Trattori in piazza: ragioni e torti
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Pi a fondo a te ari, mejo l’è!

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Pi a fondo a te ari, mejo l’è!

La protesta “dei trattori” racchiude in una sintesi, che è allo stesso tempo una sorta di nemesi, le cause, le dinamiche e a saperle leggere anche le possibili soluzioni, di una crisi profonda. Sono proprio i famigerati trattori uno degli elementi chiave: la potenza media delle trattrici agricole è quintuplicata nel giro di qualche decennio, un aumento addirittura maggiore di quanto è accaduto con le automobili, anche a voler considerare i SUV. È un dato incontestabile che la dice lunga: c’è davvero bisogno di tutta questa potenza (e degli inevitabili corollari, cioè maggiori costi di acquisto e manutenzione, maggior consumo di carburanti, lubrificanti, impatto ambientale, gestione del prodotto a fine vita ecc.)? Sì e no. La risposta è affermativa se adottiamo acriticamente il punto di vista degli agricoltori “ortodossi”, ma diventa “assolutamente no” se ragioniamo in modo critico o almeno con il punto di vista degli agricoltori lungimiranti e consapevoli dell’impatto che la le loro attività hanno sull’ambiente. È di questi giorni il dato inquietante che riporta la drammatica riduzione del 50% della popolazione di uccelli in Val Padana, dal 2000 ad oggi. Questa strage, che tra l’altro avrà ripercussioni notevoli sull’equilibrio ambientale, è dovuta essenzialmente alle attività agricole e alla caccia. Senza se e senza ma. Il Granducato del Prosecco, la perla dello Zàiastan dove si produce l’indispensabile nettare per gli apericena degli schiavi della movida, si è trasformato nelle quinte di un brutto film, è diventato un deserto collinare caratterizzato dalla totale scomparsa degli insetti e dell’avifauna (per non parlare dei roditori e dei selvatici) che solo vent’anni fa erano ben presenti. Sorvoliamo sui rischi per la salute dei sudditi, sappiamo già che si ripeterà l’ignobile teatrino che abbiamo visto con l’amianto o con l’atrazina delle risaie. L’impiego dissennato di concimi chimici, diserbanti, e sementi selezionate geneticamente dalle multinazionali, ha trasformato il terreno soffice delle nostre aree agricole, vivo e pieno di humus, in una specie di cemento da aeroporti. È suolo morto, tra l’altro è diventato impermeabile alla pioggia che, quando cade per più di un’ora, si trasforma in alluvioni disastrose. Per riuscire a trainare il vomere degli aratri nel cemento, sono necessarie potenze assurde, da carrarmato: così i trattori che solo 30 anni fa facevano egregiamente il loro lavoro, oggi non ce la fanno. L’ironia della questione (ma è ironia amara), è che in realtà arare così a fondo non serve a nulla, o meglio serve all’industria agrochimica e ai produttori di attrezzature agricole: ci sono studi di università di tutto il mondo che lo dimostrano. Non voglio criminalizzare gli agricoltori: generalmente hanno bassi indici di scolarizzazione e l’unico Vangelo che è stato offerto loro è quello, disonesto e criminale, della federconsorzi e dei vari commercianti al soldo di federchimica e dei produttori di trattori, mietitrebbie o di mangimi per la zootecnia. In realtà spesso si tratta delle vittime inconsapevoli (per quanto piuttosto testarde) di una propaganda che li ha convinti che qualsiasi vivente arrechi danni alle colture, che “ fare ‘na làga (solco) fonda otànta schèi (80 cm)” sia il massimo per un buon raccolto, e che “segare tutti i àlbari” sia meritorio. Del resto non è stata data loro alcuna alternativa: messi all’angolo da un circuito economico folle, sono costretti a stravolgere la loro attività per sopravvivere alle regole di un mercato che vuole pagare poco o nulla i loro prodotti, siano cereali, latte, ortaggi o bovini da carne. L’unione Europea non consente più le elemosine elettorali tanto care alla DC che nel dopoguerra hanno trasformato i braccianti in piccoli proprietari: a Strasburgo si obbedisce a mostri come Bayer-Monsanto o Unilever, mentre occasionalmente per salvare consenso si strizza l’occhio alle tendenze “verdeggianti” di movimenti che in realtà non sanno cosa vogliono (anche se lo vogliono con tutte le loro forze). Se non mettiamo in discussione il capitalismo e le abitudini di consumo cui esso ci ha spinto, non usciremo dal problema… anzi, dovremo fronteggiare il disastro ambientale causato dalle multinazionali con la complicità più o meno dolosa degli agricoltori. Prevedo, spero di aver torto, che tra un decennio gli eredi dei “trattori” di oggi scenderanno in piazza per contestare il crollo dei raccolti dovuto alla morte degli impollinatori e il costo altissimo dei droni impollinatori offerti da DJI (Cina) o da Skydio (USA) per sostituire le api. Ma evidentemente va bene così, e nel frattempo, quando ancora si potrebbe intervenire, si segnalano per l’assordante silenzio i governi occidentali, l’Unione Europea e le organizzazioni come Confagricoltura.