Forse rileggere poesie è un affare semplice. Una o due o dieci che ci colpiscono, viene spontaneo leggerle e rileggerle.
Hanno un loro danzare, spesso sono brevi, e se anche hanno una lunghezza che va di pagina in pagina,
durano lo spazio di pochi respiri.
È affare più complicato leggere e rileggere un’opera poetica.
Eppure, qui ce lo dice tanto bene Sandro Marchioro, è un affare avvincente, perché un’intera opera poetica ha

“una sua fisiologia, è un organismo vero e proprio”.
E così, in questo
Rileggerei ci troviamo avvolti da Satura di Eugenio Montale,
che ha solcato il Novecento e ancora solca.
Voi, gentili lettori, rileggereste
Satura oppure Le occasioni, Ossi di seppia o che altro?…
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“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale…”: è la poesia più famosa di Eugenio Montale ed è una delle meno belle: soprattutto da quando è sulla bocca di tutti, un po’ come “La cura” di Battiato. È un atteggiamento schifosamente snob, direte, negare la bellezza di un’opera solo perché è popolare. Sarà anche snob, ma io continuo a credere che questa poesia di Montale (e “La cura”, di Battiato) siano testi deboli non perché facili (anzi, questa è la loro qualità) ma perché formalmente ruffiani, ed anziché farmi pensare e restarmi dentro a pormi delle domande inesauste mi ficcano un cucchiaione di miele in bocca e mi satollano di malinconica bontà. Non è questo che voglio da un testo. Comunque non volevo parlare di questo: volevo piuttosto invitarvi calorosamente a rileggere l’opera di Eugenio Montale che si intitola Satura ed è il suo quarto libro di versi pubblicato nel 1971; se lo farete, vi invito a farlo sull’edizione Oscar Poesia del Novecento di Mondadori curata da Riccardo Castellana: un’edizione nella quale tutte le poesie sono introdotte e annotate, e nella quale troverete anche un’ottima introduzione dello stesso Castellana, una svelta cronologia, una soddisfacente bibliografia (ma da aggiornare), un saggio di Romano Luperini ed uno straordinario e prezioso scritto di Franco Fortini che chiude il libro. Insomma, tanta roba per fare quello che si fa sempre meno: leggere un libro di poesia, non qualche poesia qua e là. Un’opera di poesia come questa, di un grande autore, ha una sua storia interna, una sua fisiologia, è un organismo vero e proprio che restituisce un mondo poetico di cui non si riesce a godere sbocconcellando qua e là; e purtroppo questo tipo di lettura della poesia, la lettura di un intero libro di un autore, intendo, è tra le meno praticate nel nostro paese, dove di poesia se ne scrive a intere e vastissime stive, ma dove se ne legge davvero pochissima. Satura è un libro meraviglioso, che testimonia una svolta umana e artistica di uno dei grandi poeti del Novecento. Nel 1971 Montale ha 75 anni: è un anziano vedovo che vive accudito amorevolmente dalla domestica in un appartamento di Milano; è amato e osannato dalla critica per i tre libri di poesia che ha pubblicato in precedenza (l’ultimo dei quali è “Le occasioni” e risale a quindici anni prima) oltreché per una intensa attività di recensore e di prosatore seminata su quotidiani e riviste. È un poeta di rilievo internazionale, tant’è che quattro anni dopo, nel 1975, riceverà il premio Nobel per la letteratura. Ma è anche un uomo che vive in un’epoca storica di travagliato trapasso, un’epoca nella quale il mondo sta cambiando in maniera radicale e con una velocità mai vista prima; e Montale ha capito che il tono alto, che la scocca preziosa della sua poesia degli anni venti, trenta e quaranta, non è più adatta ai tempi che corrono. E allora svolta, imbocca un’altra strada, mischia i generi, impasta gli stili e regala ai suoi lettori una poesia composita, varia, meno metafisica e più esistenziale, dove trovano posto ancora le sue donne ma soprattutto il ricordo della moglie che non c’è più ed una sequenza di temi diversi tra loro ma sempre accolti da versi ricchi, brillanti, musicali. È un libro che parla di tante cose, Satura, che pastura il lettore e lo fa abboccare lasciandolo stupito ogni volta. I critici sono concordi nel parlare di un “abbassamento di tono” rispetto alla sua poesia precedente: è vero. Ma è anche un libro più disteso e, soprattutto, magnificamente in linea con tempi svelti come i nostri, che pretendono più comunicazione che concentrazione. Per questo è un libro che può dare enormi soddisfazioni ai lettori di oggi. A meno che non siate già dipendenti da TikTok, nel qual caso siete praticamente perduti.

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