C’è il silenzio reale e quello irreale. Sono cresciuto in un paese che negli anni Sessanta era a sola vocazione agricola e il silenzio in questa stagione era contrappuntato dal canto degli uccelli, dallo stormire delle foglie, dalle voci quando qualcuno chiamava, per il resto era quiete. A volte si sentiva il rumore di un motorino già quando partiva da alcuni paesini più lontani, all’incirca una decina di chilometri, e seguivi l’aumentare dell’intensità del suono via via che si avvicinava, ma a volte non passava sulla strada davanti casa perché aveva imboccato un’altra direzione ad un incrocio precedente e restavo deluso di non vederlo, essendo quella una delle poche distrazioni di una quotidianità abbastanza ripetitiva e fatta di gesti semplici.
In quel tempo di continue scoperte dell’esistenza mi erano compagni gli animali da cortile, dal gatto alle galline, le faraone, i conigli, il maiale che si faceva sentire quando aveva fame, e d’estate il fastidioso frinire delle cicale che solitamente davano il meglio di sé nelle ore più calde che, guarda caso, erano anche quelle del riposino pomeridiano.
Il silenzio reale è anche quello che ho scoperto tra i sentieri di montagna e di cui sento una continua nostalgia perché accomunato al fresco e alla bellezza dei pendii.
Ciò che percepisco in questi giorni è invece un silenzio irreale, come quello che ho incontrato dentro le mura del carcere, i luoghi dell’odio, nei lunghi corridoi vuoti che le contraddistinguono e fanno da contraltare alla ristrettezza delle celle in cui sono asserragliate tante vite umane.
Nel silenzio irreale mi sento tale pure io e tutto ciò che faccio, perché i rumori sono sordi e sopportati, costretti e non voluti spontaneamente, tutto ha un sapore strano, un po’ come ci si sente la bocca impastata quando passa la febbre ma restano ancora i segni della malattia.
Però non perdo la speranza, confido che riusciremo a passare anche questo drammatico e doloroso guado, e attendo di risentire quel silenzio reale che mi fa respirare a pieni polmoni, nell’insostituibile bisogno di vivere in libertà.
Livio Ferrari vive e lavora a Rovigo. Giornalista, scrittore e cantautore, esperto di politiche penitenziarie, fondatore e direttore dal 1988 dell’Associazione di volontariato “Centro Francescano di Ascolto” di Rovigo, presidente del Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario-SEAC dal 1994 al 2000, fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia nel 1998 e presidente della stessa dal 1998 al 2005, consulente del Ministro della Solidarietà Sociale per le politiche penitenziarie nel 2007-2008, garante delle persone private della libertà del Comune di Rovigo dal 2008 al 2013, fondatore e direttore responsabile della rivista dei detenuti della Casa Circondariale di Rovigo “Prospettiva Esse” dal 1997. E’ autore di molti libri e degli album musicali Orologi e Passioni (2011 e 2018, Edizioni Nota Music), ideatore e regista dello spettacolo “Il carcere in piazza”. E’ coautore con Massimo Pavarini del libro Basta dolore e odio pubblicato da Apogeo.

Pensieri sparsi di vite sospese.
Amici, autori, collaboratori di Apogeo Editore ci hanno consegnato, ognuno con il proprio stile, pensieri, racconti, riflessioni su questi “strani giorni”, che noi affidiamo ai nostri lettori.