Quando ero ragazzo frequentavo dei matti, dei matti veri, quelli del manicomio, perché la mia morosetta di allora lavorava per una cooperativa che portava da mangiare a questi matti che stavano in una comunità che era una bella casa di campagna in mezzo al verde, con delle galline dei conigli e dei cagnolini e dei gattini che loro curavano e gli volevano tanto bene.

A me piaceva tantissimo frequentarli perché stavo benissimo quando stavo con loro, meglio di quando stavo con quelli normali, anche se a volte mi spaventavo perché su tante cose la pensavo esatto esatto come loro e allora dicevo tra me e me: dio bono, sono matto anche io.

Tra questi matti diventai molto amico di Lino, un omone di due metri che assomigliava tantissimo a Ollio di Stanlio e Ollio. Lino usciva ciabattando pesante dalla comunità una mezzoretta tutte le mattine per andare al bar a bere un caffè macchiato; e due volte su tre dal bar chiamava i carabinieri perché diceva che aveva sentito una voce e che sapeva che lì in paese c’erano dei cattivi che avrebbero fatto qualcosa di male.

I carabinieri dopo un po’ erano stati avvisati che Lino era Lino e gli davano retta e poi lo ringraziavano dell’aiuto e lo salutavano cordialmente. In quel periodo io stavo studiando Socrate, e anche lui sentiva le voci però non chiamava i carabinieri e comunque per me allora Socrate in quel periodo aveva la faccia di Lino anche se sui libri si vedeva che non era così.

Comunque io a Lino gli volevo tanto bene anche perché aveva quasi sempre ragione ed era davvero pieno di cattivi in giro. Quando gli chiesi come facesse a sentire la voce sentinella lui, con la sua voce profonda fumosa e dolcissima e col suo tono altalenante da matto esperto, me lo spiegò volentieri: ti tappi le orecchie, chiudi forte gli occhi e stai ad ascoltare, mi disse. Io provo a farlo spesso anche oggi come diceva Lino, ma i telefoni a gettoni nei bar non ci sono più ed è per questo che i cattivi dilagano.

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