È difficile dire se a Venezia sia rimasto qualcosa di cosmopolita, le tracce di un qualche tempo che noi non abbiamo conosciuto. La pandemia ha denudato la città ancora di più: sfumata la folla da ogni dove, annullate le kermesse internazionali, un giorno la città si è svegliata per quel che è, un piccolo centro storico di provincia. Certo, di una bellezza sferzante.

Poi conosci Živa. Živa Kraus. Persino la sua voce, la sua postura algida, lo sguardo pungente, persino la sua magnifica presenza che riempie lo spazio quando si muove, tutto ha un inconfondibile timbro cosmopolita. Della venezianità, Živa Kraus incarna l’intimo e l’alieno. È come se fosse qui da sempre, eppure sembra sempre fuori fuoco.

Campo del Ghetto Nuovo. Ikona Gallery sta sotto un porticato, da cui si stende lunga e stretta. Živa Kraus la si trova sempre seduta alla sua postazione, vicino alla porta a vetri. Nel luglio del 1979 invece accoglieva visitatori e ospiti nella sua prima galleria, a Ponte San Moisè, a due passi da San Marco. È stata una pioniera: all’epoca non era usuale in Europa che una galleria si dedicasse solo alla fotografia. E a Venezia non c’era niente di simile,

«per me significava creare un contrappunto»,

dice. Per l’occasione aveva portato i lavori di Gisèle Freund e Jéròme Ducrot, ritratti di personaggi famosi la prima e di umili contadini francesi il secondo. Un successo, che peraltro coincideva con uno dei primi grandi eventi internazionali in laguna, Fotografia 79.

«Da allora ho portato la fotografia in decine di spazi in città, compresi i grandi palazzi, dal Mocenigo al Fortuny».

Živa Kraus non nasconde il suo amore per Venezia, in cui ha messo radici pur rimanendo straniera. E lavorando quasi sempre in solitudine. Ti parla della sua città natale, Zagabria, e ti fa respirare la brezza mitteleuropea e il crocevia frizzante di idee. Ti ricorda che l’odore del mare unisce l’Adriatico e così le pietre e la Storia dai passi lunghi. Sorride quando confessa di aver portato nella sua valigia le foto da New York o da Philadelphia, dove andava a trovare i fotografi e loro le consegnavano le opere da mettere in mostra. Le piace sentire la galleria come una pelle naturale della città

«perché la vetrina è sempre un passaggio tra il dentro e il fuori»,

il pubblico e il privato, l’apertura e il pertugio, che poi è il respiro urbano di Venezia.

L’acqua altissima di novembre non l’ha fermata. La pandemia sì, ma tra le attività on-line e i progetti in piedi, tra cui una mostra a fine agosto, Živa Kraus ha riaperto, come ha sempre fatto da quarant’anni. Quarantuno, per l’esattezza: li festeggia il 28 luglio nella sua galleria. Tiene aperto Živa, per mostrare cosa significa avere memoria del futuro.

Ikona Photo Gallery
Campo del Ghetto Nuovo
Cannaregio 2909
Ikonavenezia.com
Dal lunedì al sabato, ore 11-19

Credits foto: © Francesco Barasciutti, Ziva Kraus, 2019

Una risposta

  1. Magnifico ritratto di una Grande Persona che ho avuto l’onore di conoscere e il piacere di ascoltare e osservare, oltrepassando quella vetrina che è un ponte sul mare di Cultura fotografica e non soltanto di Ziva Kraus

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