra mute di gente senza sguardo

s’inerpica nelle nostre vite

folta delle nostre distanze

 

Se solo penso di cercare un battito d’ali

mi viene incontro la notte

con odore di neve

 

Franco    nella mia casa era grande

un ci-pi nascosto era grande

come tutta la casa risuonava

nel mio infantile riposo

e zampettava ma dove

dove di sera più raro

nell’alba più flebile poi spento

in fondo alla canna del fuoco

solo piume il corpicino

e cinigia nel cielo lontano

 

Domani al risveglio nessuno scenderà

in cucina al grande tavolo in mezzo

col marmo grigio di tempesta

il lampo immobile

un ramo cresciuto d’inverno

(è crepato dal primo giorno

sorride mia nonna  ma non è

che uno sbuffo di farina)

 

S’affaccia un altro tacere    lo spazio

che si lascia dietro chi è partito

con le fattezze d’ognuno

miti pazienti attendono

a non essere disperse

 

ma dalle finestre le voci

liberate dal sonno

non cercano più di sorprendere

come se fossero allegre

 

Passere bambine bambini passerini

nati senz’ali

ghermiti sotto casa dentro casa

da falchi come in una fiaba

scomparsi missing desaparecidos

 

Proteggere i falchi è l’ordine

devono avere la loro carne tenera

il futuro è una camera vuota

 

e sullo strazio del passero 

chi accenderà il fuoco per la notte?

 

Raggiungo un’altura fuori città

rifiuti sparsi minuscole biche di mozziconi

                                                 [e cenere

volevo ricordarmi della Terra

dal cricchiolio dell’erba

(è ingiallita e pesta)

dell’ordinato andare nello spazio

del nostro comune andare

del cielo aperto

 

Paolo di Dono   com’è vasta

la parete al pittore che muove

l’occhio e la mano a frescarla

con le penne del vol

 

Una bianca corona di monti assiste di lontano

 

La domenica raggiungo i percorsi di pietra

delle nostre Prealpi forate  

spirano vigile sonno di guerre

qui hanno seminato e mietuto

senza raccolto

e per avvistamenti lo sciacallo

anubi marca occulti confini

 

Di passeri nemmeno l’ombra

 

La sentinella senza nome senza tempo

                                        [senza riposo mai

ha salvo come arma in petto un disarmato

                                        [ libello:

va tu passerino alla mia Lesbia

adesso è a me che tocca morire

 

Versi che sono un rivolgersi, con uno spirito di condivisione e confidenza a poeti che hanno ombre sugli occhi, Franco, ma anche Amedeo Giacomini.

 

Ma se gli occhi hanno un'ombra possono essere ancora cosa salda per vedere ciò che gli altri non vedono e perché si possano levare in alto i versi del coraggio.

Per capire le storture del mondo, come lo è la scomparsa dei passeri, a testimoniare un avvento di una epoca pumblea.

E d'altronde proprio il passero, più di qualsiasi altro uccello, con-divide con noi gli spazi domestici, zampettando qua e là. C'è sempre gioia nell’offrire loro qualche briciola di pane. Ora questi "affetti" quotidiani sembrano venir meno. E lo scomparire dei cinguettii sembra portare con sé l’inevitabile scolorarsi di un tempo che se n'è andato fino a farsi emblema di una storia "violenta", che ci risucchia, tra paure e guerre.

 

Il passero: semplice, il più domestico nei nostri luoghi del vivere. Nel Vangelo apocrifo dello pseudo Matteo si dice che Gesù prese dal fango dei laghetti che aveva fatto è plasmò dodici passeri.

E la cosa fu risaputa in mezzo alle dodici tribù di Israele.

Il Salmo 124 recita: l'anima nostra, come un passero, è stata liberata dal laccio dei cacciatori: il laccio è rotto e noi siamo liberi.

 

Anche il poveropassero ha dunque una sua storia e una sua mitologia.

 

Servono minuscoli cuori, ci dice allora la poesia, per innestare coraggio a chi è preda di soprusi e ingiustizie come per i scomparsi missing desaparecidos.

 

Anche no sintire ze na colpa [...]

Anche no édare che tuto sparisse

incontra on cjelo scuro.

 

(Anche non sentire è una colpa… / Anche non vedere che tutto sparisce  / incontro a un cielo oscuro)

 

scrive Bressan in una poesia di Data.

Lasciandosi parlare dalle lingue morenti e dalle coscienze assonnate, la poesia aiuta l'uomo a comprendere la miseria e la solitudine. Senza consolarcene, certo, ma dando più coesistenza a questo nostro assurdo reale.

 

Il poeta ci mostra sempre un'altra parte di noi, un'altra faccia del mondo. E se l'universo appare un mosaico il poeta, come lo è Bressan, ne illumina un tassello, un aspetto sconosciuto e spesso dimenticato.

 

Le amicizie poetiche, si diceva sopra, un dialogare pacato con una persona sentita vicina, che è presenza:

 

Per la nostra amicizia hai creato le parole pronte / le frasi oggetti dallo sguardo libero d’azzurro / come vedono il primo mattino i rondoni in volo,

 

è l’incipit di Quetzalcoaatl, il testo dedicato all'indimenticato pittore Gabbris Ferrari che chiude la prima sezione.

 

Quetzalcoatl

 

Per la nostra amicizia hai creato

                                             [le parole pronte

le frasi   oggetti dallo sguardo libero d’azzurro

come vedono il primo mattino i rondoni in volo

dopo ho cercato di seguire le linee

                                             [del paesaggio

con la matita sul vetro perché

                                 [mi vedessi  come sono

abbiamo lavorato insieme i minuti di una creta

toccata a un riposo di secoli   io i punti

                                               [sulla carta

tu le cromie del movimento e della grazia

non so come ci abbia trovati questo nome

serpente piumato albero d’una

                                        [genealogia divina

dove vola sicuro il tuo quetzal come

                                        [la nostra parussa

tra le frondose discendenze dei dinosauri

mentre lo spaziotempo modella i mondi

con mani oscurate spandendo luce    magari

quando avremo imparato che un milione

                                                     [è uno

e molti è soltanto il numero esatto

                                                [per ritrovarci

 

Allora il quetzal, uccello tropicale, e la "parussa"² delle nostre zone, volano insieme, simboli di amicizia e della poìesis che per Platone è ‘il fare dal nulla’, per Erodoto la ‘creazione poetica’. E, per antonomasia, poìesis è la poesia di Omero.

 

E dopo il testo poetico c'è un disegno di Gabbris: due personaggi che si tengono per mano e in tempo di carestia vanno a cercare radici per sfamarsi. Un cibo, in questo impoverimento culturale che viviamo, che può essere metaforicamente un qualcosa di spirituale. Scrivere e disegnare sono gesti precisi, creativi: entrambe lavorano per la salvezza. E nell'amicizia c'è questa sacralità che trasfigura, aiutata dal mito, qualsiasi realtà.

 

E così, ai tanti poeti amici, Bressan dedica una poesia che ha come riferimento gli uccelli. Gli esseri alati che sono l'opposto del tempo; sono il nostro desiderio di luce, di stelle, di arcobaleni, e vocalizzi di giubilo, ha scritto Olivier Messiaen, ornitologo e compositore.

 

Quell'umano che incontra il non umano.

Gli uccelli - con il loro volo, la loro libertà - sono un comune sentire:

 

È un compagno – il pettirosso – che fa sempre piacere incontrare”,

 

si legge nella citazione in esergo dall’opera Andar per uccelli del "poeta amico" Amedeo Giacomini.

 

Sono diversi gli autori di riferimento di Bressan. Per cui si incontrano: Bino Rebellato, Sandro Zanotto, Eugenio Tomiolo, Franco Loi, Giovanni Tesio.

Ed afferma:

 

«Naturalmente c’è la scuola, la tradizione nazionale, le esplorazioni nella poesia europea, ci sono i contemporanei. Ho letto parecchio Rimbaud, Campana, Montale, Sbarbaro, Saba, Kavafis… citando a casaccio, un dominio abbastanza comune. Mi piaceva studiare a memoria alcuni grandi (Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi, Pascoli) di cui ritengo ancora lunghi brani. Presumo che qualche impronta di inevitabili furti sia rintracciabile.

La memoria della poesia è una continua scoperta, una vita che rinasce e si rinnova attraverso un’azione creatrice. Ma gli autori di riferimento sono anche altri, i più vicini e presenti, con i quali si condividono passioni, si scambiano opinioni, si discutono progetti, si corre l’alea del libro e della sua laboriosa uscita. In questo caso gli autori sono anche editori, organizzatori, critici, promotori e moderatori d’incontri aventi come tema la poesia. Senza la conoscenza di Marco Munaro, del Ponte del Sale, della cerchia di amici da cui mi sento confortato, dei redattori cui mi aggrego; senza l’intelligenza e le molteplici e instancabili capacità operative di Marco, del suo continuo dono della poesia e alla poesia, tutti i miei testi sarebbero rimasti in una serie di piccole pubblicazioni esaurite e in un cassetto. E voglio ricordare con commozione la mia lunga e per alcuni anni quasi quotidiana consuetudine con Pierluigi Cappello, il privilegio di avere ascoltato dalla sua viva voce i versi nascenti della sua grande poesia.»

 

Allora in omaggio a Marco Munaro:

 

Cra (II)

 

Dopo la burrasca notturna la mattina

rideva con qualche lacrima come una donna

che ha fatto la pace   i cocci ancora in terra

là sul marciapiede c’era lei   sul dorso

guardava le sue inutili zampette

agitarsi nell’aria   un samsagregor

senza speranza   l’ho portata a casa

riscaldata nutrita   una di noi

certo non mi ha mai perdonato

d’averle strappato a una a una le prime

penne delle ali ormai calcificate e monche

così che ne ha cacciate di nuove vigorose

ma è rimasta pur libera fino all’anno dopo

beccando alla mia mano con sospetto

rubando per dispetto dalla ciotola del cane

finch’è partita con le altre ma prima

con volo largo in giro e ripetuti cra 

ha salutato tutta la casa   dopo anni

ancora credo di vederla la mattina

aprendo la finestra appollaiata

sopra la rimessa   sarà non sarà lei

ma quanta gente intorno e di lontano

va e viene oscura e silenziosa

sotto il peso d’un cielo cupo e freddo

senza speranza di posare mai

 

Una poesia, quella di Bressan, certo complessa ma che «cerca di delineare il senso imperscrutabile delle cose e dei fatti che accadono, a cui ci si può avvicinare solo per metafore e figure. È forse questa la sacralità originaria rappresentata dal Quetzal, il "serpente piumato albero d’una genealogia divina" che guida all’incontro tra parola e immagine, all’amicizia che sopravvive alla morte, a un diverso modo di considerare il tempo, a quanto ha valore e permane: mentre lo spaziotempo modella mondi / con mani oscurate spandendo luce  magari / quando avremo imparato che un milione è uno / e molti è soltanto il numero esatto per ritrovarci», scrive la poetessa Nelvia Del Monte.

 

Notizia

 

Luigi Bressan, nato nel 1941 ad Agna (PD), vive a Codroipo (UD), dove ha insegnato materie letterarie e latino. Nel dialetto del suo paese d'origine ha pubblicato: El canto del tilio (Campanotto, Udine 1986); El zharvelo e le mosche (Boetti & C., Mondovì 1990); Che ’fa la vita fadiga (Edizioni del Leone, Spinea 1992); Maraeja (Poesia in piego n° 26 – Grafiche Campioli-Monterotondo 1992); Data (Biblioteca Cominiana, Padova 1994); Vose par S. (Collana “La barca di Babele”, Circolo di Meduno 2000).

In italiano: Quando sarà stato l’addio? (Il Ponte del Sale, Rovigo 2007); Quetzal (Il Ponte del Sale, Rovigo 2019)

È presente in varie antologie, tra cui: Via Terra (a cura di A. Serrao, Campanotto, Udine 1992); Nuovi Poeti Italiani (a cura di F. Loi, Einaudi, Torino 2004). Un altro Veneto. Poeti in dialetto fra Novecento e Duemila (Edizioni Cofine, Roma 2014).

Ha fatto parte della redazione della rivista di letterature dialettali «Diverse Lingue». Attualmente dirige la collana di poesia “La Barca di Babele” - uno dei più significativi contributi alla cultura italiana degli ultimi decenni - per il Circolo Culturale di Meduno. Con "Il Ponte del Sale" ha collaborato a La Bella Scola: I primi sette canti dell’Inferno letto dai poeti (2003) e all’omaggio Da Rimbaud a Rimbaud (2004).

 

Un particolare accenno va a La viola di Strauss / Strauss’s violet, raccolta composta nel 2021 e che fa parte di “Qui e altrove. Manifesti di poesia contemporanea”, una collana diretta da Matteo Vercesi, ideata per ospitare autori contemporanei italiani e stranieri in una veste grafica e tipografica originale.

 

Biligue (italiano e inglese), intreccia versi originali, con metafore sintetiche e spiazzanti, dove a fare da sfondo è il tempo del COVID-19. 

 

Note

 

1 - Il Quetzal, un uccello dai dolori spettacolari e tra i più belli della Terra, era considerato sacro dai Maya e dagli Aztechi.

 

2 - Parussa: ovvero la cinciallegra dal ciuffo che viene detta parussa o parussina in quanto il ciuffo sul capo le dona una parvenza di parrucca.