La seconda puntata di questi “Sguardi” di Vainer Tugnolo è dedicata a John Berger, autore in senso molto ampio (perché Berger è stato tante cose), come spiega Vainer. Cosa abbia a che fare Berger con il nostro territorio ve lo racconta con grande precisione questo bellissimo pezzo, che vi consigliamo caldamente di non perdervi.

Così come John Berger sfugge a qualsiasi definizione (scrittore, critico, pittore, giornalista o altro ancora) così la molteplice, libera e versatile natura del suo sguardo si è posata sull’arte e sul paesaggio tenendosi alla larga, con forza, eleganza e naturalezza, da etichette e luoghi comuni.

Un uso diverso del linguaggio delle immagini, pensava Berger, avrebbe potuto aiutarci a orientare le nostre esperienze in ambiti in cui le parole sono inadeguate. Perché vedere viene prima delle parole.

Così il suo Questione di sguardi (Il Saggiatore, 1998) ha accompagnato generazioni di lettori lungo le frontiere fra ciò che si può vedere e ciò che si può sapere.

Con Ritratti (Il Saggiatore, 2018) li ha guidati in un unico e sorprendente viaggio attraverso la pittura occidentale.

Con uno stile sempre ricettivo, in movimento, e la caratteristica narrazione dello sguardo, ha attraversato il nostro territorio grazie all’amicizia con Gianni Celati.
E allora ecco Berger osservare che

man mano che il Po si avvicina al mare diventa due mani e le sue acque si dividono in dieci dita, ma dipende un po’ da come si conta, si potrebbe dire quattro mani con venti dita”.

Nel romanzo Festa di nozze (Il Saggiatore, 1995) il finale del libro si adagia sulle rive di un fiume, il Po di Goro, prossimo alla foce:

Gli antichi credevano che il primo atto della creazione fosse stata la separazione della terra dal cielo (che si desideravano a vicenda): intorno a Gorino la terra è diventata acqua per stare il più vicino possibile al cielo e rifletterlo come uno specchio”.

Ma anche come sceneggiatore, o come instancabile, strenuo difensore dell’importanza delle storie, Berger si rivela un infallibile osservatore del mondo.
Nel documentario di Celati, Case sparse. Racconti di case che crollano (2002), lavoro dove dialogano in costante sintonia linguaggio letterario e linguaggio filmico, il critico inglese incarna la figura del narratore.

Qui Berger, in questo film che parla delle “case in rovina nella Valle del Po”, ci rivela probabilmente un altro dei fondamenti tipici del suo viaggiare intorno alle cose, una capacità di leggere attraverso il nostro territorio che trae origine dai tempi in cui si era occupato di Antonioni (e del suo splendido mediometraggio Gente del Po).

Dall’idea del fiume come luogo di isolamento, di separazione e confine, e dalla conseguente e costante attitudine a produrre un flusso inarrestabile di immagini, deriva, ancora una volta, l’importanza del raccontare.

Raccontare i margini, la materia residua e dimenticata, ma proprio per questo una irrinunciabile e preziosa testimonianza della nostra vita e del nostro reale: un modo per parlarci degli effetti del tempo, della memoria e del ricordo, del rapporto fra il presente e il passato.

Nello stesso modo in cui Berger e Celati ci invitano a non guardare con mestizia alle case in rovina ma piuttosto come a un nuovo e sorprendente paesaggio moderno, così il nostro sguardo, finalmente, deve dotarsi di una predisposizione diversa, capace di cogliere le diverse facce della realtà, in relazione al nostro tempo.

Case sparse nasce da un’idea di Luigi Ghirri, il grande fotografo emiliano scomparso nel 1992. Forse è proprio Ghirri che ci restituisce alla nostra natura di spettatori immaturi e inconsapevoli: lo fa attraverso l’invito che era solito rivolgere al gruppo di viaggiatori in posa, nel documentario di Celati Strada Provinciale delle anime, prima di scattare la quotidiana foto ricordo:

Avanti, state fermi, e fate finta di essere voi stessi!”.

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