Quando la V-A-C Foundation si è presentata tre anni fa sulla scena culturale veneziana, la reazione è stata tiepida. Forse perché è russo il magnate che ha preso il vecchio splendido palazzo alle Zattere, di fronte al Canale della Giudecca, e l’ha restaurato (il progettista è Alessandro Pedron) e aperto al pubblico. Un russo sconosciuto qui, fuori dal jet-set dei collezionisti. Forse perché le visioni d’arte che ha cominciato a esporre, tutte di calibro internazionale, avevano un retrogusto piuttosto malinconico. O forse, quello sguardo di sottecchi che in questi tre anni è stato riservato a questa Fondazione dipendeva dal sapore così cosmopolita e spiazzante del suo team e delle sue proposte, cose su cui la città sembra fuori allenamento.

Eppure. Prendete il giardino: è un piccolo paesaggio di palude, ispirato alle barene, foderato di piastrelle realizzate in una antica manifattura inglese. Le stesse usate per una installazione alla Biennale dai suoi progettisti, il collettivo Assemble, tra i più intelligenti artisti internazionali. Prendete la caffetteria: si chiama sudest 1401, è gestita dagli imprenditori afghani, arrivati a Venezia profughi e diventati dei punti di riferimento con i loro angoli gastronomici dell’Orient Experience. E poi prendete l’ultimo progetto lanciato dalla V-A-C per rispondere all’emergenza:

«le associazioni che lavorano in ambito sociale, culturale, artistico, letterario e artigianale, sono invitate a realizzare i propri progetti negli spazi della Fondazione, mettendo a disposizione gli ambienti, le infrastrutture e la tecnologia dello spazio alle Zattere».

Nessuna mostra, fino a dicembre: alla V-A-C si sono messi a disposizione della città. Da settembre aprirà così.

È slittato l’appuntamento che avrebbe dovuto combaciare con la Biennale Architettura: il britannico Joseph Grima ha promesso di aprire alla V-A-C un cantiere di un anno, dove far transitare un programma di residenza, una mostra, un ciclo di conferenze ed eventi pubblici, laboratori di ricerca, uno studio di design. Con la stessa curiosità le mostre finora realizzate dalla fondazione russa hanno rovistato nell’immaginario contemporaneo, in quella melassa di tecnologia e visioni, traumi e digitale, macchine e desideri in cui siamo immersi. E ci hanno fatto assaggiare, tramite gli artisti russi, quasi sempre giovani e spregiudicati, cosa significhi vivere in una transizione così lunga da sembrare infinita, proprio come quella post-sovietica.

La V-A-C, insomma, ha l’aria di una creatura ruvida e stimolante. Non vuole (o non riesce) a fare innamorare a prima vista, ma chiede di essere amata lentamente. Ha una potenza interiore che non si è dispiegata ancora. Ma se lo fa, è la città a fare un salto di consapevolezza.

V-A-C Foundation
Zattere, Dorsoduro 1401
www.v-a-c.ru

Foto: Alessandra Chemollo, Scala V-A-C

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