Forse piantare un albero è uno tra i gesti più rivoluzionari che ci rimangano. Rivoluzionario lo è di certo, perché va contro corrente, non solo rispetto alle pratiche, ma anche all’ideologia corrente.

E’ rivoluzionario perché va contro l’idea – anzi l’ideologia – secondo cui ha valore ciò che produce valore economico. Compresi i terreni, che infatti consumiamo incessantemente, per sostituire l’inutilità dei prati e dei boschi con la produttività degli ipermercati e delle rotatorie.  Piantare alberi per il solo gusto di vederli crescere, dunque, è un intollerabile spreco. E’ inutile. Non produce. Ecco perché andrebbe fatto.

Nel nuovo numero di REM ho lungamente chiacchierato con Guido Conti, lo scrittore emiliano, autore del bellissimo “Il Grande Fiume Po”. In questa intervista, che sarà in edicola a giugno, Conti ha quest’idea: “Sai cosa bisognerebbe fare? Cominciare a piantare dei boschi”. E in effetti è tra le poche cose sensate da fare, nell’area più inquinata d’Europa, soffocata dall’inquinamento industriale e dei veicoli a motore, oltre che deturpata dalle zone industriali e commerciali desertificate dalla crisi.

Può essere confortante e incoraggiante sapere che ci sono tanti piccoli rivoluzionari, che i boschi li stanno già piantando. Ho raccontato a Conti, ad esempio, della meraviglia realizzata dai volontari del Wwf a Salvaterra, dove un bacino per il deflusso delle piene dell’Adige è stato trasformato nell’oasi naturalistica Valle della Buora. Letteralmente da zero, gli attivisti hanno piantato alberi e cespugli, liberato animali selvatici, trasformato in un piccolo paradiso naturale quello che era un brullo cratere pieno d’acqua.

Dal 2011 anche la comunità Emmaus di Fiesso Umbertiano sta riforestando i terreni agricoli di sua proprietà, un’area di circa 4 ettari. Alcuni mesi fa, hanno intitolato uno dei loro alberi a Gianluca Zanetti, un liutaio di Mantova, morto ad appena quarant’anni. (Degli alberi dedicati alle persone scomparse mi ero occupato qui su REM qualche anno fa, in questo articolo).

A proposito, va ricordato ancora una volta che anche qui a Rovigo, qualche anno fa, due piccole associazioni hanno piantato il loro bosco, in un appezzamento di terreno abbandonato in Tassina. Ogni albero piantato è stato battezzato con il nome di un bambino, riportato su una targhetta. Ce n’è anche uno con il nome di mia figlia Emma, nascosto in mezzo a quella che oggi è una vera boscaglia.

Per quanto mi abbiano sempre affascinato i progetti di “rigenerazione urbana” e di recupero, non posso non notare, con una certa fascinazione, quanto vivi diventino alcuni luoghi, una volta abbandonati. Basti pensare al parco dell’ex manicomio di Rovigo, che oggi ospita un’enorme foresta selvaggia, affollata di uccelli e altri animali. Senza dimenticare l’affascinante bosco di parco Langer, sorto sulle rovine del vecchio tiro a segno.

L’abbandono ha giovato anche all’ex caserma Silvestri, chiusa da qualche anno. Oggi pullula di passeri, cinciallegre, pettirossi, merli, tortore, gazze, che trovano rifugio tra i suo enormi alberi. Più che un progetto per il suo recupero, servirebbe un progetto per la sua conservazione, come grande parco urbano per tutti i cittadini. Questa, sì, sarebbe una trovata rivoluzionaria.

Foto: la piantumazione di un alberello in un’iniziativa del Wwf (foto di Andrea Micheletti)

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