Liana Isipato parla di Tommaso Landolfi e del suo “Racconto d’autunno”, uscito per Vallecchi nel 1947, poi in altre edizioni, qui mostriamo quella di Adelphi del 1995.
Tommaso Landolfi, nato a Pico (FR) il 9 agosto 1908 e morto a Ronciglione (VT) l’8 luglio 1979 fu un intellettuale ostile e riservato, non rilasciava interviste; si fece riprendere soltanto una volta dalla televisione in tutta la sua vita, non partecipava agli eventi della società letteraria e ci parla solo attraverso i suoi libri, in cui possiamo intuire la sua ossessione per la “ricerca e la sistemazione di parole”.
È vero, però, che questa fama di scrittore “intrattabile” aveva creato intorno all’autore un’aura quasi mitica, da cui un editore più abile avrebbe potuto trarre vantaggio, anche in termini di promozione editoriale. Ma ciò non avvenne: la sfortuna editoriale di Landolfi sarebbe mutata solo con l’approdo, ampiamente postumo, all’Adelphi, avvenuto nel 1992.
La figlia Idolina, purtroppo morta appena cinquantenne nel 2008, si occupò della revisione critica e della promozione dei testi paterni, curando nel 1991-92 la pubblicazione delle Opere in due volumi e fondando nel 1996 il Centro Studi Landolfiani.
Da ricordare una fortunata antologia tematica di racconti allestita da Italo Calvino: Le più belle pagine di Tommaso Landolfi.
Di lui, disse Giorgio Manganelli:
Fu uomo solitario, bizzarro, schivo non per timidezza, ma per una sorta di disdegno, di furore, di irrisione… Ebbe la gloria di essere uno scrittore inutile. I suoi libri affascinano perché contengono attente contraddizioni, e la sua prosa magra, senza sorriso, ma in nessun caso parlata, si porta appresso immagini di orrore, di sgomento, di decadenza, di spregio.
Io ho scoperto da poco la potenza di questo autore, dopo aver letto su Robinson l’articolo di un critico che mi ha convinto del suo valore, basato proprio sull’affascinante intreccio di aspetti diversi e sul suo personalissimo stile. Ho iniziato a conoscerlo col libro di cui vi parlo, nell’edizione Adelphi del 1995. Vale la pena di continuare a leggerlo…
RACCONTO D’AUTUNNO di Tommaso Landolfi
La trama è semplice: un partigiano in fuga da due eserciti contrapposti, l’occupante e il liberatore, giunge davanti a una grande e signorile ma ormai fatiscente dimora, in cui tenta a fatica di entrare. Riesce a introdursi di prepotenza e, solo dopo un certo tempo, ai segni di una presenza umana -il fumo che esce dal camino, un piatto di minestra sul tavolo- fa riscontro l’ingresso nella stanza di un vecchio. Per niente disposto ad accogliere il fuggitivo, ne tollera poi la presenza perché si sentirebbe in colpa nel darlo in pasto ai suoi inseguitori. La vicenda devia subito dallo scenario di guerra, per incentrarsi in un intreccio d’amore e di morte che si svolge nel maniero, infatti vagando per la casa, tra stanze, cunicoli e sotterranei, il protagonista si imbatte in un dipinto che raffigura una donna affascinante, quasi ‘viva’, la defunta moglie del vecchio. Qui il racconto gioca tra mistero, magia e il brusco impatto con la realtà, rappresentata da una giovane, inafferrabile oggetto del desiderio, capace di donarsi all’uomo con dolcezza, sensualità, ma che sa mostrarsi anche crudele, sadica. Il finale, tragico, vedrà la morte della donna-per opera degli inseguitori- mentre con la sua presenza cerca di distrarli dalla caccia al partigiano, cui chiede, con le ultime parole, di tornare “…Ma non temere, ci ritroveremo ancora. Torna, torna!
Insomma, la storia è lineare, scorre fluente, ma è pervasa da un’atmosfera straniante. In effetti, il gioco tra sogno e realtà riflette un elemento autobiografico: la casa natale di Landolfi venne saccheggiata dai soldati durante la guerra e questa ferita entra in maniera forte all’interno dell’opera, stemperata però dalla letteratura.
Sembra a momenti di leggere un’opera di E.A. Poe; poi, riflettendo, si avverte la complessità del messaggio, dei temi e delle forme. L’insistere sul fantastico, sul grottesco, vuole, credo, stimolare l’attrazione verso l’insolito, il perturbante. Mostrare cioè i diversi mondi, le pulsioni contraddittorie che sono in noi, come nella giovane donna che affascina il narrante.
Di fronte a passi di mirabile sintesi descrittiva, mi sono stupita di certe lungaggini: in particolare, le pagine in cui c’è il vagare tra le stanze del castello, alla ricerca di una presenza intuita e misteriosa… Credo di aver poi capito che questa sia la voluta messa in scena di un labirinto, in cui ripetutamente il protagonista si perde, quasi la metafora di come siamo pieni di labirinti e contraddizioni nella nostra psiche. Ancora, mi è piaciuto il filo rosso di amore e morte che dà il tono a gran parte del racconto.
Sono rimasta colpita dal linguaggio erudito, originale ed elegante, a volte fuori dalle regole e ricco di termini rari, insoliti; espressione di uno stile più sperimentale che volutamente arcaico. È quasi un gioco di Landolfi, che pur essendo tenebroso a volte si mostra anche molto ironico e simpatico, come quando nel momento drammatico della fuga tra i boschi gli inseguitori lo salutano coi colpi di moschetto…e lo seguono gattonando… O come, affamato, dice di aver al mattino esaurite le mie poche provviste di bocca…ecc. Trascrivo un passo della conclusione, che ho sottolineato per l’intensità suggestiva della descrizione:
“E in seguito, rividi quei luoghi nel crepuscolo lagrimoso, come la prima sera che vi ero giunto, o spesso e violaceo, come la prima volta che la avevo trovata, o colla pioggia diritta e insistente, come quella notte, colla tempesta, col vento urlante come una creatura incatenata, colla nebbia sbrindellata sulle cime; in una delle mille figure di quella inebriante e malinconica stagione, che erano altrettante figure della mia anima. E le erbe, l’edera e le altre selvatiche rampicanti cominciavano a coprire e a invadere la casa, che da ultimo ammantarono del tutto, facendone un gran tumulo verde.”

APPUNTI DI LETTURA. Liana Isipato è nata nel 1947 a Cavarzere, ha insegnato a lungo nella locale scuola media. Collabora, con ricerche sulla storia locale, a pubblicazioni dell’Iveser, cui è iscritta. Ama i libri e coordina da una decina d’anni gruppi di lettura al bar, nel proprio paese.