Qualche giorno fa abbiamo pubblicato qui l’intervista di Maurizio Caverzan a Vitaliano Trevisan, raccolta in “Fabula veneta” e in reazione a questo bellissimo confronto, ieri abbiamo messo in pagina le parole di Gianni Sartori nell’articolo “Vitaliano Trevisan: il calvario di un dissidente”. Parola dopo parola, ecco i pensieri di Maurizio Caverzan sulla riflessione di ieri.

Ho letto con vivo interesse la riflessione di Gianni Sartori a proposito della tragica fine di Vitaliano Trevisan.
È un pensiero vibrante, una chiave interpretativa forte quella che ci è proposta. Tutta la vita di Trevisan conteneva questa dissidenza rispetto al sistema, alla piccola società borghese e capitalista del cosiddetto Nordest, una categoria, una definizione socio-geografica che non ha mai abbracciato. I suoi libri, i suoi memoir erano fortemente critici di questo modello di sviluppo. Dei perbenismi e dei luoghi comuni nei quali ci siamo troppo facilmente accomodati. Ma non è questo rifiuto, per quanto ne capisco, il motivo principale della sua decisione. Semmai la contestazione, la critica sociale e di costume erano motivi che gli davano energia, che alimentavano la sua vena letteraria, che lo tenevano vivo.
Forse sì, quel ricovero coatto è stato l’inizio di qualcosa di irreparabile. Ma non è stato “il sistema” a deciderlo o una qualche parte politica. È una storia che ha origini diverse, private, e sulla quale non è il caso di ritornare. Alla fine penso avesse ragione Ferdinando Camon quando diceva che Trevisan aveva domande troppo alte e acute per sostenersi in equilibrio su una base stretta e fragile. Domande irrisolte, che si teneva dentro e non riusciva a condividere. Solo, com’era.

Maurizio Caverzan

Vitaliano Trevisan nell’illustrazione di Bosk in “Fabula veneta”

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