La morte di Silvio Berlusconi di Mario Bellettato
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Mi consenta, cavaliere

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Mi consenta, cavaliere

Non intendo assolutamente dissociarmi dalle condoglianze e dal rispetto per il dolore di familiari e amici, non sono semplicemente sentimenti doverosi: per quanto mi riguarda sono sinceri e sono comunque l’espressione di un’attitudine che fa parte del bagaglio culturale indispensabile alla convivenza civile. “Amici, Romani, concittadini, prestatemi orecchio: vengo a seppellire Cesare, non a tesserne l’elogio. Il male fatto dagli uomini sopravvive ad essi, il bene viene spesso seppellito insieme alle loro ossa”. Questo è l’incipit, terribile e grandioso, del Giulio Cesare di Shakespeare: in qualche modo rappresenta il paradigma che dovrebbe ispirare il giudizio finale sulla vita di ciascun individuo, indipendentemente dal fatto che si tratti di un personaggio famoso o di un uomo comune. Ai tempi di Cesare, ma anche in quelli di Shakespeare, funzionava allo stesso modo, si esprimeva un bilancio finale che contemplava due alternative: un giudizio positivo, oppure negativo. Per i potenti, per gli uomini illustri, esso portava alla divinizzazione o alla damnatio memoriae, quest’ultima corrispondeva ad una condanna senza appello, al punto che di quelle persone veniva cancellato qualsiasi elemento che le ricordasse, iscrizioni, citazioni, effigi: come se non fossero mai esistite. Oggi il pragmatismo romano ha lasciato il posto ad un relativismo e ad una sorta di flessibilità morale che, con il pretesto della “complessità” delle valutazioni e del mutare delle condizioni storiche, impediscono di porre un limite, di fissare un discrimine chiaro tra ciò che è bene e ciò che non lo è. Alla fine coi “sì, ma…” e coi “però” non si costruisce una società sana, non si educano i figli e non si possono nemmeno scrivere leggi che permettano di convivere decorosamente. Siamo immersi in una palude dell’etica dove è vero tutto e il contrario di tutto. Nessuno può venire condannato e nessuno apprezzato realmente: Mussolini ha fatto anche cose buone e Gino Strada picchiava i fascisti con la chiave inglese: erano buoni o cattivi entrambi, dipende da come li si guarda. Le valutazioni morali, e nessuno nega che possano essere soggettive, si sono ormai trasformate nel tifo calcistico: per esempio Putin ha un suo fan club che lo ritiene il difensore delle popolazioni filorusse ingiustamente vessate dai nazisti ucraini, cui si oppone una fazione totalmente prona ai diktat della Nato e alla logica guerrafondaia dei governi europei. Di recente Silvio Berlusconi è passato a miglior vita (a essere sincero nel suo caso anche la precedente vicenda terrena non mi era sembrata particolarmente grama), e il Paese, o quello che di esso rimane, assiste a uno spettacolo ignobile, che assume i toni tragicomici e grossolani della farsa, senza tuttavia riuscire mai, neanche per un minuto, a elevarsi, a diventare cronaca. Nella maggior parte dei casi le voci che si levano, intendo quelle che hanno spazio sui media, vanno dal panegirico all’elogio, tutti a riconoscere la “statura” di un personaggio che ha inciso profondamente sulla storia, sulla politica e sulla cultura del paese. Il problema è che il fatto di “aver inciso profondamente” di per sé viene considerato un merito, qualcosa di fronte al quale ci si dovrebbe inchinare, prendendo atto di una non meglio identificata grandezza. Se tu hai inciso, nel bene e nel male vali qualcosa, se hai vissuto onestamente, hai lavorato, hai fatto la tua parte senza incidere… beh, non vali un cazzo. Incidere profondamente… l’espressione suggerisce un paragone: il bisturi del chirurgo e la lama dell’assassino incidono “profondamente” entrambi, ma non si possono certo valutare allo stesso modo, c’è una bella differenza. Il Cavaliere ha cambiato la politica italiana? Senza dubbio, ma non mi sembra che la contiguità al potere mafioso e l’aver “istituzionalizzato” pratiche come la compravendita dei parlamentari o la promulgazione di leggi ad personam sia qualcosa di cui rallegrarsi, anche se riconosco che queste “riforme” hanno inciso e incidono parecchio. Berlusconi ha cambiato il modo di fare televisione? Anche questo è fuori discussione: i riferimenti per il pubblico non sono più il maestro Manzi, Enzo Biagi, Corrado Augias o il professor Cutolo: oggi si preferiscono Del Debbio, Brachino e Porro, per non riesumare Emilio Fede o Maurizio Costanzo. Sono questi i nuovi maitre a pènser. Lo “share” dei programmi e la conseguente vendibilità degli spazi pubblicitari sono diventate le linee guida dei palinsesti, una metamorfosi orribile cui si è adeguata anche la RAI, in una rincorsa verso il basso che sembra non avere fine. E questo gigante dagli stivaletti col rialzino ha inciso anche sulla società? Ahimè sì: un gregge smisurato di italiani si è riconosciuto in una serie di modelli osceni da imitare, magari in modo ingenuo, naïf, ma con una convinzione disperata. Adolescenti plasmati sulle profondità culturali delle “Veline”, dei protagonisti di “Amici”, degli eroi del “Grande Fratello” (chissà cosa direbbe Orwell!). Adulti (almeno sotto il profilo anagrafico) che affrontano la vita sentimentale forti di ciò che hanno imparato da “Uomini e Donne” (ma il titolo non è discriminatorio?). E quelli che tentano pateticamente di emulare l’inarrivabile imprenditore vincente in ogni campo? Forse sono loro i veri orfani, quelli che si identificavano nel Superitaliano, che sognano evasioni fiscali milionarie, che sperano di affidare la bocca alle carezze suadenti di igieniste dentali che sembrano uscite dalla fantasia di Manara, capitanetti d’azienda che vorrebbero arringare una platea di collaboratori ipnotizzati e adoranti dall’alto di un palco saldamente appoggiato sui fatturati in crescita. Fanculo l’ambiente, fanculo i perdenti che non arrivano a fine mese, fanculo i diritti, meglio guadagnarsi i privilegi sgomitando, nell’attesa di tornare al condominio dell’Olgiata dove un gineceo adorante e siliconico tiene acceso il sacro fuoco che scalda il cuore e l’inguine. E se in mezzo alle vestali ci fosse anche la figlia di uno degli emulatori? Forse quel padre si laverebbe i ruderi della coscienza sopravvissuti al lavaggio del cervello marcato biscione, usando qualcosa di simile alla sindrome di Stoccolma. In fondo i villani medievali dicevano: “il barone mi ha fatto l’onore di giacersi con mia figlia…”. Chi ha dato ha dato, e chi ha inciso ha inciso.