Liana Isipato recensisce “Parla, ricordo”, di Vladìmir Nabòkov, 1947, Adelphi, 2010
Dopo La lingua salvata, mi piace rimanere nella cerchia affascinante delle ‘vite degli altri’ con un altro memoir letto con piacere: Parla, ricordo di Vladìmir Nabòkov. Innamorata della sua Lolita (letto e riletto) ho desiderato conoscere meglio l’autore, uno degli ultimi relitti dell’aristocrazia russa, scampato in modo rocambolesco alle purghe sovietiche.
Un testo scritto inizialmente in inglese, poi riscritto in russo prima di essere ri-anglicizzato…un compito infernale, dice lui stesso, anche se qualche consolazione mi è venuta dal pensiero che tali metamorfosi multiple, ben note alle farfalle, non erano state tentate prima da un essere umano. Paragone che gli vien naturale, essendo un appassionato entomologo, tanto da dare il nome a una sua farfalla, da lui osservata e descritta per primo: la Plebejus (Lysandra) cormion Nabokov 1941.
Anche qui, come in Lolita, un incipit che cattura: “La culla dondola sopra un abisso e il buon senso ci dice che la nostra esistenza è solo un breve spiraglio di luce tra due eternità fatte di tenebra”. Parte così un’autobiografia che copre 37 anni di vita, dal 1903 al 1940, con solo qualche sporadica incursione nello spazio-tempo successivo. Parla degli anni da émigré, che precedono il suo trasferimento a Berlino e poi a Parigi, le due capitali dell’esilio, prima di divenire cittadino statunitense.
Come sempre la forza maggiore di Nabokov sta nell’abilità di liberare le memorie rinchiuse in cattività nel giardino zoologico delle parole, producendo alcune metafore-immagini che lasciano senza fiato. I capitoli più belli sono quelli dell’infanzia, immagini vivide ed evocative di anni felici, trascorsi negli agi di una famiglia colta e nella bellezza delle case con grandi parchi dove passava intere mattinate nella caccia e nell’osservazione di farfalle e fiori; quasi la premessa della sua scrittura precisa, attenta al dettaglio, a partire dalla descrizione affettuosa dello stupefacente corteo di bambinaie e governanti inglesi: dalla scialba Miss Rachel alla bella Miss Norcott, da Miss Robinson dal naso roseo alla miope Miss Hunt, licenziata per non essersi accorta della fuga dei due fratellini di quattro e cinque anni, imbarcatisi su un vaporetto per un lungo tratto, prima di venir catturati…E altre ancora.
Una narrazione sincera e senza reticenze, arricchita di riflessioni esistenziali sul tempo, su questa famiglia di funzionari e uomini d’arme in cui spicca la tenera figura della madre, una donna che ha come filosofia di vita quella di amare con tutta l’anima e lasciare il resto al fato.
Molto intensi anche i capitoli sulla sua passione amorosa con Tamara. Nabokov è maestro, come Stendhal, nell’arte del non detto: quando fa per la prima volta l’amore con la sua ragazza…in un certo boschetto di pini ogni cosa prese la giusta piega, squarciai l’ordito della fantasia, assaporai la realtà.
Come già sottolineato, esamina con l’estrema capacità d’osservazione di un naturalista la sua vita passata, e racconta verso la conclusione del libro come la frattura nel suo destino gli abbia dato una scossa benefica, vitale, e come le prime due vite – quella russa e quella di emigrato – abbiano trovato una sintesi nella terza, quella nel paese d’accoglienza.
Non mancano momenti in cui si lascia andare alla nostalgia…datemi un qualsiasi continente che assomigli alla campagna pietroburghese, e il mio cuore si scioglie…a volte mi figuro di tornare a visitare i miei luoghi di un tempo con un falso passaporto, sotto falso nome. Si potrebbe fare. Ma non credo che lo farò mai. L’ho sognato troppo oziosamente e troppo a lungo.

APPUNTI DI LETTURA. Liana Isipato è nata nel 1947 a Cavarzere, ha insegnato a lungo nella locale scuola media. Collabora, con ricerche sulla storia locale, a pubblicazioni dell’Iveser, cui è iscritta. Ama i libri e coordina da una decina d’anni gruppi di lettura al bar, nel proprio paese.