Siamo un popolo di santi, poeti e navigatori, ma non ci fa difetto nemmeno la fantasia, specie quando citiamo a sproposito il nostro passato. L’Italia ha conosciuto l’emigrazione, eravamo poveri e altri paesi sembravano offrire opportunità che la patria ci negava. Siamo stati “Gastarbeiter” in Germania e in Svizzera, abbiamo sfornato pizze, ci siamo appiattiti i piedi facendo i camerieri, abbiamo estratto il carbone nelle viscere del Belgio e alcuni hanno perso la vita nel tentativo generoso di guadagnare onestamente il pane per la famiglia.
Altri, dobbiamo rammentarlo, sembravano meno portati per la fatica e hanno preferito esportare l’efficiente modello di criminalità organizzata sperimentato con successo nel Belpaese e, piaccia o meno, il fenomeno era ed è tutt’altro che marginale se ancora oggi siamo identificati come “mafiosi” e le copertine dei periodici esteri ci dedicano di quando in quando immagini poco edificanti. Dovrebbe bastare questo per capire che agli imbecilli francesi o tedeschi che propugnano l’equazione “italiano = mafioso” corrispondono i diversamente intelligenti nazionali, quelli convinti che i nostri nonni fossero esempi di stacanovismo, mentre gli immigrati che toccano il patrio suolo oggi siano, nella migliore delle ipotesi, campioni di fancazzismo.
Siamo stati umiliati e sfruttati, è vero, ma non mi sembra un buon motivo per “vendicarsi” ora che i ruoli si sono invertiti: vogliamo trasformarci da vittime in carnefici? E poi, crediamo davvero di conoscere le condizioni e le situazioni da cui molti migranti tentano di salvarsi? Nell’Italietta dei nonni e dei bisnonni c’era povertà e qualche volta fame, ma non c’erano guerre e guerriglie interminabili e nemmeno bande assassine di soldataglia pagata per destabilizzare il paese. La sanità era lacunosa, costosa, ma esisteva. Non c’erano multinazionali straniere a rapinare le risorse deturpando l’ambiente. Non c’erano conflitti di religione e banditi dediti alla tratta delle ragazze.
Evidentemente non conosciamo bene nemmeno le cause profonde dell’emigrazione, non sappiamo (o fingiamo di non sapere) che gli ananas o le banane costano così poco perché c’è una catena di sfruttamento criminale che produce alimenti per l’occidente ricco. Magari ci dimentichiamo anche delle miniere di Coltan dove i bambini muoiono nel fango per darci gli smartphone “gratis” con il contratto del gestore. Ignoriamo le legioni di colf, badanti, addetti alle pulizie e tutte le formichine obbedienti che lavorano molto e spesso per un salario da fame permettendoci un tenore di vita cui non vogliamo rinunciare.
La procura di Chicago è riuscita a condannare Al Capone, ma ha permesso a migliaia di italoamericani di vivere e lavorare onestamente, prendiamolo come esempio. Credo che prima di parlare di immigrazione, prima di condividere slogan beceri, stupidi e soprattutto falsi, dovremmo studiare un po’ di storia. Possibilmente senza paraocchi.

L’ESTUARIO DEL PO. Cronache non necessariamente conformiste. Mario Bellettato è nato ad Adria nel 1956. Dopo gli studi classici e la laurea in giurisprudenza ha intrapreso una carriera manageriale che lo ha portato a lunghe permanenze all’estero. Ha lavorato come copywriter per alcune agenzie di pubblicità e si è occupato di formazione per l’Unione Europea. Ha pubblicato i romanzi “Il sognatore” (2015) e “Due perle” (2020).