Con me lavora una bella ragazza che quando deve scrivere qualcosa tira fuori un astuccetto verde di lana cotta con dentro infilate tre penne Bic, una verde una blu una rossa, e una matita bianca con i cuoricini rosa e in testa una gommetta dello stesso colore dei cuoricini.

Ogni volta che la vedo scrivere mi emoziona un po’ e mi pare di rivederla quando era bambina, non so se paffutella o magretta, prendere in mano le penne in quel modo imbarazzato dei bambini e scrivere incerta su una quaderno a righe di seconda.

Mi si stringe il cuore se penso a questa cosa, mi viene in mente l’infanzia, la sua purezza, la dolcezza e dimentico del tutto il bellissimo e desiderabilissimo culo che ha, il suo pieno essere donna di adesso. Poi mi domando quanto resti di noi bambini in noi grandi e mi rispondo che a volte resta qualcosa in qualcuno ma a volte, la maggior parte delle volte, dimentichiamo tutto, forse qualcosa viene fuori nei nostri sogni ma per la maggior parte non so se reprimiamo o dimentichiamo, forse tutte e due le cose insieme.

Poi penso che se guardassimo gli altri, quelli con i quali viviamo, vedendo o immaginando loro i bambini che erano sarebbe una bella cosa e forse con l’immaginazione e con la curiosità reciproca scopriremmo delle cose curiose e belle e sarebbe più facile stare vicino agli altri e vivere insieme.

Ma non ne sono sicuro anche se mi piacerebbe fosse così.

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